#92 Milano, l'affitto verticale
Affitti e vendite a livelli record; quando i grattacieli erano vuoti; New York dimezzata dallo smart working; l'effetto Airbnb sui centri storici; appunti per l'apocalisse
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Prologo
La regola aurea era che uno non dovesse spendere più di metà del proprio stipendio per l’affitto. Nella maggior parte delle metropoli è largamente saltata. Ma se le città diventeranno club esclusivi per ricchi, dove andranno a vivere le persone normali?
AFFITTO SELVAGGIO SOTTO LA MADONNINA
Terza in Europa per affitti e con otto quartieri tra i dieci più cari dove comprare. Questa ormai è Milano, immobiliarmente parlando. Il reportage sul Venerdì. Qui l’incipit:
Milano. «Per favore, rispettate il vicinato: tenete bassa la voce e le notifiche di Grindr» intima il cartello all’entrata di NoloSo, un bar-ristorante con le saracinesche arcobaleno su via Varanini. La certificazione gay-friendly è la prova ontologica dell’esistenza della gentrificazione. Tra gli indizi aggiungete poi Fòla, la pasticceria lì accanto che non a caso ha il sito prima in inglese che in italiano (Butter cake con more fresche e crumble di pistacchio, 40 euro). O Blue Nami, l’inevitabile giapponese su piazza Morbegno, e tutta un’altra serie di smottamenti urbanistici che hanno trasformato un quartiere tra il grigio smog e il rosso sangue (tra accoltellamenti tra maghrebini e sparatorie sudamericane di un decennio fa in via Padova) in NoLo, acronimo newyorcheseggiante che sta per North of Loreto e abbraccia un poligono di isolati a nord del luogo dove Mussolini fu appeso a testa in giù.
Pare che sia stata la mitopoiesi di qualche agenzia immobiliare a rinfrescare linguisticamente il quartiere comodo ma non desiderabile, come sempre quelli vicini alle stazioni. Un’invenzione presto asseverata da Google Maps, quindi dalla toponomastica commerciale. Qui c’è la sede di Fineco, la banca più cool d’Italia, e abitano numerosi esponenti del ceto medio riflessivo, che pranzano alla trattoria Mirta, segnalata dalla guida Michelin, i cui figli hanno spezzato il monocolore degli stranieri sui banchi della scuola del Parco Trotter. Ma perché parlarne ora? Perché NoLo è l’ultima tessera di un mosaico più ampio, quello che, nella classifica di Scenari Immobiliari, laurea Milano come terza città più cara d’Europa (dopo Amsterdam e Lisbona; Londra ormai è Brexit) per un bilocale in affitto (1850 euro). E si aggiudica anche 8 quartieri su 10 tra i più cari dove acquistare, per immobiliare.it, con oltre 9.300 euro al metro quadro tra Duomo, Brera, Castello e il Quadrilatero della Moda. Come e perché siamo arrivati a una tale follia? E c’è ancora qualcosa da fare per evitare che la metropoli diventi un club per lombardi sardanapali e altri straricchi?
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IL LOCKDOWN DEGLI UFFICI VUOTI
Un annetto fa, ancora in un parziale lockdown, ero andato a Milano per vedere a cosa sembrava la città degli uffici quando gli uffici erano chiusi. La Grande tristezza. Il pezzo inziava così:
Lo svuotamento è iniziato ben prima della pandemia: «Dalla fine del 2016 abbiamo proposto a 600 persone di alternarsi su 300 scrivanie. Diventate, sull’entusiasmo della reazione, 600 e poi 1200. Oggi su 4.500 persone circa 2.400 sono in smart work. Con la formula di una coppia di lavoratori che si mette d’accordo su quando venire in sede, metà del tempo ciascuno». Una scelta, sempre reversibile. Che ha fatto risparmiare almeno un paio d’ore al giorno nel traffico a oltre la metà dei dipendenti che vengono dall’hinterland. Ma se a regime la metà lavorerà da casa – oggi sono praticamente tutti – significa che 25 piani resteranno vuoti? «No» dice Devescovi «aumenteremo gli spazi comuni per migliorare la qualità della vita delle persone, ad esempio la palestra e gli spazi dedicati a chi vuole/deve portarsi i figli piccoli in ufficio, con tanto di educatori a disposizione. Ospitiamo già la Fondazione Milano-Cortina 2026 che a regime occuperà quattro piani». Ancora nel 2016 i loro centri direzionali cittadini erano sette. Oggi due. Domani, verosimilmente, resterà questo. Ad aprire ad altri non ci pensano. «Almeno nei prossimi 8-10 anni ci saremo solo noi qui dentro» garantisce il manager.
