#73 Fascisti su Lucca
La nuova giunta va al governo grazie al decisivo apporto di Casapound, ma in città nessuno se ne cura; in Finlandia han trovato la ricetta per gli homeless; i robot non fanno più paura? (not so fast)
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Prologo
Sono stato un po’ in vacanza e ci sono state altre distrazioni. Recupero un po’ di arretrati.
IN MARCIA SU LUCCA
Sul Venerdì di oggi racconto il piccolo terremoto politico che ha portato, al governo della città di Lucca, anche i fascisti di Casapound. Che però non vogliono parlare del loro rapporto col fascismo e rifiutano di essere intervistati. La cosa più interessante, però, è il voluttuoso disinteresse che l’elettorato lucchese ha dimostrato per queste ascendenze. Anzi, il neo-sindaco Pardini indica proprio in loro l’argomento a sua discolpa: se anche gente che votava a sinistra ora ha votato per noi significa che il pericolo fascista non esiste. Già. Un estratto:
Lo dice anche il vincitore, tra un alert e l'altro sugli incendi che bruciano la Versilia, nel suo bellissimo ufficio a palazzo Orsetti. «Se anche la Giorgi, Giorgio Del Ghingaro e altri ci hanno appoggiato, vuol dire che non eravamo percepiti come estremisti» osserva Mario Pardini. Quello di Del Ghingaro, attuale sindaco di Viareggio in quota centrosinistra, è tra i carpiati più arditi di questa vicenda. Dicono che avrebbe voluto essere lui il candidato del centrosinistra e quando Letta ha fatto chiarezza con le primarie non l'ha presa bene. Da qui la vendetta, a dispetto della compagnia fascista. Pardini ribadisce di essere «moderato e antifascista», dice che Barsanti «ha dimostrato nei fatti quanto vale». Non è preoccupato: «Più che le idee, sono le cose che si fanno a contare». Pia illusione. Tant'è che proprio quel giorno Barsanti ha preso pubblicamente le distanze dalla solidarietà del sindaco nei confronti di Draghi. «E comunque non è Casapound, ma una lista civica» insiste. Tra tutte le difese questa formalista è la più risibile. Barsanti è il fondatore di Casapound a Lucca. E lui che ha aperto la sede di via Rosi dove, tra le maglie della serranda abbassata, spuntano ritratti di Julius Evola, il repubblichino Bombacci e una sfilza di libri da L'inganno antirazzista a Il tramonto del mondo bianco. Fino a poche settimane fa gestiva, assieme al camerata (e attuale consigliere delegato alle tradizioni storiche) Lorenzo del Barga, il locale negozio Pivert, la linea di abbigliamento di Casapound. Dite di non avere problemi con la destra estrema, ma senza arrampicarvi sugli specchi. D'altronde, tra i dettagli biografici che Pardini omette (suo padre aveva uno dei mulini più grandi d'Europa), c'è che il suo socio in un'azienda vinicola in Argentina era Iacopo Di Bugno, militante di Casapound e responsabile di L'Augusta, l'associazione culturale che si batte contro «il pensiero unico e il politicamente corretto». Il neo-sindaco dice di non sapere neanche che la sua sostenitrice Beatrice Venezi, l'avvenente direttrice d'orchestra che ci tiene a essere chiamata «direttore» e che l'aveva pubblicamente sostenuto, è la figlia di un ex candidato sindaco di Forza Nuova. L'unico vero precedente politico per lui risale al '94 quando, col «kit del presidente» Berlusconi in mano, fu tra i più giovani consiglieri comunali di Forza Italia. Quindi politicamente coetaneo di Elio Vito che, proprio sull'«apparentamento a Lucca con formazioni estremistiche di destra» ha deciso di lasciare il partito, perché «l’antifascismo è un valore costitutivo della Repubblica rispetto al quale non vi può essere alcuna deroga». Parole veterotestamentarie che qui suonano esotiche.
