#4 Lavorare stanca
Il pane amaro dell'Esquilino; gli scaffalisti filippini; i moderatori di contenuti, saprofiti umani; la farsa delle tasse; Your Honor; la lezione del bonzo
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Prologo
Un problema dell'Esquilino, il quartiere dove abito, è che ci sono pochi forni buoni. Uno col nome blasonato ha come caratteristica distintiva di interpretare le richieste del cliente come mere indicazioni da tradurre liberamente. Gli chiedi tre pizzette, te ne mettono nel sacchetto nove. Allora gli dici di toglierne sei e fanno finta di aver capito una. Seccante. Finalmente, grazie al mio amico Jacopo che la sa sempre lunga, scopro che il supermercato Pewex ha un buonissimo pane a lievitazione naturale e addirittura prendono i numeri arabi alla lettera. Uno-vale-uno, per dare un nuovo senso allo sciagurato mantra grillino. Problema risolto! Senonché mi viene in mente che Pewex appartiene al gruppo Gros di cui, in un pezzo sull'inquadramento neufeudale degli scaffalisti notturni nella grande distribuzione, un sindaclista di base mi aveva detto tutto il male possibile quanto a diritti dei lavoratori. E poi viene fuori che Grande Impero (forse già il nome doveva mettermi sull'avviso), che fa il buonissimo filone, ha di recente licenziato un dipendente afgano perché si era portato a casa due filoni che non sarebbero potuti essere venduti perché non erano venuti bene e che il suo (fortunatamente ex) amministratore delegato era sbroccato davanti a un dipendente pakistano che aveva osato parlare di sindacato (“Tu magnavi le cavallette, oggi stai qui. Tu ti sei levato la merda dalla bocca, sei venuto qui a lavorare…ma davvero pensate di venire dentro casa mia a comandare?”). Di colpo ho ri-perso il pane e, tendenzialmente, anche il supermercato.
GLI SCAFFALISTI NOTTURNI DI ROMA
C’è un momento della notte, imprecisato ma non per questo meno inesorabile, in cui i supermercati romani si sincronizzano sul fuso di Manila. Va dalle 22 alle 24, orario in cui, col favore delle tenebre, delle bande di filippini entrano nei supermercati per turni spesso di 4 ore per svuotare i pancali di merci e sistemarli sugli scaffali. Ne ho scritto qualche anno fa, ma la situazione non è migliorata. Hanno la stessa maglietta degli assunti, ma non gli stessi diritti.
Tu consumatore non lo sai, vedi addetti in divisa e pensi che tutti dipendano dal logo che hanno stampigliato all’altezza del cuore, ma non è così. Che imbocchi un corridoio o un altro, ti metta in fila a una cassa o in quella accanto, puoi incrociare valvassori, valvassini o servi della gleba. I primi sono gli assunti (paga oraria media 10 euro, straordinari, notturno, ferie). I secondi gli interinali, che per legge dovrebbero prendere quanto i primi ma in verità portano a casa sugli 8 euro (niente anzianità, niente straordinario). I terzi quelli delle cooperative, con paghe variabili dai 7 ai 5 euro, parliamo di lordo, no malattia, no quasi niente e se ti lamenti tanti saluti e avanti un altro.
COME SIAMO DIVENTATI POVERI
Di scaffalisti, finte partite Iva, l’inganno della cosiddetta sharing economy parlavo in questa puntata del podcast su come, negli ultimi 40 anni, siamo diventati sempre più poveri.
“COSÌ PULISCO LE FOGNE DEL WEB. PER 4 DOLLARI L’ORA”
A proposito di lavori da sogno, qualche anno fa ero riuscito a parlare con un moderatore di contenuti, ovvero quelle persone che tolgono le immagini peggiori da Facebook, Youtube e compagnia (decapitazioni, stupri, abuso sui minori, etc) per rendere meno traumatica la nostra navigazione. Sono una specie di razza saprofitica che digerisce il peggio affinché non lo dobbiamo fare noi. Una dieta raccapricciante che ha ovviamente conseguenze sul loro equilibrio psichico. Il tutto, nel caso del ragazzo italiano che avevo incontrato, per 4 dollari l’ora. E non era il peggio pagato.
Indispensabili come gli spazzini nelle città, con uno status sociale decisamente inferiore. Saranno oltre 100 mila nel mondo, stima Hemanshu Nigam, ex capo della sicurezza di MySpace che oggi si è messo in proprio. Ovvero una volta e mezzo i dipendenti di Google e cinque quelli di Facebook. Tra i pochi punti fermi, su scala globale, si sa che il grosso è composto di filippini e indiani disposti a immolarsi anche per due dollari l’ora. Nei confronti dei quali i quattro dollari del nostro Michele, a quanto pare il primo content moderator italiano disposto a raccontare le sue memorie del sottosuolo, diventano quasi una sommetta. Che dite, il prezzo è giusto per aver dovuto trangugiare il worst of della rete?
