#7 Musk, su Marte e oltre
Il marziano Musk; lo stratega Bezos; il perfezionista Jobs; lo spietato Gates (prima della conversione); la Spac-mania; un irresistibile Martin Amis; The Dissident; Fiona Apple al suo meglio
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Prologo
Ci sono parole inglesi che usiamo come gli inglesi non le userebbero mai (open space, ad esempio, per descrivere l’ufficio dove si sta tutti insieme in un grande ambiente, che invece si dice open-plan office. Oppure stage, pronunciato all’inglese che vuol dire palco mentre noi lo intendiamo alla francese, come tirocinio non pagato. Per non dire di smart working, che connota positivamente una cosa che invece può essere intelligente o stupida a seconda di chi la fa e di come la fa (e infatti in America il termine è, semplicemente, Work From Home, WFH). Quando non le traduciamo male le assimiliamo, anche se nella nostra lingua il termine aveva un altro significato. È il caso di visionario, che in italiano significa primariamente «Che ha delle visioni, delle apparizioni soprannaturali o delle allucinazioni visive: un santone, un fanatico v.; un soggetto paranoico v.; una ragazza psichicamente labile» e, in senso esteso, «Che immagina e ritiene vere cose non rispondenti alla realtà, o elabora disegni inattuabili». È probabilmente l’aggettivo più abusato per descrivere imprenditori californiani con idee particolarmente ambiziose e innovative. E se spesso si largheggia utilizzandolo, non mi viene in mente nessuno per cui si attagli così precisamente come per Elon Musk. Se c’è un visionario, nel bene e nel male, quello è lui. Fine del prologo.
MUSK, IL MARZIANO
Questa settimana dedichiamo la copertina del Venerdì al co-fondatore di Tesla e fondatore di SpaceX. In questi ultimi anni ho provato a intervistarlo innumerevoli volte. Prima non rispondevano. Poi rispondevano che sarei dovuto andare a Parigi a provare una Tesla come pegno della mia serietà. Poi hanno ricominciato a non rispondere. Dunque ho parlato a lungo col suo biografo, col suo nemico pubblico numero uno, col decano dei reporter della Silicon Valley e un altro po’ di persone. Ne è risultato un lungo pezzo (360 righe) che prova a rendere merito del genio e della sregolatezza dell’uomo. La cosa di cui vado più fiero è di aver segnalato alcune brucianti antinomie dell’uomo. Tipo dichiararsi ambientalista e produrre auto, ancorché elettriche, con un’accelerazione maggiore di una Ferrari e poi la passione per Bitcoin e dintorni. Minuscolo estratto (il pezzo intero qui):
Tutto questo amore per le criptomonete, oltre ad avallare strumenti speculativi che economisti come Nouriel Roubini vedono come il male assoluto, fa esplodere anche l’ennesima contraddizione sulla sua strombazzata preoccupazione per il pianeta dal momento che i computer che servono per crearle assorbono lo 0,56 del fabbisogno elettrico mondiale. Eccolo il libertario sussidiato, l’autistico romantico, l’ambientalista energivoro. «Non ci sono, sulla Terra, problemi più pressanti di Marte?» provoca uno dei rari critici nella biografia citata. Mi risponde Vance: «Certo, ma è un’obiezione che potremo fare a tanti: a ognuno interessa ciò che accende lui, non un altro». Arriva a ipotizzare che Musk abbia messo in piedi tutto questo circo per combattere la sua «profonda insicurezza, una tendenza all’auto-sabotaggio» con radici profonde.