SCRIVANIE E SENSORI
Nonostante la recente promozione a zona gialla, in piazza Gae Aulenti quattro bar-pizzerie su otto han preferito restar chiusi. Qui a Porta Nuova, l’altro epicentro della nuova Milano degli affari, la reginetta immobiliare è Unicredit. Ogni piano, all’uscita dall’ascensore, ha una specie di gran cruscotto che ti avverte di quanti posti sono liberi (dove ci troviamo trattasi del 97 per cento) grazie a sensori di movimento sotto le scrivanie. Come ripenseranno questo patrimonio immobiliare da 9 miliardi di euro? «Sedi come queste rimarranno fondamentali per funzioni specifiche: il branding, lavorare insieme a progetti speciali e la formazione del personale. Per il resto è chiaro che il lavoro a distanza non sparirà col vaccino» ammettono Salvatore Greco e Marco Coggi, responsabili Gruppo e Italia del real estate. Ma a regime di che percentuale parliamo? Cala un pudore quasi vittoriano. Suggerito, credo, dall’effetto che la cifra potrebbe suscitare sui sindacati. Alla fine una stima salta fuori: 40 per cento. «Valutiamo spazi meno densi, dando priorità a quelli per la collaborazione e ipotizziamo una clean desk policy, per cui sparisce la scrivania propria – quando hai finito la lasci come l’hai trovata – fondamentale per una maggior condivisione». A mitigare la tristezza dell’omologazione ci provano aree come la Tree House, piene di legno rustico e piante vere («Non è stato banale far sopravvivere questo muschio stabilizzato solo con l’umidità interna»), destinate allo scambio di idee in libertà. Ma, se la storia insegna qualcosa, fino al 2012 avevano 25 direzioni in città. Ora 6.
NEW YORK DIMEZZATA DALLO SMART WORKING
Un mesetto fa sono andato a New York sulle tracce di un dato sorprendente: metà dei lavoratori non erano tornati in presenza. Innescando quello che vari specialisti hanno chiamato urban doom loop, il circolo vizioso della rovina urbana. L’inizio dell’articolo:
New York. Al ristorante Via Carota, dove nel tempo di un’attesa si poteva far fuori una bella fetta di un romanzo russo, ora non si arriva nemmeno in fondo a una rivista. In metropolitana il dibattito tra amici è addirittura su quale posto seduto preferisci: meglio vicino all’uscita o dentro, più riparato? Succede anche che la sontuosa New York Public Library, a dispetto degli orari ufficiali, un lunedì apra due ore dopo il previsto. E nessuno protesti. Non è che «la città che non dorme mai» sta cercando di dirci che, per forza maggiore pandemica, ha provato a fare un pisolino e… le è piaciuto? Certo è che l’eredità del Covid, il work from home, rischia di modificarne i connotati urbani come nessuna crisi mai.
Dal momento che solo metà dei lavoratori è rientrata in ufficio, spendendo 12 miliardi di dollari all’anno in meno in città, la metropoli corre a scartamento ridotto. Di «apocalisse degli uffici» parlano, in un paper recente, ricercatori di New York University e di Columbia. Immaginando il circolo vizioso, lo urban doom loop, che la preparerà: col crollo di lavoratori in presenza sprofonda il valore degli immobili da ufficio. E, con esso, le tasse per comprarli che poi finanziano i servizi locali. Non solo: gente ricca, con mestieri gestibili da remoto, si trasferisce al mare portandosi dietro shopping e tasse sul reddito. Bar e ristoranti soffrono, per non dire della morìa di lavasecco (chi ha bisogno di una giacca inamidata quando legioni restano in tuta alla scrivania?). Metropolitana e treni fanno meno corse. Gli homeless, scarseggiando i pedoni, spiccano. Tutte ulteriori ragioni per abbandonare la città. Dove crescono furti e rapine. Così altri decidono di far le valigie. Ma davvero siamo ai titoli di testa di 2023 Fuga da New York?
