#111 Altre 12 cose da non perdere (o da evitare)/2
Serie, film, libri, musei e riviste: una lista di consigli
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Il secondo dodecalogo di consigli (il primo era qui).
1. BRUM, SPECIALISTA DI FAVELAS
Verrebbe voglia di organizzare un festival di giornalismo solo per invitare Eliane Brum. La brasiliana autrice di Le vite che nessuno vede (Sellerio) riesce a trovare nelle favelas, nelle case di cura, nei facchini che vedono passare gli aerei senza mai prenderli un'umanità straordinaria. «Storie su quelle che si definiscono "persone comuni". Quelle che non fanno notizia o le cui vite–e morti–occupano tutt’al più una nota a piè di pagina» scrive, «per mostrare che non esistono vite comuni, ma solo sguardi addomesticati. Occhi incapaci di vedere che ogni vita è tessuta con il filo della straordinarietà. Purtroppo, questi sono i nostri occhi».
Ottimo.
2. ANCHORWOMEN IN CRISI DI NERVI
Verifica dei cliché. Il potente depotenziato che dà di matto e prende a mazzate il televisore che dà la notizia della sua caduta: c'è. La giornalista di campagna che, al contrario dei suoi colleghi di città, crede ancora nella missione (al punto di malmenare un disturbatore): c'è. La anchorwoman star che, tra sveglie alle 3.30 per non perdere la forma (già perduta, ahimè) a base di colazioni di Redbull, succo di sedano e tapis roulant, riesce a emozionarsi solo per il suo destino: c'è. Ma il momento più stellare è quando la sconosciuta reporter, convocata per possibile assunzione dal caporedattore della famosa trasmissione, gli dice che è un pirla e quel che fanno loro non è giornalismo. Non è la stampa, bellezza! È The Morning Show (Apple TV+) con Jennifer Aniston e Reese Witherspoon.
Potemkin.
3. EPICO SALGADO
Copernico ci ha insegnato che è la Terra a fare la corte al sole e non viceversa. Darwin che tra noi e le scimmie il passo è breve. Freud che, psichicamente parlando, non siamo padroni neppure a casa nostra. Con Amazônia, la clamorosa mostra al Maxxi di Roma (fino al 13 febbraio), Sebastião Salgado pianta un nuovo chiodo sulla bara del nostro patetico egotismo: di fronte alla magnifica e spaventosa forza della natura siamo pulcini bagnati. Una foresta più grande dell'intera Europa. Un fiume che sembra un mare. Nuvole piene di un'energia assassina e tuttavia irresistibile. Nel bianco e nero epico cui ci ha abituato. Al suo meglio nell'astrazione pittorica della vegetazione più scenografica di sempre.
Ottimo.
4. ALLA FINE IL GENIO ERA PAUL
Paul che strimpella i primi accordi di quella che sarebbe diventata Let it be nell'indifferenza generale. John che fa le vocine, divertendosi come un pazzo. George che a un certo punto sparisce. Ringo, il più tranquillo di tutti. I Fab Four come non li abbiamo visti mai in The Beatles: Get Back (Disney+), strepitoso documentario che viene fuori dalla distillazione lunga mezzo secolo di 60 ore di girato e 150 ore di registrato. Se qualcuno avesse ancora dubbi che il genio creativo del gruppo fosse Paul se li toglierà una volta per tutti. Per i fan moderati le tre ore a puntata avrebbero potuto essere sforbiciate a due. Ma assistere al parto di alcuni dei pezzi più grandi di sempre è impagabile.
Capolavoro.
5. DOPESICK E LA MALEDIZIONE OPPIACEA
Ci vuole coraggio a prendere una delle notizie più arate dalle cronache e trasformarla in un serie. Soprattutto serve il combinato disposto di un racconto evidentemente d'eccezione (il libro della giornalista Beth Macy, da cui sospetto dovremmo tutti andare a lezione) insieme con la regia di una leggenda (il quasi ottantenne Barry Levinson premio Oscar per Rain Man). Il risultato è Dopesick (Disney+) che racconta l'epidemia da oppioidi attivamente incoraggiata da Purdue Pharma, di quella famiglia Sackler sin lì celebre soprattutto per le generose donazioni a musei e università. È un trattato sul cinismo ma anche un monumento alla determinazione di alcuni servitori dello stato che, contro tutti, decidono di andare fino in fondo.
Ottimo.
6. GODLESS, WESTERN ESISTENZIALE
Singolare che a dare dei «senza Dio» agli altri sia uno che del pastore ha solo il clergyman. Per il resto David Griffin (il grandissimo Jeff Daniels, qui con barba da profeta) deve essersi perso la lezione di catechismo sul quinto comandamento, perché dove passa lui e la sua posse non cresce più l'erba. Vuole morto soprattutto Roy Goode che gli ha fregato il bottino di una rapina e per difendersi gli ha anche fatto saltare un braccio. La legge ha la faccia di un sceriffo mezzo cieco innamorato della donna che ha accolto il fuggiasco Goode. In un paese dove, dopo una tragedia in miniera, sono rimaste solo donne. Godless (Netflix), western, ma esistenziale.