BEZOS, IL LUNGO-TERMINISTA
Qualche numero fa avevamo invece fatto una copertina su Jeff Bezos, provando a decodificare il modo in cui funziona il suo cervello desumendolo, tra l’altro, da oltre vent’anni di lettere scritte agli investitori e raccolte nel libro Inventa & Sogna. Come mister Tesla (il biografo Vance parla di una “teoria del campo unificato di Musk”) anche il dottor Amazon ha un modo di funzionare sinottico, per cui ogni aspetto dei suoi affari interagisce con ogni altro aspetto. O, nelle parole adoperate nel pezzo:
Più che un'azienda è un'ecosistema dove business apparentemente irrelati si parlano fitto fitto nella testa del fondatore. O, per dirlo con la lettera del 2014, «Sono abbastanza sicuro che siamo la prima azienda che ha scoperto come trasformare la vincita di un Golden Globe in un aumento nella vendita di attrezzi per il bricolage e di salviette umidificate per neonati». Si riferisce al premio per la serie Transparent, su un padre che in vecchiaia si rivela trans, e ai suoi effetti collaterali. Ovvero attivare il circolo virtuoso che fa, più o meno, così. Ridurre la quantità di cartone dei pacchi o il tempo per spedirli consente risparmi. Che a loro volta si trasformano in ribassi sui prezzi. Che aumentano il volume delle vendite. Che riducono i costi fissi (non cambia molto far funzionare un server per mille o diecimila transazioni), consentendo ulteriori ribassi sui prezzi. «I clienti li amano e, nel lungo periodo, fanno bene anche a voi» scriveva nel 2000 agli azionisti, avvisandoli: «Aspettatevi di vederci ripetere questo loop». Ad infinitum. E così è stato. Ma se è vero che un abbonato Prime spende in media 1400 dollari all'anno contro i 600 di uno non Prime, bisogna inventarsi sempre nuovi motivi per farlo iscrivere. Quindi la musica. Lo spazio illimitato per archiviare le foto. E via aggiungendo. Soprattutto i film, e ci siamo arrivati, che se vincono premi più gente vuole vederli, anche a costo di abbonarsi. Facendo ripartire quel meccanismo che, dal 1997 della quotazione a oggi, ha moltiplicato il valore delle azioni di 170 volte, per cui se avevi investito 1000 dollari ora ti compravi un monolocale.
JOBS, PERFEZIONISTA TOTALE
Nove anni fa, invece, Feltrinelli mi chiese di scrivere un’introduzione al dvd Steve Jobs. L’intervista perduta, una delle rare concesse, a Bob Cringely nel 1995, l'anno di nascita della new economy, ovvero quello in cui molto di ciò che avevamo imparato a conoscere della tecnologia era sul punto di cambiare. Avevo provato a strutturarla mimando il sistema operativo delle macchine inventate dal cofondatore di Apple. Tra i tratti principali dell’imprenditore, oltre a un’attenzione maniacale all’estetica dei prodotti, c’era un più generale perfezionismo che non gli lasciava scampo. Scrivevo:
Per Jobs il meglio non è nemico del bene. Anzi, è l'unico amico che si deve avere, per cui vale la pena vivere. Stando a un suo censimento impressionistico ma suggestivo, «nella maggior parte delle cose lo scarto di prestazione tra il livello standard e il massimo è di uno a due». Così a New York, se sei tanto fortunato da capitare con il miglior tassista della città, forse arriverai a destinazione un terzo del tempo prima che con uno ordinario. E tra un lettore cd così-così e uno extra-lusso? Il differenziale si aggira intorno a un quinto. Per il software e l'hardware, invece, la regola salta: «La differenza può essere di 50 a 1, a volte anche 100 a 1. Io ho avuto la fortuna di occuparmi proprio di questi settori. E ho costruito il mio successo rifiutando di accontentarmi di persone di qualità B e C e trovando solo quelle di qualità A. E ho scoperto che quando metti insieme una squadra siffatta, si auto-organizza e non accetta più persone di qualità meno che massima. Il team del Mac era così».
Si è scritto del suo peculiare sincretismo che, nelle parole di Evgeny Morozov, lo faceva essere «un convinto vegetariano e un agguerrito buddista». L'unica sua vera ideologia è quella del don't settle. «Mai mettersi troppo comodi». Come Beckett, che scriveva in francese per lo stessa ossessione auto-pedagogica. Non è solo una furia giovanile. La ripete nel 2005 alle matricole di Stanford, nel discorso che lo renderà famoso anche come retore: «Dovete trovare quel che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita, e l’unico modo per essere realmente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, continuate a cercare sino a che non lo avrete trovato. Non vi accontentate».
