#67 Nei rifugi anti-tutto di Helsinki
Estote parati; reddito di base alla finlandese; una centrale nucleare incubo logistico; il quartiere che sembrava una Facebook dal vivo; andiamoci piano con Marte
ARTICOLI. LIBRI. VIDEO. PODCAST. LIVE. BIO.
Prologo
Only the Paranoid Survive era il titolo della biografia di Andrew Grove, leggendario co-fondatore di Intel sopravvissuto a tumori e alla concorrenza nella Silicon Valley. Se c’è un posto che ha preso sul serio il comandamento è la Finlandia.
SEMPRE PRONTI AL PEGGIO
Dopo la guerra d’inverno contro i sovietici del 1939-40 i finlandesi hanno giurato “mai più”. Nel senso: mai più impreparati ad attacchi esterni. Che, per un paese che condivide 1340 km di confine con la Russia, ha un significato molto preciso. Da allora si addestrano all’evenienza e hanno costruito rifugi su rifugi pronti ad accogliere tutta la popolazione, e anche di più. Ne ho visitato uno nel centro della capitale. Un estratto dal pezzo del Venerdì (anche con video):
Il Kokonaisturvallisuus, "sicurezza onnicomprensiva", è come qui intendono la preparedness inglese, un concetto così anti-italiano che da noi ha bisogno di due parole: essere preparati. Per i finlandesi è una seconda pelle. Che milletrecentoquaranta chilometri di confine con la Russia ha ispessito. «Come piccola nazione abbiamo imparato dalla seconda guerra mondiale la lezione di difenderci da soli. È la nostra assicurazione sulla vita» riassume il capo del comitato di sicurezza nazionale Petri Toivonen, nel seminterrato di un palazzo governativo sulla bella Esplanadi da poche settimane liberata dalla neve. Capelli a spazzola, eloquio efficientista, il colonnello illustra le funzioni vitali della società (leadership, attività internazionali, difesa, sicurezza interna, economia, capacità funzionale della popolazione, resilienza psicologica) come altrettanti lati di un diamante che va protetto tutto insieme, tutti insieme. In altre parole il suo ufficio deve garantire che, in caso di crisi, il Paese continui a funzionare. Quattro volte all'anno un campione selezionato della società partecipa ai Corsi di difesa nazionali e regionali: «Militari, manager di grandi imprese, amministratori pubblici, insegnanti e così via che, per quasi quattro settimane (una sola per i regionali), invece di andare al lavoro partecipano a lezioni, simulazioni, esercitazioni su cosa fare se qualcosa andasse gravemente storto». Una quarantina di persone per classe che diventano poi una specie di famiglia allargata con cui si resta in contatto per tutta la vita. Un po' come il servizio militare, se la naja prevedesse "richiami" tutti gli anni, magari anche di un solo giorno, per fare il punto della situazione. Non versante rimpatriata, piuttosto coté ripasso.
IL REDDITO DI BASE FATTO BENE
L’ultima volta che ero stato in Finlandia era nel 2017 per il reddito di cittadinanza. Un esperimento molto serio che han deciso di non estendere. Il pezzo qui:
TAMPERE. A prima vista Mika Ruusunen potrebbe sembrare il peggior testimonial possibile per un esperimento di reddito di base. A novembre, quando è stato sorteggiato, questo ex fornaio quarantaseienne con pizzetto biondo e cintura da mandriano era ancora nelle liste di disoccupazione. Ma già poche settimane dopo lo hanno preso a fare tirocinio pagato in un’azienda informatica dove, se tutto va bene, lo assumeranno ad aprile. E da gennaio riceve anche i 560 euro al mese che il governo finlandese ha deciso di versare per due anni a 2000 cittadini estratti dalle liste di collocamento. «Mi sento davvero molto fortunato, una specie di Gastone a cui sono piovuti addosso dei soldi senza neanche averli chiesti» confessa seduto al bar del venticinquesimo piano dell’hotel Toni da cui si gode una delle più belle viste di Tampere, cittadina con uno sfiorito passato industriale un’ora e mezzo a nord di Helsinki. Ma non sarebbe stato più giusto dare quel sussidio a chi non ha alcuna occupazione? «No, quell’uomo ha fatto esattamente ciò che speravamo facesse» mi assicura, al rientro nella capitale, Markus Kanerva direttore di Tank, la società di consulenza che ha redatto per il governo il rapporto preparatorio al primo progetto su scala nazionale di basic income (Perustulo) al mondo: «Ovvero, trovare un lavoro». Deve ringraziare la sua buona stella, come il personaggio disneyano che ha evocato, o è il sistema che sta (già) funzionando? La risposta si avrà solo nel 2019. Nel frattempo, dal candidato francese della vraie-gauche ai libertari della Silicon Valley, dall’opulenta Svizzera ai grillini nostrani, stanno tutti guardando a queste latitudini glaciali per capire come andrà a finire la riscrittura del welfare potenzialmente più ambiziosa da un secolo a questa parte.