Ottimo.
7. L’ALTRA ZOLA, VERSIONE LAPDANCE
Una cosa è la lapdance, tutt'altra la prostituzione. A Zola, di mestiere diurno cameriera di tavola calda, la distinzione è chiarissima. Molto meno a una cliente svitata che diventa sua amica e la invita per un viaggio in Florida dove, appunto, dovrebbero ballare e fare qualche dollaro con le mance. Però con loro viaggia anche un tipo manesco che si scopre essere il pappone della neo-amica e che, come dicono in America, «non accetta un no come risposta». Tuttavia la cameriera lavora per migliorare il salario della compagna di viaggio e, in ultimo, spezzare le sue catene. Da una storia vera raccontata su Twitter, Zola è noleggiabile sulle principali piattaforme (Apple+, Chili, etc).
Buono.
8. QUANDO GIRAVA IL VINILE DEL SOGNO AMERICANO
Un ragazzino con sogni di gloria incontra una giovane donna di dieci anni più grande precocemente arresa a piccole aspettative. Come la vede, Gary le dichiara che un giorno la sposerà. Lei all'inizio minimizza e i due diventano soci in un business di materassi d'acqua che fa molto California anni '70 (il titolo Licorice Pizza alluderebbe a una catena di vinili, "pizze di liquirizia", dell'epoca). Si attraggono e respingono come pianeti in orbite impazzite, ma non si perdono mai di vista. Una volta è Gary a rincorrere, la volta dopo Alana. Quella della corsa, una corsa allegra verso un avvenire perennemente assolato, è una costante del film. Una prospettiva che oggi risplende per differenza.
Ottimo.
9. ORA E SEMPRE FOG OF WAR
La Nebel des Krieges, la "nebbia di guerra", è l'incertezza sulle reali capacità e intenzioni del nemico durante un conflitto. Fog of War è anche il titolo dell'illuminante conversazione che quel genio di Errol Morris (guardate tutti i suoi documentari) ha nel 2003 con l’ex segretario alla difesa Robert McNamara, quello del Vietnam e della baia dei Porci, per intenderci. La prima delle 11 lezioni che enuncia è "empatizzare col nemico". A un certo punto ricorda di quando hanno fatto fuori 100 mila giapponesi in una notte. E si sono riproposti di non fare mai lo stesso errore una seconda volta. Ma non aveva una gran fiducia che l’umanità avesse appreso la lezione atomica (Noleggiabile su Apple+, Prime, Youtube).
Ottimo.
10. QUESTE MISERE CALIFORNIE (CIT.)
Californie allude a un refuso su un'insegna ed è soprattutto l'apologo di come, con la quantità di mani sbagliate che la vita ci serve, resistere sia futile. Bisogna fare del nostro meglio, con quello che abbiamo. Così fa Jamila, marocchina di Torre Annunziata. La rabbia dei nove anni, quando vuole spaccare la faccia a tutti, si stempera quando impara a fare le treccine, lavora da una parrucchiera, esce con un meccanico. Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman la seguono fino ai quattordici anni. Sulla strada per Cosenza, dove farà la badante per 600 euro, manda un vocale al padre, lungamente contestato, per dirle che regalerà una lavatrice alla mamma. Un po' Ken Loach, senza coscienza di classe, ma con un volto indimenticabile.
Ottimo.
11. PUNTA SACRA, TERRA MALEDETTA
Le parole possono essere rivelatrici o confondenti. Anche nella toponomastica. In particolare a Roma, dove nessuno ha avuto pietà nel chiamare l'Infernetto in quel modo, o Coccia di Morto se è per quello. Mentre, sul versante opposto, quel fazzoletto di case abusive dell'Idroscalo di Ostia è stato soavemente battezzato Punta Sacra. Che è anche il titolo del bel documentario in cui Francesca Mazzoleni racconta la vita e i sogni striminziti dei resistenti che non vogliono muoversi di lì, ruspe o non ruspe. L'ultima borgata di Roma, donne guerriere, una comunità vera, pugnace. Messa in scena senza ruffianerie (del 2020, riproposto su Mubi).
Ottimo.
12. ROSSO DI SERA SU VEGAS
Il sosia di Elvis non ci crede quando gli dicono che no, non potrà andare a lavorare sulla Strip perché c'è un'emergenza sanitaria chiamata Coronavirus. Ci ha messo un bel po' per sistemarsi la parrucca, appiccicarsi le basette, completare la vestizione. Cose che succedono a Las Vegas, un'allucinazione fatta città. E che Emanuele Mengotti racconta in Red Sky at Night (Rosso di sera), un bel documentario in cui il non luogo prende vita. Seguiamo un medico in prima linea contro la pandemia. Un homeless-filosofo che vive nelle fogne. Un'attricetta biondissima che idolatra Trump e le armi, si candida al Congresso e alla fine partecipa all'assalto a Capitol Hill. Mengotti racconta il sogno americano mentre si sgretola sullo sfondo della sua quinta scenica più paradossale. Hanno fatto un deserto e l'hanno chiamato America (oggi). Dopo la prima al Biografilm festival, da domani per tre giorni su Mymovies.
Ottimo.