L’articolo ha avuto qualche eco nella città toscana. Aldo Grandi, il direttore de La gazzetta di Lucca, non ha apprezzato come l’ho citato e, dopo avermi chiamato cinque volte in mezz’ora (non rispondevo perché stavo facendo interviste) mi ha mandato un paio di whatsapp di fuoco al grido di «chi cazzo sei» ha scritto un pezzetto sul sito che dirige dicendo che era un pezzo scritto a cazzo di cane e, per esplicitare meglio il concetto, l’ha illustrato con una foto di un cazzo di un cane. Ama l’iconografia didascalica. Poi su Facebook ci sono stati alcuni focolai di discussione che, in buona sostanza, mi accusavano di aver scritto molto di fascisti e non abbastanza degli errori del Pd. Disconoscendo l’elementare verità che “errore” è il secondo nome del Pd (ne ho scritto raccontando le disfatte a Ferrara, i rischi di batoste a Cascina e così via). Dal momento che il giornalismo ha a che fare con le cose nuove (la radice di news dovrebbe mettere sull’avviso), il punto di vista più interessante era che “i fascisti del terzo millennio” (cit.) espugnassero la città democristiana. Senza nessun significativo frisson nella sinistra locale. Almeno quello era il punto di vista più interessante per me. Dico per me perché, in altri commenti, si ipotizzava (proiettando forse abitudini proprie) che il mio fosse giornalismo da riporto, per cui il capo mi manda in un posto col compito di riportare l’osso che vuole lui. Fortunatamente non è così. La quasi totalità dei pezzi che faccio sono proposte mie (e le altre sono idee che avrei voluto avere). È un lusso supremo, lo so, e ne sono molto grato a chi (grazie Livio Quagliata!) me lo concede. Per finire, se non vi è piaciuto prendetela tranquillamente con me, senza incolpare la Trilaterale. Il fatto che la buona borghesia lucchese abbia mandato al governo della città una lista neofascista per me era e resta una notiziona sui tempi che stiamo vivendo. Non buona.
GLI HOMELESS? A HELSINKI SANNO COME TRATTARLI
Sul Venerdì scorso è uscito invece questo pezzo che inizia così:
HELSINKI. Sul letto singolo in ferro bianco c'è un piumino rosa con tre cuscini fucsia e un grande orso di pelouche, sempre nel colore più schifato dalle femministe, con un cuore rosso cucito sulla zampa. Sotto la tv puttini in ceramica; sopra, una cornice multipla per foto con al centro la scritta Love. Se non fosse per la testa di Bob Marley stampata su un manifesto di stoffa nessuno potrebbe dubitare che si trattasse della cameretta di una decenne in fiore. E invece ci vive Tuja, cinquantadue anni precocemente appassiti grazie a una potente marinata di droghe e alcol. Con un figlio che occasionalmente la viene a trovare, due figlie di cui preferisce non parlare e il dolore di un paio di cari amici morti di recente. Scalza, con una vezzosa cavigliera, chiacchiera al tavolino con un'ospite. Dopo anni a dormire per strada e un passaggio in una struttura più tradizionale ha finalmente vinto l'equivalente della lotteria essendo stata ammessa qui, nella tranquilla via Alppikatu, assieme a un'ottantina di altri ospiti. In una delle comunità assistite che, sfidando la candidatura al Premio Lapalisse, han deciso che per risolvere il problema dei senzatetto non ci fosse niente di meglio che mettergliene uno sulla testa. Compiendo così una rivoluzione silenziosa (i beneficiati sono categoria senza ufficio stampa) che confina col miracoloso: mentre in tutta Europa gli homeless aumentano, in Finlandia sono calati di oltre la metà. Com'è stato a possibile?