I LATIFONDISTI DI AIRBNB
Qualche anno fa avevo provato a decostruire la retorica del mi casa es tu casa che circonfonde Airbnb. A partire da alcuni luminosi latifondisti. Qui l’incipit:
Montegufoni (Firenze). L’host 95903847 entra nel suo castello a bordo di una Jeep verde militare. Il magnifico palazzo del ‘600, a mezz’ora da Firenze, nei secoli è passato di mano dai banchieri Acciaioli ai nobili inglesi Sitwell, quindi a suo padre Sergio Posarelli, imprenditore edile di Montelupo Fiorentino che durante il boom si era arricchito costruendo mezza Scandicci. E infine a lui, il cinquantaduenne Guido, occhi azzurri e capelli rossicci a spazzola, università in America e tour operator dagli anni 80, diventato oggi, stando alla lista dei dieci nemici pubblici di Federalberghi (che li individua con il numero assegnato dalla piattaforma), il primo latifondista di Airbnb in Italia. Con 507 annunci a suo nome, che corrispondono a un migliaio di case, di cui una quarantina di proprietà. Mentre le restanti le gestisce per conto di altri, avendo cura di farle fruttare il più possibile.
Fotografie professionali da mettere sul sito, descrizioni dettagliatissime, risposte rapide («Una volta eri efficiente se rispondevi entro un giorno, oggi entro un’ora») sono tutte seccature di cui non si dovranno occupare. Ci pensano lui e la sua decina di dipendenti, dietro una commissione del 25 per cento, di cui il 5 va all’azienda americana (oltre al 12 che già esige dall’ospite). La tranquillità ha un prezzo. Conoscere il mestiere pure. Così quest’uomo, per il semplice fatto di esistere, in un colpo solo distrugge due luoghi comuni sull’economia digitale. Uno antico: internet farà fuori tutti gli intermediari (qui li ha addirittura duplicati: la piattaforma e lui). Uno, più recente, per cui «Airbnb è una piattaforma da persona a persona e un’àncora di salvezza per gente che ha bisogno di un reddito supplementare» (come sostengono comunicati pubblicitari ufficiali).
PICCOLO BREVIARIO PER LA FINE DEL MONDO
Sulla newsletter del Venerdì (iscrivetevi!) ho segnalato uno strano libro interessante.
«Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto» dice Philip Roth in Operazione Shylock. Premessa perfetta per aprire quell'"oggetto editoriale non identificato" che è Dalla catastrofe alla speranza. Un alfabeto politico della vita offesa (Antonio Mandese Editore, pp. 160, 18 euro) di Alfonso Musci. Più taccuino di appunti di tante, ben digerite letture che libro in senso stretto dove «il lettore potrà muoversi a piacere e bracconare in qualunque direzione» come ammette lo stesso autore, normalista, studioso di Croce, un pezzo di vita dietro le quinte della politica attiva. Da Harvey a Pomeranz, dai francofortesi all'irresistibile avanzata cinese, dal terremoto di Lisbona «che guarì Voltaire dalla teodicea di Leibniz», fino al dilemma di Gramsci (le ignare persone prima del naufragio e i naufraghi sono le stesse persone?). Un florilegio di sollecitazioni intellettuali che non smettono di germogliare anche una volta messo giù il volumetto. Per spingere il lettore verso il traguardo asintotico, ma non per questo meno importante da inseguire, del Selbstdenken, il pensare autonomamente senza bisogno delle stampelle dell'autorità.
Epilogo
Ma sull’impatto di Airbnb sulle città italiane, grandi e piccole, ho addirittura scritto un libro (L’affittacamere del mondo) uscito nel momento più sfortunato della storia ma che mantiene una sua urgenza. Anzi, è più urgente che mai, come anche l’impazzimento di Milano dimostra.