#5 Una ciambella per il capitalismo
Le domande inevase; vendetta bancaria; la verità, vi prego, su Gamestop; il Grande Romanzo d’Internet; la serie sullo stupro (no means no); “orizzontalmente parlando”
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Prologo
Sarà capitato anche a voi. Di fare domande alla comunità di Amazon su qualche prodotto. Domande molto banali e al contempo molto specifiche, tipo se il tal modello di telefono funziona con la linea Voip o quanto è lungo quel monopattino. E poi ricevere risposte tipo «Non so se il telefono funziona con la linea Voip ma perché ti interessa saperlo?» (magari perché ho una linea Voip?) o, «non ho quel modello di monopattino ma il mio (attenzione: di altra marca, di altro modello) è lungo 65 cm». Perché lo fanno, secondo voi? L’interpretazione benevola è che, un po’ come i giapponesi quando chiedi loro le indicazioni stradali e non conoscono la risposta, vengono attanagliati dal senso di colpa e pensano che dire qualcosa, qualsiasi cosa, sia meglio che niente. Quella più sconsolata è che non riusciamo proprio a stare sul punto e ci piace sbrodolare. Avete altre ipotesi? D’altronde me n’ero accorto anche su Yahoo Answers, che un tempo andava di moda adesso meno, credo. Lì la differenza risaltava rispetto all’estero: gli italiani la buttavano in caciara («Non so la risposta però l’ultima su Berlusconi fa così…» mentre gli anglosassoni parlavano solo se avevano qualcosa da dire. Any idea why?
BANCARI, TREMENDA VENDETTA!
La volta scorsa avevo scritto della mia piccola disavventura in filiale. Ero andato a chiudere un conto che avevo da quasi un quarto di secolo e mi ero sorpreso che nessuno mi avesse chiesto perché. Neppure quando lo avevo fatto esplicitamente notare. Su Facebook più di un bancario si è molto risentito. Una ha commentato che il mio «articolo non rappresenta assolutamente la realtà bancaria di oggi» (ma io volevo rappresentare esattamente solo la realtà con cui mi ero scontrato). Un’altra è certa che in filiale mi avevano riconosciuto come l’autore di un articolo che metteva a confronto i costi delle banche tradizionali con quelli delle banche online e per questo mi avrebbero punito (sopravvaluta la mia notorietà, temo). Un’altra mi liquida come «sciocchino». Un altro constata che evidentemente non rendevo come cliente (ma, prima di togliere il grosso dei soldi, rendevo). «a’ Supermannnn» è un icastico commento (perché?). Un’altra mi fa notare che «Parlare di banca oggi, facendo paragoni con la banca di 20/30/40 anni fa è semplicemente ridicolo». Un altro che «i signori come il nostro articolista di Repubblica, trovano nella critica a qualunque costo la loro ragion d'essere». Qualcuno parla del mio «ego ferito». Mi fermo. Poi lunedì mattina, fortunatamente, mi ha chiamato un dirigente della Bnl dicendo che aveva letto la mia cronaca (nel frattempo citata nella superlativa rassegna Anteprima di Giorgio Dell’Arti), avevo ragione, lui era della scuola di mio padre, si scusava anche se ormai era tardi. Al che ho ribadito che le due addette non erano state curiose ma senz’altro molto gentili e abbiamo chiacchierato un po’. Ma è così difficile discutere come se non ci si sentisse sempre vittime di chissà quale complotto?
GAMESTOP E LA RIVINCITA DEL GRIGIO
Rischia di diventare un numero un po’ retrospettivo, ma mi piace l’idea di una conversazione che non si spezza ma si arricchisce col tempo, come nella vita vera. E quindi forse ricorderete che avevo scritto dell’incredibile caso di Gamestop, la catena di videogiochi apparentemente condannata dalla storia che un gruppo di piccoli traders coalizzati via web ha deciso di difendere dall’assalto di vari hedge fund. Nella prima versione di quell’articolo, vado a memoria, avevo scritto che i piccoli, insieme, possono manipolare il mercato tanto quanto i grandi. Poi mi sembrava di essere stato troppo servero nei confronti degli eroi del giorno e avevo corretto “manipolare” in “indirizzare”, limando qualche altro passaggio. Avevo comunque messo in dubbio che la caratterizzazione piccoli = buoni, grandi = cattivi fosse la più giusta per raccontare quella storia. Son contento di essermi fatto venire il dubbio contro il vento un po’ caricaturale di Davide contro Golia perché 1) il piccolo che va dietro il nickname Roaring Kitty (il gattino che ruggisce) avrebbe prima guadagnato dall’operazione, poi perso, 13 milioni di dollari 2) tanti altri si sono fatti male e basta perché sono arrivati alla festa mentre già si stavano spegnendo le luci 3) che molti di questi piccoli erano ex operatori finanziari che hanno soldi sufficienti per vivere nelle tremende (ma ricercatissime) gated communities per ricchi 4) che, come faceva notare Evgeny Morozov su Internazionale, anche i fondi pensione investono (in Europa pochissimo, in America molto di più) negli hedge fund, quindi non è da escludere che parecchie pensioni abbiano preso una discreta botta da questa vicenda 5) Ben Mezrich, autore di The social network, ci scriverà un libro e aiuterà nella sceneggiatura di un film. Giusto per ricordarmi, e ricordare a Bianca, la mia materialista storica preferita, che la realtà è sempre tremendamente più complessa di quanto appaia. Con così tante sfumature di grigio che la saga porno-soft di Christian Grey è un racconto da educande al confronto.