La risposta breve è: volendolo fortemente. Tutti insieme: comune, governo, chiesa. E poi facendolo, secondo un approccio sperimentale già visto all'opera per il reddito di base, testato per due anni, verificato e non ripetuto perché il benessere dei partecipanti era aumentato ma non le immissioni nel mercato del lavoro. Questo non è un paese per guerre di religione: se hanno un problema cercano una soluzione, se non funziona ne cercano un'altra. Juha Kaakinen, appena andato in pensione da presidente della Y-Foundation che ha finanziato l'imponente sforzo immobiliare, è quanto di più vicino al papà dell'Housing First finlandese. Che si ispira agli omonimi insegnamenti teorizzati nella New York degli anni '90 dallo psicologo Sam Tsemberis: "quello alla casa è un diritto umano", "separazione di accoglienza e trattamento", "riduzione del danno". Principi messi in pratica qui, ma con un di più scandinavo: «In verità ci siamo arrivati per conto nostro e rispetto a loro puntiamo di più su sistemazioni permanenti. Per sentirsi davvero a casa un essere umano ha bisogno di un nome su un campanello» dice Kaakinen riassumendo una presentazione a slide battenti di Marko Lahtela, il giovane gestore della struttura gestita dall'Esercito della salvezza. Dati salienti: 81 appartamenti (monolocali da una ventina di metri quadrati) per 85 residenti. Ognuno con un contratto d'affitto sui 500 euro al mese (pari a circa 250 nostri, considerato l'incommensurabile potere d'acquisto) che, in otto casi su dieci, viene integralmente pagato da sussidi statali («Dalle loro tasche, quando sono in condizione di farlo, esce al massimo un centinaio di euro che possono guadagnare prendendo parte a piccole attività quotidiane», tipo pulire le aree comuni, per un massimo di otto euro al giorno). Colazione e pranzo inclusi, per cena ognuno provvede da sé, cucinando in stanza o nei locali condivisi.
I ROBOT? ORA MI FANNO MENO PAURA
La settimana prima ancora avevo intervistato martin Ford, autore di un libro di successo sui robot, che ora sembra aver molto ammorbidito la sua posizione:
Nel suo libro del 2017 (edizione italiana) sosteneva che i robot stavano rubando lavori agli umani. Ma, almeno fino al Covid, nel suo Paese il tasso di disoccupazione era ai minimi storici. Si era sbagliato?«Ammetto che non mi aspettavo che il tasso di disoccupazione sarebbe stato così basso. Tuttavia quell’indicatore fotografa solo le persone che stanno attivamente cercando lavoro, non chi ha rinunciato o è uscito dalla forza lavoro. Un segmento su cui ritengo che la tecnologia stia avendo un impatto importante. Nel 1965 il 97 per cento degli americani nella fascia d’età 25-55 anni erano impiegati o in attiva ricerca di impiego. Nel 2019 quella quota era dell’89 per cento. Oggi siamo sulla soglia di una recessione e la situazione potrebbe presto cambiare».Nel libro nuovo invece segnala come Amazon, che pure utilizza molti robot, stia ancora assumendo a ritmi sostenuti. In che modo, allora, l’automazione starebbe cambiando il lavoro degli umani?«Il sistema è concepito in modo tale che le persone facciano le cose che i robot non sono ancora capaci di fare. A oggi ciò significa ritirare le merci dagli scaffali o inserirne di nuove quando i piccoli robot Kiva portano interi scaffali davanti al magazziniere. In altre parole, gli umani mantengono quei lavori perché le macchine non hanno ancora la destrezza per completare quei compiti. Destrezza che, in una profezia di Jeff Bezos, sarebbe stata raggiunta in un decennio. Inoltre gli umani vengono sempre più trattati come robot biologici e spinti oltre i loro limiti. Gli incidenti sul lavoro nei magazzini Amazon ammontano a più del doppio della media dei magazzini industriali».
Epilogo
Nel frattempo, in un mare di cattive notizie, è successo anche qualcosa di buono e inaspettato. Ho scoperto infatti che Marco Paolini, in una lezione magistrale, ha citato ampliamento dai miei libri e che quegli stessi argomenti son finiti, al termine di una carambola nient’affatto scontata (è tutto spiegato qui), in una discussione presso la Corte Costituzionale. Sorprendente la vita!