#116 I segreti della longevità
1) Il traguardo di arrivare a cent'anni in salute è a portata di mano 2) la dieta mima-digiuno di Valter Longo 3) Luigi Fontana e la restrizione calorica 4) gli immortalisti del Wisconsin
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Prologo
Si dà il caso che mi sia occupato molto di longevità, in un modo o nell’altro. Qui un’altra piccola antologia.
IN SVIZZERA, TRA SCIENZIATI E MILIONARI
La copertina del Venerdì in edicola è dedicata a un singolare ritrovo di gerontologi e milionari che sono andato a seguire in Svizzera. Il pezzo inizia così:
Gstaad (Svizzera). Dalla vetrina del negozio di sigari e articoli per il fumo, svetta un paio di babbucce. Di velluto blu, con dei teschi bianchi, in vendita a 419 franchi svizzeri, circa 435 euro. Colpiscono non tanto per l’abbacinante scarto tra valore d’uso e di scambio poiché, negli 800 metri della Promenade di Gstaad, tra Prada, Cucinelli, Louis Vuitton (dove si vestiranno qui i normospendenti?) e una galleria Gagosian, il prezzo osceno si rivelerà nella media. Quanto per l’involontario simbolismo dei due crani ossuti, feticci della morte, che il fumo notoriamente agevola, proprio nella due giorni in cui il paesino ospita la Longevity Investors Conference: “La più esclusiva al mondo”, come da materiale promozionale. Dove investitori e semplici milionari (oltre al biglietto da 5-6.000 euro, i 150 partecipanti han dovuto dimostrare di possederne almeno un milione da investire nella causa) si sono abbeverati alla Scienza dei migliori gerontologi per decidere su cosa puntare per fare ancora più soldi e, nel frattempo, allontanare la dipartita. Risultato già sostanzialmente centrato se nel mondo l’aspettativa di vita è passata, dal 1950 a oggi, dai 45 ai 73 anni. Con gli americani che arrivano in media ai 77 e gli italiani fino agli 82. La scommessa ora, oltre ad allungarla un altro po’, è arrivarci sani. Più qualità che quantità. Cambiando stile di vita, eventualmente aggiungendo integratori e farmaci, fino alla riprogrammazione cellulare. Da Netflix, che trasmette una docuserie sui segreti dei centenari, a questo paesino svizzero, il dibattito sulla vecchiaia sta vivendo una spumeggiante seconda giovinezza.
Tra scienza e fantascienza
Il programma messo insieme da Maximon, l’azienda che ha creato un fondo da 100 milioni di franchi per investire in startup sulla longevità, è densissimo. Oltre trenta relatori, tra cui quasi tutte le star internazionali del settore. Compreso, in videoconferenza, David Sinclair che dirige il Centre for Biology of Ageing Research a Harvard dopo aver contribuito a scoprire il ruolo delle sirtuine, enzimi che regolano il metabolismo e proteggono le cellule. Proteine che sarebbero state attivate dal resveratrolo, abbondante nel vino rosso, che ha allungato del 70 per cento la vita delle cellule del lievito. Peccato che quelle degli umani siano un filino più complesse e abbiano fatto cadere in disgrazia il resveratrolo, ma non il suo evangelista. Che si è limitato a rivedere al ribasso le stime di massima età raggiungibile: da 200, a 150, quindi a 120 anni. D’altronde la primatista, la francese Jeanne Calment, se n’è andata quando ne aveva due di più. Reale, dunque realistico.Ma qui ci sono anche transumanisti reo-confessi, quelli che puntano al fine-vita-mai, tra cui l’altamente mediatico Aubrey De Grey, inconfondibile anche per una barba da Matusalemme che però non lo rende particolarmente credibile come testimonial dell’eterna giovinezza. È il profeta della «velocità di fuga della longevità» per cui, grazie ai progressi della medicina, la nostra aspettativa di vita aumenterà più rapidamente del nostro invecchiamento, lasciando la morte al palo. «Agli investitori piace un po’ di drama» confessa la tedesca Elisabeth Roider, responsabile scientifica di Maximon dopo una laurea in medicina a Harvard (nei curriculum dei presenti il leggendario ateneo è frequente come da noi una qualsiasi Statale), che a naso avrebbe volentieri fatto a meno di invitare il coté più fantascientifico. Ci tiene infatti a chiarire che: 1) qui il punto non è tanto allungare il lifespan, la durata della vita, ma l’healthspan, la parte esente da malattie 2) non esiste un singolo ingrediente miracoloso e serve un «approccio multifattoriale» 3) è controproducente promettere troppo perché «la longevità è una scienza, non una religione».
