#87 Porno subito
Un giorno con la star di Onlyfans; condom-wars nella San Fernando Valley; quando David Foster Wallace si cimentava con l'hard core
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Prologo
Il mio cognome mi conferisce una certa autorevolezza a parlare di porno. Mio cugino John Stagliano infatti è uno dei grandi registi del settore oltre che direttore di Buttman, rivista dalle iconiche copertine sul lato B, per così dire. Ed è per questo che il mio capo mi ha scelto per occuparmi della reginetta di Onlyfans che ho raccontato sulla copertina di oggi del Venerdì.
MISS ONLYFANS
Matilde Manucci, 23 anni, è la numero uno (ma son classifiche ballerine) di Onlyfans. Sta per laurearsi in scienze infermieristiche ma durante il lockdown, dietro suggerimento del fidanzato-manager (interessante psicologia, la sua), ha pensato che forse avrebbe fatto più soldi mettendo in rete suoi video porno e altre prestazioni hard core. I suoi genitori, con i quali vive vicino a Verona, non hanno particolarmente apprezzato. Ma la scommessa economica, a quanto pare, la vinta. Come si evince dal seguente estratto:
Quanto costa vederli? Qui il discorso si complica. Il primo passo è l’abbonamento al canale di Matilde che, senza particolari sconti, va sui 12 euro (lo segnalo all’ufficio note spese) per un mese. Ma quello basta giusto per gli antipasti: i trailer di video in cui Matilde annuncia sesso a tre, performance lesbiche o foto molto hard il cui tariffario verrà rivelato via chat. Tu scrivi, Matilde risponde. In tempi stretti e proprio lei («Moltissime mie colleghe hanno agenzie, spesso con addetti uomini che rispondono fingendosi donne. Io no»). I clienti apprezzano l’autenticità. Quanti sono? «È difficile dire, perché c’è un forte turnover e le promozioni variano molto il prezzo, ma sui 2500/3000 dai cui abbonamenti base vengono circa 3000 euro al mese. Il resto invece dalle prestazioni extra. Che, per la maggior parte, oscillano tra i 25 euro per una foto al volo ai 150 per un video. Per richieste più elaborate un solo cliente, il mese scorso, ha pagato prima 700 euro e poi altri 1000» dice Matilde. Ma elaborate quanto? I due si guardano, non vogliono dettagliare, salvo che uno voleva un barattolino di sua urina e gliel’hanno spedita mentre per le mutandine usate incomprensibilmente non si sono ancora attrezzati. Ho letto che fate sui 10 mila euro al mese? «È un dato vecchio. Ora raggiungiamo anche i 15/18 mila» dice serissimo il manager Alberto, già al netto del 20 percento trattenuto dalla piattaforma (un altro 20 lo prende all’abbonato).
Il vero mistero, a questo punto, è come sia possibile che con questi stipendi da parlamentare vivano ancora a casa dei genitori, per di più giudicanti. Matilde non vede il problema: «Mi manca giusto la tesi, cercare casa e traslocare sarebbe stato uno stress in più». Alberto, figlio unico di papà dentista, neppure: «Una casa è una passività, non genera altri soldi e noi invece li vogliamo massimizzare». Tra brand, posizionamento e altro marketinghese parla come uno studente di economia aziendale ma in realtà è diplomato al conservatorio in chitarra jazz anche se, da ultimo, ha sviluppato una passione per il trading di Borsa e ha coinvolto amici informatici in un software per automatizzare acquisti e vendite. Unica certezza assoluta: «Diventare milionario entro dieci anni».
L’INTERVISTA VIDEO
Sì, non ci siamo fatti mancare niente: l’intervista video è qui:
PAURA SUL FRONTE DEL PORNO
Anni fa, a seguito dell’ennesima polemica sul fatto che sui set porno qualcuno provasse a non usare il preservativo, ero andato a fare il punto di quella fervida industria. Il pezzo iniziava così:
LOS ANGELES. «Immaginate i gladiatori nell’arena con la spada di gommapiuma... ecco, lo spettacolo non ci avrebbe guadagnato, e sarebbe un po’ la stessa cosa». Il porno con il preservativo, per Bill Margold, è una contraddizione in termini. Un affronto estetico che attenta all’etica della professione di cui è stato tutto: attore, regista, assistente sociale e dunque memoria storica. «Rubber up, sales down», più gomma, meno vendite, sintetizza. Serve a poco ricordargli che, come responsabile del Protecting Adult Welfare, un numero verde per aiutare i lavoratori hard core sull’orlo di una crisi di nervi o alle prese con ogni genere di malattia venerea, dovrebbe sembrare almeno un po’ preoccupato dall’ultimo caso di hiv che ha squassato l’industria. E che, quanto a ossimori, non scherza neppure il suo salottino popolato in perfetta par condicio da decine di Teddy Bear di pelouche e altrettante foto di ex-partner di scena, col tipico vestito adamitico che il ruolo richiede. «Perché tanti orsetti? Sono animali buoni che proteggono gli altri», ribatte, come se fosse la cosa più scontata per un sessantasettenne già pioniere del genere anal vivere nell’apparente cameretta di un cinquenne. Ma questa è l’industria cinematografica più esagerata e ricca del mondo, «il fratello rosso e grosso di Hollywood» (circa 4 miliardi di dollari contro 2,5 di fatturato), e se cercate normalità avete sbagliato indirizzo.