GATES, PRIMA CHE DIVENTASSE BUONO
Ventun’anni fa, il tempo vola :-), usciva sempre per Feltrinelli Bill Gates. Una biografia non autorizzata. Microsoft era allora stata denunciata da 19 stati americani per comportamenti anti-concorrenziali. Si parlava di farne uno spezzatino, come oggi si ipotizza per Google, Amazon e tante altre Big Tech. Gates era un imprenditore famoso per la sua spietatezza. Aveva intortato anche il socio Paul Allen, dividendo la società a suo favore (60 contro 40 per cento, sebbene Allen fosse il programmatore più maturo). Non faceva ancora beneficienza. Non so se fosse un altro uomo rispetto al fenomenale filantropo di oggi (anche se la filantropia non può essere mai la soluzione a welfare inesistenti o investimenti pubblici scarsi), senz’altro era un’altra epoca. Inevitabilmente facendo i conti con quella spiegavo che l’intento del libro era
…avvicinarsi all'obiettivo di sgombrare il campo da alcuni miti che circondano l'uomo e l'azienda che incarna. Soprattutto riguardo alla portata delle sue invenzioni e al suo ruolo innovativo nell'industria che adesso domina. "Il messaggio che si può trarre guardando alla sua carriera è: "Può essere più saggio seguire che guidare." - ha scritto su "Time" David Gelernter, professore di computer science a Yale e una delle vittime della follia terroristica dell'Unabomber - Lasciate che le truppe degli innovatori sbarchino sulle spiagge e subiscano le perdite; se voi aspettate un po' e li seguite, potrete raccoglierne i benefici in santa pace. Gates è il Bing Crosby della tecnologia americana: ha preso in prestito una strofa qui e una là e le ha messe insieme facendo venir fuori canzoni da numero uno dell'hit-parade". Certo ci vuole abilità nel riciclare le idee altrui, reimpacchettarle in maniera migliore e farle vendere come il pane. Un'abilità micidiale, quella che fa sì che il mio e il vostro 740 rappresentino soltanto una goccia rispetto all'oceano di quello dell'uomo che da solo ormai vale il Prodotto interno lordo di un intero stato in via di sviluppo. Ma un'abilità diversa da quella che la maggior parte dell'opinione pubblica, a forza di sentirlo ripetere, gli attribuisce. Provate a chiedere a un qualsiasi vostro amico che non faccia l'informatico di professione qual è il singolo successo che ha reso celebre Bill Gates? "È quello che ha inventato il Basic". Falso: il Beginner's All-purpouse Simbolic Instruction Code fu scritto nel 1964 da John G. Kemeney e Thomas E. Kurtz, due prof del Darthmouth College, in New Hampshire mentre Gates e Allen si limitarono ad adattarlo all'Altair 8800. "È quello che ha inventato il personal computer", allora. Falso: il primo pc che ebbe una qualche diffusione di massa fu appunto l'Altair partorito dall'ingegno di Ed Roberts e al quale il duo di Seattle fornì il linguaggio di programmazione. "È quello che ha progettato il Dos", quindi. Falso: nel 1980, quando Ibm aveva urgente bisogno di un sistema operativo per il suo imminente pc chiese aiuto a Microsoft. Gates dapprima li dirottò sul Cp/m di Gary Kildall ma poi cambiò idea e comprò dalla Seattle Computer Products il Q-Dos sviluppato dallo zelante Tim Paterson (accusato a sua volta di averlo clonato dal programma di Kildall). Furono apportate alcune modifiche e, con il nome Ms-Dos, il sistema operativo fu fornito a Big Blue per diventare presto l'incontrastato standard di mercato. "È l'inventore del sistema a finestre, quelle che oggi usiamo tutti sui nostri computer", infine. Falso: le cosiddette "interfacce grafiche" nacquero al Palo Alto Research Center della Xerox. La Apple fu la prima a incorporarle in un prodotto di massa, il Macintosh, nel gennaio dell'84. Buon ultimo arrivò Windows, la cui prima versione data 1985 ma che cominciò a funzionare per bene solo con la release 3.0 del 1990. Capite cosa intendevo parlando di ingiustificata mitologia? Con il fenomeno di Internet le cose non sono andate diversamente. Se Netscape fu fondata nel 1994 decretando la prima vera popolarizzazione della rete, Microsoft non annunciò la sua conversione all'online che nel dicembre del '95 per poi cercare di recuperare il tempo perduto acquistando dalla Spyglass la prima, fiacca versione del software che sarebbe stato chiamato Internet Explorer.