ANCHE I BANCARI PIANGONO. MA QUESTI UN PO’ SE LO MERITANO
Sono un paio di esempi che mi sono venuti in mente l’altro giorno quando, dopo lunghi indugi, sono andato a chiudere un conto in banca che di fatto non utilizzavo da anni. Nell’agenzia Bnl del centro di Roma una gentile signorina non mi ha neanche chiesto perché, dopo oltre vent’anni, non volevo più avere a che fare con loro. E neppure la seconda addetta, nelle mani della quale ho firmato il mio commiato, è stata sfiorata dalla curiosità di sapere perché un cliente lasciava. Ho raccontato l’episodio in Finalmente è Venerdì ricordando che
Un anno fa avevo scritto della cura dimagrante da migliaia di dipendenti delle banche italiane (qui il servizio in pdf). Forse c'è, in questa sovrana indifferenza nei confronti di quelli che ti pagano lo stipendio, una parte della spiegazione. Una volta mio padre provò ad aprire il conto a Giorgio Gaber che aveva una casa dalle nostre parti. Chiese in giro, lo aspettò nella sua trattoria preferita: l'approccio non andò a buon fine ma strappò almeno una mezza promessa. Forse così è troppo, ma il mio illacrimato addio è stato davvero troppo poco.
DA LEGGERE: IL TRIONFO DELL’INGIUSTIZIA
E visto che ormai questa newsletter ha preso una piega monografica, vi segnalo un bel libro recente, Il trionfo dell’ingiustizia di Emmanuel Saez e Gabriel Zucman (Einaudi), di cui ho scritto qui.
Senza tasse non esiste collaborazione, non esiste ricchezza, non esiste destino comune: non esiste nemmeno un paese che ha bisogno di un presidente.
Nel 1970 gli americani più ricchi versavano al fisco, tenendo conto di tutte le tasse, oltre il 50 per cento del proprio reddito, cioè il doppio di quanto versavano i lavoratori.
Basti pensare che tra 1930 e 1980, l’aliquota marginale dell’imposta sul reddito personale si aggirava intorno al 78 per cento in media. Tra 1951 e 1963, in particolare, toccò addirittura il 91 per cento.
Nel 2018, dopo la riforma fiscale di Trump, per la prima volta negli ultimi cento anni, i miliardari hanno pagato meno tasse di metalmeccanici, insegnanti e pensionati. Per i ricchi le tasse sono tornate ai livelli degli anni Dieci del Novecento
A partire dal 1° gennaio 1988, nel paese che per primo aveva applicato imposte quasi confiscatorie ai redditi alti, sarebbe entrata in vigore un’aliquota marginale del 28 per cento, la più bassa nel mondo industrializzato (…) I democratici Ted Kennedy, Al Gore, John Kerry e Joe Biden avevano votato convintamente a favore.
DA VEDERE: YOUR HONOR
Ancora non è arrivato in Italia, ma arriverà. Intanto segnatevelo: Your Honor con Bryan Cranston, il Walter White di Breaking Bad. Che anche qui parte specchiato giudice e poi, per proteggere il figlio che ha fatto un tragico errore, si trasforma.
DA SENTIRE: IL BONZO
Quanto alla tentazione, umana, di pensare che le sfighe del mondo non ci riguardano perché siamo più fortunati, più bravi, meno filippini, vi consiglio di combatterla ascoltando Il bonzo, memorabile pezzo di Enzo Jannacci. Non ci riguardano fino a quando ci riguardano.
Epilogo
È ufficiale: Gmail sabota Lo stato delle cose (come direbbe un terrapiattista qualsiasi, aggiungendo tre punti esclamativi). Nel senso che spesso la mette nello Spam o nella categoria Promozioni (io l'ho abolita, non serve a niente). Quindi se vi siete abbonati e il venerdì non arriva cercatela lì. Meglio ancora, create un filtro che non la faccia andare mai nello Spam. Per il resto stiamo crescendo, ma si può fare meglio: fatela girare, se gli (e mi) volete bene tra i vostri amici. Mi impegno a far sì che non vi tolgano il saluto!
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Buon fine settimana, alla prossima e ricordatevi l’unico consiglio che il grande maestro Vonnegut si sentiva di dare a chi gliene chiedeva: «Bisogna essere buoni, cazzo!».
Sempre interessantissimo Riccardo, ti leggo sempre con piacere.