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A LOS ANGELES CON MISTER MIMA-DIGIUNO
Qualche anno fa avevo passato qualche giorno con Valter Longo, direttore di un’importate istituto sulla longevità. Questo l’inizio del reportage:
Los Angeles. Il momento della verità scocca alle otto e mezzo. Cosa mangerà l’ideologo del digiuno? Valter Longo, quarantasette anni, un metro e ottantacinque per settantacinque chili, tanti capelli lunghi e non uno bianco, lascia la Nissan elettrica al parcheggiatore e fa strada verso il diciottesimo piano del Penthouse di Santa Monica, la gemella azzimata della fricchettona Venice. Il cronista osserva in religioso silenzio prima di ordinare. Dopo un’attenta rassegna del menu il direttore del Longevity Institute della University of Southern California delibera: insalata di polpo, una ciotola di songino con mandorle, acqua gasata. Intorno rumoreggiano le nipotine di Baywatch.
Non c’è niente di penitenziale né dentro né fuori dai piatti. Questa è la forza di una dieta ragionevole, che anche la fallimentare disciplina di un essere umano standard può permettersi. Compresi occasionali strappi alle regole, peraltro facilissime da riassumere: poche proteine, pochissimi zuccheri, pesce sì, ma altra carne al minimo, intermittenti astensioni dal cibo. Un regime che promette di dimezzare i tumori, abolire le malattie cardiovascolari e il diabete e ridurre sensibilmente il rischio di Alzheimer. Per un extended play della vita di 12-15 anni che, aggiunti agli 83 medi italiani, ci porterebbero (praticamente sani) alle soglie dei cento. Nella peggiore delle ipotesi, a dar retta a Time. Che qualche mese fa ha schiaffato un rubicondo neonato in copertina avvertendo che potrebbe viverne 142. Tra i guru intervistati c’era anche Longo, che però ci tiene a non fare il passo più lungo della gamba. Wittgensteinianamente tace di ciò di cui non può parlare, con trial clinici effettuati e altre pezze d’appoggio. Ne ha già molti. Altri sono in corso. Di altri ancora conosce i risultati, ma non può violare l’embargo prima della pubblicazione in riviste scientifiche. Tutto sembra convergere verso la sua intuizione. L’elisir di lunga vita esiste e assomiglia terribilmente a ciò che sapevamo e abbiamo dimenticato. Ovvero: mettere nel piatto quel che avrebbero mangiato i nostri nonni per vivere quanto potranno legittimamente aspettarsi i nostri nipoti (anche grazie anche ai progressi della medicina).
L’indomani lo seguo a un convegno alla Davis School of Gerontology («la più antica del mondo») della Usc, meno popolare della Ucla, ma primatista assoluta nell’arte di raccogliere fondi, come dimostrano le decine di cantieri nello sterminato campus o il pacchianotto edificio donato dall’ex allievo George Lucas. Apre il promettentissimo Sean Curran che sdrammatizza confutando Woody Allen («Puoi vivere fino a cento anni, se rinunci a tutte le cose per cui vale la pena vivere») e ricordando che gli antiossidanti funzionano anche da adulti. Evvai! Poi è la volta di Longo che cita il suo maestro Roy Walford che si era ritirato un anno nel deserto dell’Arizona con altri otto volontari praticando una forma estrema di restrizione calorica e finendo pelle e ossa («Una cattiva idea. Morì poco dopo, a 77 anni»). Ma rammenta anche Jeanne Calment, una francese spirata a centoventidue anni, fumando fino a cento. Poi si dilunga su meccanismi cellulari che vedremo meglio tra poco. Quindi arriva il decano Caleb Finch, con barba bianca e pizza-tie, quelle cravatte assurde che si perdonano solo ai prof americani, a ricordare come la longevità dipenda al 35 per cento dall’ereditarietà (che può essere una cattiva notizia se in famiglia se ne sono andati presto), ma per il resto dallo stile di vita (buona notizia per tutti quelli con volontà). Per due terzi, almeno, non siamo condannati. Longo è quello che riceve più domande. Dice cavallerescamente dell’ex-capo di Curran a Harvard che potrebbe vincere il Nobel. Lo stesso vale per lui, ma è un genovese riottoso che non si autoincenserebbe neppure sotto tortura. Riesco a estorcergli un po’ di biografia durante un tragitto in auto, prima di iniziare due giorni di intervista. Figlio di un poliziotto e di una casalinga calabresi trasferitesi in Liguria per lavoro, da ragazzo suona la chitarra e a 16 anni convince il padre, in cambio di ottimi voti a scuola, di mandarlo un’estate dai parenti a Chicago per studiare in una celeberrima scuola di jazz. Gli piace così tanto che chiama a casa e avverte: «Non torno» (l’unico mistero riguarda la rassegnata resa dei suoi). Finisce lì le superiori, vincendo delle borse di studio, ma poi gli chiedono di dirigere la banda dell’università, si rifiuta e archivia la carriera alla Pat Metheny. Al college farà biochimica, un prestito studentesco via l’altro. Si arruola nell’esercito part-time per guadagnare («Nel 1991 un giornale locale pubblica la mia foto con il battaglione che doveva partire per l’Iraq» e che all’ultimo sarà lasciato a casa). Quindi il dottorato, poi il postdottorato in neuroscienze e l’insegnamento universitario. Finanziamenti raccolti per oltre venti milioni di dollari. La creazione di un’azienda nutraceutica tra le nove più influenti del mondo nel campo dell’invecchiamento («Io non prendo nulla: va tutto a sostenere le ricerche»). E siamo a oggi.