SPAC, ULTIMA MANIA DELLA VALLE
In Finalmente è Venerdì scrivo delle Spac, l’ultima mania della Silicon Valley. Stanno per Special purpose acquisition vehicles e costuiscono dei modi alternativi per quotarsi in Borsa. In pratica si tratta di shell companies, gusci vuoti ma pieni di soldi messi da altrettanti investitori, in cerca d’autore. Ovvero in cerca di società promettenti da acquisire, per farle crescere. Rispetto alle vecchie Ipo (initial public offering) si risparmiano un sacco di soldi, vale a dire le commissioni per le banche che curavano la quotazione, e di tempo. La settimana prima, sul Venerdì, avevo parlato anche di un altro metodo alternativo disponibile da poco anche in Italia: il crowdlisting.
DA LEGGERE: L’ATTRITO DEL TEMPO
Ora, per la tendenza monografica che LSDC (questa newsletter in acronimo) ha preso, ci starebbe un libro sulla Silicon Valley. Ce l’avrei anche ma mi sono pentito rispetto all’autore (un giorno spiegherò meglio) e quindi spariglio, consigliando una cosa sublime, che ci sta sempre bene: L’attrito del tempo di Martin Amis. L’associazione di idee è scattata, dal momento che i nostri quattro tecnologi hanno un patrimonio combinato superiore al mezzo trilione di dollari, a proposito di una frase su John Travolta, che è la prima tra quelle citate. L’ultima, invece (pronunciata da Amis medesimo) è dedicata a Musk (qui un estratto: il libro è davvero irresistibile).
Qualcuno ha descritto Travolta come un milionario che vive da miliardario.
Forse è questa la dote maggiore di Trump: un istinto da coccodrillo per le prede inerti, preferibilmente moribonde.
Ho dimostrato che io avevo ragione e tutti gli altri torto. TUTTI! Se siamo d’accordo sul fatto che parlare di sé in terza persona di solito non è segno di salute mentale, come dobbiamo interpretare le seguenti frasi? Donald Trump costruisce edifici. Donald Trump progetta magnifici campi da golf.
La felicità, osserva Montherlant, scrive in bianco: sulla pagina risulta invisibile. E lo stesso vale per la bontà.
Ma mettiamola cosí: dieci anni fa, quando scrivevo, mi dicevo: «Ho talmente tanto da fare che non posso nemmeno permettermi di fare la cacca». Adesso mi dico: «Ho talmente tanto da fare che non posso nemmeno permettermi di fare la pipí».
DA VEDERE: THE DISSIDENT
L’alternate take del celebre “Rinascimento saudita”.
DA ASCOLTARE: EXTRAORDINARY MACHINE
Parlando di personalità borderline me ne è venuta in mente una super di talento: Fiona Apple e la sua Extraordinary Machine (tutto l’album era superbo). Dove dice: «I certainly haven't been shopping for any new shoes/And I certainly haven't been spreading myself around/I still only travel by foot and by foot it's a slow climb/But, I'm good at being uncomfortable/So I can't stop changing all the time».
Epilogo
Se volete vedere com’è Marte prima di decidere se prenotare un biglietto per andarci, prossimamente, niente di meglio che immergersi in questa foto ad altissima risoluzione scattata dal Perseverance (cliccate qui sopra e poi potrete zoomare dentro per vedere anche i singoli sassi).
E per finire davvero, prima di Elon per me Musk era solo un link mnestico a questa vecchia pubblicità. Qualcuno se la ricorda? Ciao!