COSA CI INSEGNA IL NUCLEARE DI OLKILUOTO
La volta prima era il 2011. Ero andato a visitare la centrale nucleare di Olkiluoto. La terza unità, iniziata nel 2005, doveva essere pronta per il 2009. È stata inaugurata nel dicembre 2021, la produzione elettrica è partita a marzo di quest’anno e dovrebbe andare a pieno regime per la fine di settembre. E parliamo di finlandesi. L’incipit: (pezzo intero qui)
OLKILUOTO (FINLANDIA). Sostiene una barzelletta che l'unica cosa che il committente otterrà dall'appaltatore «esattamente come la voleva» saranno i colori della cupola del reattore: granata e bianco, in tinta con le casette estive su questo spicchio di Mar Baltico. Per il resto non una promessa è stata rispettata nel mega-cantiere che, a meno cinque e sotto un metro di neve, ricorda le città-laboratorio siberiane ai tempi della guerra fredda. Non i tempi di realizzazione, che rischiano di raddoppiare, né i costi, già raddoppiati. Aggiungete poi oltre 4000 «errori», dal cemento delle fondamenta troppo umido alle saldature del guscio del reattore non a norma, sino alle specifiche dei sistema di sicurezza che ancora non convincono l'autorità di controllo, e provate a immaginare come reagireste voi se tutto questo fosse successo ai lavori per casa vostra. Una volta sbollita la rabbia virtuale, fatevene pure montare una reale perché Olkiluoto 3 potrebbe essere il prequel del film del nucleare italiano prossimo venturo. Dal momento che nell'idea del governo anche noi dovremmo installare la medesima tecnologia European Pressurized Reactor. La differenza, che rischia di far virare la sceneggiatura nostrana dalla commedia al dramma, è che dopo questo catastrofico esordio i francesi di Areva non ci pensano neppure a bissare la formula «chiavi in mano/prezzo fisso» saggiamente spuntata dai finlandesi. Quella che fa sì, per intenderci, che i 3 miliardi di euro di sovrapprezzo sin qui accumulati restino sul groppone del fornitore. L'unica clausola che ci metterebbe al riparo stavolta dal sequel della disperante telenovela nazionale della Salerno-Reggio Calabria. Con l'aggravante del rischio atomico.
ARABIANRANTA, IL QUARTIERE SOCIAL
Nel 2001 ero venuto per raccontare un esperimento urbano piuttosto ardito: connettere, attraverso la tecnologia, gli abitanti di un quartiere. Una specie di Facebook circoscritta e dal vivo.
HELSINKI. Nel laboratorio a cielo aperto di Arabianranta si lavora alla costruzione del quartiere perfetto. Tra gli ingredienti principali arte e tecnologia, impastati come una volta qui plasmavano vetro e argilla per ricavarne le tazze e i vasi che hanno reso celebre la zona. Il lievito, in tacito ossequio alle teorie di Richard Florida per cui prosperano sono quelle società che puntano sulla classe creativa, è la cultura. Così, oltre a banda larga per tutti e quadri e statue così nei condomini come nei giardinetti, per riqualificare l'ex area industriale sino alla fine degli anni '90 prediletta dai barboni l'hanno irrorata di campus di università, prima fra tutte quella di arte e design della capitale che è capofila del progetto. Quale progetto? Quello che Michael Joroff, professore al Massachusetts Institute of Technology appena arrivato da Boston per studiarlo da vicino, definisce «il più interessante del mondo». La punta più avanzata in quella dozzina di eccellenze che rientrano nelle New Century Cities, la champions league delle città meglio attrezzate per accogliere il futuro.