IN MISSOURI LE VIRTÙ DELLA RESTRIZIONE CALORICA
Nel 2009 ero andato a intervistare, nell’università del Missouri dove insegnava, l’italiano Luigi Fontana, gran sostenitore della restrizione calorica. Misteriosamente il pezzo non lo trovo più, però ho tre estratti video di quell’intervista:
TRA GLI IMMORTALISTI DEL WISCONSIN
L’anno prima, tanto per non farmi mancare niente, avevo passato un po’ di tempo con una setta di immortalisti del Wisconsin. L’incipit del pezzo:
WAUSAU (WISCONSIN). L'uomo che scommette sull'«indefinita estensione della vita» ha una fifa blu, quasi commovente, riguardo a un microscopico azzardo per la salute del suo ospite. «È allergico ai gatti?», chiede. Solo dopo averlo rassicurato mi apre le porte dell'Immortality Institute, nel bel mezzo del niente tra le mucche e i lamponi del Wisconsin. Una porta di legno di una casetta di legno a un piano dove Justin Loew vive con la moglie Tana e da dove dirige una delle più celebri (e incredibili) fondazioni che si occupano di tutto ciò che riguarda il rimandare l'appuntamento con la morte, che qui non si rassegnano a considerare inevitabile. Terapie genetiche, cellule staminali, restrizione calorica, supplementi alimentari, ibernazione: nessuna strada è esclusa. Chiedete a Google "immortalità" e l'oracolo, tra 6 milioni e 200 mila risultati, dopo la voce di Wikipedia risponderà www.imminst.org. Il doppio telematico del punto esatto in cui siamo arrivati.
Se c'è un posto al mondo dove hanno festeggiato i recenti premi Nobel alla medicina con un entusiasmo comparabile a quello dei familiari dei vincitori è l'Istituto. I cui circa 10 mila membri, dal 2002 a oggi, fanno parte dell'esigua percentuale della popolazione che sa cosa sia l'enzina telomerasi scoperto da Elizabeth Blackburn il quale, aggiustando le estremità delle cellule che a forza di dividersi si usurano, contrasta l'invecchiamento. Nelle decine di migliaia di forum ospitati dal sito se ne parla come al bar Sport. C'è un tale Edward che al proposito dichiara di «prendere tutti i giorni un grammo di Astragalus standardizzato al 4%» ma confessa che la materia non gli è poi così chiara e se qualcuno volesse suggerirgli farmaci migliori ne sarebbe ben contento. Justin, il direttore esecutivo, cerca di sovrintendere al maggior numero di conversazioni. Compatibilmente con il suo lavoro vero, quello di metereologo («il preferito del 2009 e del 2009» recitano due targhe nello studiolo) nella locale tv Waow. «Mi sveglio verso l'1» spiega questo trentottenne alto, magro e calvo, «mi leggo le discussioni più calde, rispondo alle email, mi assicuro che tutto proceda senza troppi intoppi. E poi, dalle 5 alle 11, vado in video a raccontare che tempo farà». Sì, avete capito bene: la «Mente», come da nickname, non è un biologo, un medico, un chimico. Solo un ex secchione figlio di un agricoltore che, intorno al 2000, si è appassionato di futurologia e ha preso a bazzicare siti dove si fantasticava di allungare la vita. Così ha conosciuto Bruce J. Klein, un fascinoso figlio dell'Alabama che nel 2002 fonda l'Immortality Institute e lo sceglie come suo coordinatore e unico membro stipendiato.
Epilogo
È piuttosto paradossale scrivere di lunga vita in un momento in cui una quantità immane di bambini muore sotto le bombe dopo che a decine altri erano stati uccisi a sangue freddo. Ma, per motivi che avevo già spiegato in un post di qualche tempo fa e che ho confermato dopo alcune discussioni di questi ultimi giorni, eviterò di scrivere sulla questione israelo-palestinese, sui brutali e insensati attacchi omicidi in Israele e sulla spaventevole carneficina in corso a Gaza.