Nella San Fernando Valley, la propaggine sporcacciona di Los Angeles, a ottobre scorso un attore è risultato sieropositivo e le società di produzione hanno messo in quarantena i cast per quasi un mese. Puntuale come la passeggiata kantiana, è ripartito il dibattito più antico e inconcludente del settore: condom facoltativi od obbligatori? Due settimane fa un tribunale d’appello della contea si è pronunciato: nessun obbligo. La prima persona cui chiedere un parere è Steve Hirsh, fondatore e presidente della Vivid Entertainment, la più grande major hard del mondo. Uomo indaffaratissimo, non dà appuntamenti senza congruo preavviso. L’unico motivo per cui lui e gli altri protagonisti di questa storia faranno uno strappo al protocollo ha a che fare con una caratteristica del vostro cronista. (…). Un po’ come se l’inviato a una fiera automobilistica si chiamasse Agnelli o quello alle sfilate Armani. Il dubbio viene, e vince. Hirsh mi riceve nello studio ricolmo di Avn Awards, gli oscar del ramo. «Cominciamo dai dati di fatto» esordisce questo cinquantenne in maglietta nera e bicipite scolpito, «i preservativi incidono sulle vendite dei video, riducendole di quasi un terzo. Ma se fosse l’unico modo per proteggere i nostri artisti li imporremmo comunque. Crediamo però che un sistema stringente di analisi funzioni altrettanto bene. E il fatto che negli ultimi due anni, su circa 200 mila scene girate, si siano registrati solo due casi ne è la conferma». L’obbligatorietà, secondo lui, avrebbe conseguenze catastrofiche sull’industria: «Si sposterebbe altrove, in Nevada, New Mexico, ovunque tranne che qui, e che diremmo alle migliaia di famiglie che vi lavorano?». Sull’obiezione che il suo concorrente, la Wicked Entertainment, pratichi da un decennio questa politica senza soverchie ripercussioni commerciali non vuole commentare.
BENVENUTI NELLA ZONA DE-IRONIZZATA
In Considera l’aragosta, la pirotecnica raccolta di pezzi giornalistici di David Foster Wallace, c’è anche Il figlio grande e rosso, che si riferisce al rapporto tra Hollywood e la San Fernando Valley, epicentro del porno statunitense. È, come al solito, un irresistibile mix di intelligenza laser e ironia nucleare. Un paio di estratti:
Dal discorso di ringraziamento del sig. Tom Byron, sabato 10 gennaio 1998, sala da ballo del Caesars Forum, complesso del Caesars Palace Hotel e Casinò, Las Vegas, Nevada, dopo aver ricevuto il premio «Avn» 1998 per il Miglior attore dell’anno (e con non poco sentimento): – Voglio ringraziare ogni bella donna in cui ho infilato l’uccello [risate, urla, ovazione].
Dal discorso di ringraziamento della sig.na Jeanna Fine, ibid., dopo aver ricevuto il premio «Avn» 1998 per la Miglior attrice non protagonista per la sua interpretazione in Miscredenti, di Rob Black: – Oh, Gesù, per qual è pure questo, Miscredenti? Oh, Gesù, è stato un altro di quelli dove ho letto il copione e ho pensato: «Merda, qui finisco all’inferno [risate, urla]. Ma fa lo stesso, perché tanto ci saranno anche tutti i miei amici!» [Enorme scroscio di risate, urla, applausi].
Dall’intermezzo umoristico del sig. Bobby Slayton, comico professionista e presentatore agli Avna del 1997: – Sono in gran forma, lo so, sembro più giovane, perché ho cominciato a usare la Formula speciale degli antichi Greci. Ogni volta che mi spunta un capello bianco, gliela metto in culo a mia moglie. [Nessuna risata, mormorii sparsi]. ’Fanculo. È una battuta bellissima. ’Fanculo.
Bobby Slayton, una brutta copia di Dice Clay con la voce rauca, che continuava a presentare ogni attrice come «la don na per cui sarei disposto a tagliarmi il cazzo», e che ha lasciato sgomenti tutti i giornalisti presenti sia per la sua assoluta man canza di comicità che per la sua spiccata somiglianza a ogni sin golo spacciatore di coca che abbiamo mai conosciuto, per fortuna non partecipa alla cerimonia di premiazione del 1998.
e poi
L’industria del porno è volgare. Chi lo negherebbe? Una del le categorie degli Avn Awards è «Miglior film a tema anale»; un’altra è «Miglior campagna di marketing-Immagine dell’azienda». Irresistibile, vincitore di varie categorie nel 1983, è stato scritto Irresistibbile in «Adult Video News» per quindici anni di fila. L’industria non è solo volgare, ma lo è in maniera prevedibile. I cliché sono tutti veri. Il classico produttore porno è davvero l’omino brutto con il parrucchino e al mignolo un anello delle dimensioni di una pasticca per la gola. Il classico regista porno è davvero il tipo che usa la parola classe come sostantivo per dire raffinatezza. La classica attrice porno è davvero la signora con l’abito da sera in Lycra e le braccia tatuate che riesce contemporaneamente a fumare, masticare una gomma e raccontare ai giornalisti quanto è riconoscente alla Wadcutter Productions Ltd. per averle pagato l’ingrandimento del seno. E non scherza. L’intero fine settimana degli Avn Awards si svolge in quella che il sig. Dick Filth chiama una Zona de-ironizzata.
Epilogo
Ok, lo confesso, John non è mio cugino, sebbene averlo fatto credere nel giro del porno mi ha spalancato molte porte.