Non è il classico, candido entusiasmo yankee («wow!») per il Vecchio continente. Anche perché in questa porzione di Europa di vecchio non c'è quasi niente. Se la Finlandia è entrata di gran carriera nel club delle nazioni più affluenti lo deve in buona parte ai trampoli della Nokia e di varie altre aziende hi-tech. Se questo quartiere è oggetto di studio nelle facoltà di urbanistica di mezzo mondo lo deve soprattutto al fatto di aver provato a usare internet per intesserci sopra nuove forme di relazioni tra vicini di casa. Essere stata, in qualche modo, una Facebook ante litteram a maggior coefficiente di realtà. Dove la gente si annusava online, vedeva la fotina e magari quando poi si incontrava al supermercato sapeva già con chi aveva più cose in comune, anche solo per una chiacchierata in fila alla cassa. L'idea era così glamour che Wired, la bibbia della rivoluzione digitale, le dedicò un reportage pieno di superlativi già sette anni fa in cui fantasticava dell'Helsinki Virtual Village (all'epoca si chiamava così) dove «il tuo cellulare è il tuo browser a larga banda, un portafogli elettronico e un passaporto alla comunità senza fili del futuro. E i tuoi concittadini sono il contenuto, 24 ore al giorno». Si immaginava che ciascuno mettesse in rete il proprio profilo, con gusti e idiosincrasie, e che quindi se dicevi che ti piaceva il cinema francese il sistema onnisciente ti avvisava con un sms che in un minuscolo cineforum rionale proiettavano Truffaut. Al netto dello spiccato ottimismo della volontà del reporter, l'esperimento resta uno dei più avanzati nel miscelare bit e mattoni per ottenere felicità urbana.
Rispetto al '96, quando la municipalità decise di investirci, varie cose sono cambiate. «Intanto non si chiama più Helsinki Virtual Village ma Arabianranta, e non è cosmesi linguistica» spiega Kari Halinen, nel caffè dell'ex fabbrica Arabia alla quale è toccato cambiare nome a sua volta in Iittala perché dopo l'11 settembre era diventato difficile piazzare all'estero il logo originario «oggi la tecnologia la diamo per scontata, negli edifici che abbiamo costruito è naturale come l'acqua dal rubinetto e l'elettricità dalla presa. Al punto che la gente di qui scarica una quantità di dati tre volte superiore alla media nazionale (già una delle più alte d'Europa, ndr). L'accento è sempre più sulla creatività che essa aiuta ad esprimere. E sul design». Ci abita già la stragrande maggioranza delle 10 mila persone, più 13 mila studenti e 7 mila lavoratori che dovrebbero popolarla a lavori completati, nel 2010. Il comune ha voluto mantenere la proprietà dei terreni per influire pesantemente su piano regolatore e su prezzo di affitti e vendite. Risultato: non si sono mai viste case popolari così belle. A prezzi di mercato si comprano appartamenti vista mare sui 4-5000 euro al metro quadro, che però scendono a 2-3000 per quelli a canone calmierato. E la condizione imprescindibile, per tutti i costruttori, è di investire dall'1 al 2 per cento della commessa in opere d'arte per la collettività.
«Questa specie di affresco industriale è una tecnica brevettata da un artista locale» spiega Timo Heikinnen, indicando il muro color terra di Siena dell'ingresso del suo palazzo. Ricercatore di urbanistica, è al tempo stesso cavia e studioso di questo esperimento sociale. «È bellissimo vivere qui» dice, nel calduccio di un bel salotto con enormi finestre tutte vetri che si aprono sul giardino in comune, «soprattutto se hai bambini come noi. La più grande va a scuola di piano al conservatorio dietro l'angolo, che è anche un partner del progetto. La piccola gioca nel parco condominiale, separato dalle strade e dalle auto». Tutte e due, per la cronaca, giocano a un videogame online mentre i genitori sono distratti dall'ospite italiano. Fluido come l'acqua con una connessione a 10 megabit al secondo. «In effetti non pensiamo neanche più a cosa significa perché il canone del provider è compreso nelle spese condominiali. E invece, ad esempio, ho riscoperto la radio che online è infinitamente più comoda di quella tradizionale perché la ascolti quando vuoi tu». Ogni edificio ha il proprio sito e un moderatore, una sorta di cyber-amministratore di condominio. È lì che si discute di cose prosaiche ed essenziali. «Questo tipo racconta la rapina che ha subito e dà consigli su come rinforzare le serrature. Quest'altro spiega come si è liberato di una spiacevole invasione di insetti. Qui ci sono nuove istruzioni per la raccolta differenziata. Qui un invito per il picnic». Avrebbe sperato in qualcosa di più ambizioso: «Ci avevano detto: i contenuti sarete voi, saranno un sottoprodotto digitale delle vostre vite. E che avremmo testato chissà quali nuovi apparecchi interattivi: stiamo ancora aspettando».