UNA CIAMBELLA SALVERÀ IL CAPITALISMO?
A proposito di soldi. In Finalmente è Venerdì (abbonatevi, abbonatevi, abbonatevi) racconto di una teoria economica che Amsterdam, assieme a varie altre città piuttosto avanti tra cui Copenaghen e Portland, avrebbero sposato. Nonostante il nome è una cosa seria. In pratica dice che, invece di puntare solo alla crescita del Pil, è più utile che l’economia provi a collocarsi sempre tra un pavimento sociale (i bisogni primari) e un soffitto ecologico (oltre il quale la produzione nuoce al pianeta). Se visualizzate i due estremi con due centri concentrici vien fuori una ciambella. La prima volta che la teoria era stata enunciata in un libro da Kate Raworth l’avevo trascurata perché, a una lettura veloce, mi sembrava troppo astratta, non si capiva in pratica cosa volesse fare se non enunciare un principio condivisibile. Però adesso si comincia a capire:
È agnostica, a-ideologica, confina con l'economia circolare (quella delle "3R" riduci, riusa, ricicla). Però poi ecco un esempio pratico: quando a Amsterdam si son resi conto che tanti cittadini non avevano i computer, ancora più essenziali durante il lockdown, invece di comprarli (che sarebbe stato caro e avrebbe contribuito a creare rifiuti elettronici) il municipio ha organizzato la raccolta di vecchi pc da cittadini che volevano liberarsene, li ha fatti ricondizionare e li ha regalati a 3500 persone. Una ciambella venuta con un buco perfetto.
ULTIMISSIME DALLA DRAGHIMANIA
Tra i tanti epifenomeni della Draghimania (a scanso di equivoci: Draghi sta a Conte come Philip Roth a Carofiglio, ma un po’ di ritegno non guasterebbe), segnalo un lacerto di Che tempo che fa in cui Fabio Fazio, non so più neanche intervistando chi, ha detto, più o meno: «Una caratteristica di Draghi è di avere a cuore i giovani, da sempre». Ora, non so voi, ma se avessi pensato a Draghi non sarebbe la prima associazione di idee che mi sarebbe venuta in mente, però magari sbaglio io. Il meme più bello invece è sull’indirizzo mail del neopresidente: gmail@draghi.com.
DA LEGGERE: IO ODIO INTERNET
Le fiammate di risentimento bancario rispetto al mio articoletto mi han fatto tornare in mente uno dei più bei romanzi sulla cultura digitale che abbia letto. Si chiama Io odio Internet di Jarett Kobek (Fazi). Frasi sparse:
Internet era un’invenzione meravigliosa. Era una rete informatica che gli esseri umani usavano per ricordare ai loro simili che erano degli schifosi pezzi di merda.
Perché siamo qui, perché facciamo tutte queste cose? Finalmente abbiamo una risposta. Siamo sulla Terra per rendere più ricchi Mark Zuckerberg e Sheryl Sandberg.
Internet, che non era altro che una forma di feudalesimo intellettuale prodotto da un’innovazione tecnologica travestita da cultura.
Con un approccio curioso per persone la cui vita intellettuale ed economica dipendeva dalla padronanza della lingua e della grammatica, la principale tecnica di marketing di questi scrittori su Internet era fingere che loro, gli scrittori, fossero meno versati nella scrittura di un bambino di quinta elementare.
Ecco alcuni titoli di quel periodo: “L’Egitto sta per fare una rivoluzione via Facebook?”. “La rivoluzione egiziana 2.0: il fattore Facebook”. “La prima rivoluzione via Twitter”. Proteste sociali che avvenivano in paesi lontani migliaia di chilometri, in un altro continente, venivano trattate come pubblicità per multinazionali che avevano sede a San Francisco e dintorni.
DA VEDERE: I MAY DESTROY YOU
All’inizio mi aveva disturbato assai, alla fine però mi è sembrato un lungo e interessante ragionamento su quella terra incognita della morale sessuale di millennials e dintorni. Soprattutto sul senso di «no significa no» anche se usi una app per rimorchiare, annunci troppo spavaldamente che «ti va bene tutto» e poi all’ultimo ci ripensi. I May Destroy You di e con Michaela Coel (Bbc). Disturba ma resta.
DA ASCOLTARE: BEWITCHED, BOTHERED AND BEWILDERED
E a proposito di uomini e donne, di prendersi e lasciarsi, un’intramontabile Bewitched, Bothered and Bewildered interpretata da Ella Fitzgerald. Versione con il testo perché vale la pena. Passaggi fondamentali, tra climax e scioglimento: «Horizontally speaking, he's at his very best», «Wise at last, my eyes at last, Are cutting you down to your size at last», «Romance, finis. your chance, finis. Those ants that invaded my pants, finis».
Epilogo
È ufficiale: Gmail sabota Lo stato delle cose (come direbbe un terrapiattista qualsiasi, aggiungendo tre punti esclamativi). Nel senso che spesso la mette nello Spam o nella categoria Promozioni (io l'ho abolita, non serve a niente). Quindi se vi siete abbonati e il venerdì non arriva cercatela lì. Meglio ancora, create un filtro che non la faccia andare mai nello Spam. Per il resto stiamo crescendo, ma si può fare meglio: fatela girare, se gli (e mi) volete bene tra i vostri amici. Mi impegno a far sì che non vi tolgano il saluto!
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Buon fine settimana, alla prossima e ricordatevi l’unico consiglio che il grande maestro Vonnegut si sentiva di dare a chi gliene chiedeva: «Bisogna essere buoni, cazzo!».