Poco lontano, nei quartieri di Maunula ed Herttoniemi, è da poco partita Ubiquitous Helsinki. Dal portale rionale si può vedere e prenotare l'asilo per i bimbi, che sembra niente ma può essere tutto come sanno i neo-genitori, ma anche consultare il calendario degli eventi locali. «Una volta creato il proprio profilo» spiega Sirkku Wallin, sociologa urbana alla Helsinki University of Technology, «un motore di ricerca "semantico" passa al setaccio notizie e informazioni che riguardano la zona e le associa alle caratteristiche della persona, proponendogliele». Il parroco di Maunula ci ha preso gusto e mette online, attraverso un'interfaccia semplicissima, notizie utili per i fedeli. Tipo l'orario delle prove del coro della chiesa. «Si può sapere tutto sulla vita del quartiere in un posto solo» dice orgogliosa la diafana studiosa e, per dimostrare che questa volta non si tratta di promesse precoci alla Wired, tira fuori il cellulare e si collega. Per stasera le propongono un paio di concerti. «Sui 12 mila abitanti di Herttoniemi solo il 3-4 per cento è attivo, nel senso di produrre notizie oltre che consumarle. Ma è un numero che crescerà come gli utenti di YouTube». Basta ridurre la difficoltà d'uso e rendere ubiqua, prima di tutto, la connessione. Come hanno fatto ad Arabianranta. A novembre qui si sta già tra lo 0 e i meno cinque. Interagire online ha un'urgenza diversa che a Palermo o Barcellona. A un certo punto imperversava il dibattito su cosa mettere al posto di un negozio che aveva chiuso nella corte interna, racconta il quarantenne Heikinnen. «C'era uno che insisteva che serviva un locale di massaggi. Tailandesi, però. Il suo nickname era "sexyhacker". E nelle settimane successive ho cercato di capire chi fosse, cercando di ricostruirlo dal suo modo di esprimersi nel forum». Crede di averlo capito, ma non potrebbe metterci la mano sul fuoco perché gli sembra un tipo troppo impacciato. L'effetto Facebook incita al doppio binario: sfacciati online, reticenti nella vita vera.
ECCO A VOI IL DOMANDOLOGO
la settimana scorsa mi ero dimenticato di segnalare un’intervista a Warren Berger, autore di Il libro delle domande brillanti (Franco Angeli), un campionario di acume inquisitorio, tra la maieutica socratica e i manuali di self-help tanto amati in un paese la cui vera religione nazionale è l'inossidabile convinzione che tutto possa essere incessantemente migliorato. Un estratto:
Una regola chiave delle scuole di giornalismo recita "Se tua madre dice 'ti amo' verificatelo". E un principio che vale sempre, per entrambi i fronti della guerra in Ucraina?
«Certo che vale. Se abbiamo il lusso di farlo. Nel senso che, se a cose normali per scrivere una storia servirebbero 4-5 fonti, in guerra ne possono bastare 3 perché le condizioni di lavoro sono eccezionali. In questo caso soppesi le prove, a favore e contro, e poi decidi anche con l'istinto, su quel che ti convince di più. E poi, magari l'indomani, ci torni su per capire meglio come sono andate veramente le cose».
Epilogo
Nell’ultima Galapagos scrivo di come Musk sia riuscito a sdoganare l’idea che un giorno ci si possa trasferire su Marte. Not so fast. Un estratto:
Al netto di alcuni problemini pratici. Su Marte manca l'acqua, almeno allo stato liquido. Tuttavia, stando ai calcoli più ottimistici, circa il tre per cento della sua superficie potrebbe essere compatibile con la vita. A patto di starsene nel sottosuolo, per proteggersi dalle radiazioni a cui un'atmosfera dieci volte più sottile della nostra esporrebbe gli eventuali abitanti, e che aumenterebbero il rischio di cancro e ridurrebbero la fertilità. Insomma, si fatica a definirlo un ambiente ospitale. Nel 2019 Mars One ha fatto bancarotta e Lansdorp, che nel frattempo si era dedicato all'eolico, ha adottato il basso profilo. Aggiungo che su Marte il clima è rigido (-60 gradi la media) e se anche ci si può adattare a vivere con una gravità poco superiore a un terzo di quella terrestre, ciò altererà per sempre la densità delle ossa, la forza dei muscoli e la circolazione sanguigna. Musk ha trovato un modo per reingegnerizzare anche la fisiologia umana o questi ostacoli sono ancora reali? Chiedo senza polemica, per chi sta pensando di risparmiare per il biglietto.