#66 Se Musk si pappa Twitter
...e sottolineo il se; le due libertà di parola secondo Berlin; uno spaccone di nome Elon; La vita fuori di sé
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Prologo
Gigacapitalisti è stato comprato in Spagna da Altamarea (e da Sandorf in Croazia): viva! Mi hanno chiesto di aggiungere qualcosa sull’acquisto, ancora in trattative, di Twitter da parte di Musk. Segue il paragrafo in più.
IL FREE SPEECH SECONDO BERLIN FORSE NON È QUELLO DI MUSK
Succede anche un altro fatto che, in un colpo solo, rischia di ridisegnare il quadro fatto sin qui. Il 25 aprile 2022 Musk, che già possedeva il 9 per cento delle azioni di Twitter, annuncia di volerle comprare tutte. Per la modica cifra di 44 miliardi di dollari, miliardo più miliardo meno. Panico social. Il futuro padrone ha dei precedenti non entusiasmanti con la piattaforma. A un certo punto, come raccontato nel secondo capitolo, la Sec lo diffida dall'utilizzarla perché attraverso alcuni tweet ha turbato il mercato. Ora lui, come certi avventori banditi perché un po' troppo su di giri, torna e si compra tutto il locale. Ma la preoccupazione, più che per il passato, è per il futuro. Tra le poche anticipazioni circa i suoi piani Musk cita il free speech senza restrizioni alcune come sua stella polare. Quindi anche Trump, che dalla piattaforma è stato interdetto a vita per averla usata per incitare l'assalto a Capitol Hill, sarebbe di nuovo benvenuto. I commentatori più sofisticati gli ricordano la distinzione di Isaiah Berlin riguardo la libertà di espressione negativa (per cui nessuna autorità ti può censurare) e quella positiva (per cui tutti devono essere messi in condizione di dire la propria). La prima, ricordava il filosofo liberale, è quella in cui «spesso le pecore finiscono sbranate dai lupi». Ovvero la frequente ordinaria amministrazione, già oggi, nell'arena gladiatoria social. Lo stesso Musk ne è la riprova (ricordate quando dette del pedofilo senza alcun motivo al sommozzatore inglese che voleva salvare i ragazzini thailandesi intrappolati?). «Sembra avere un bisogno compulsivo di sminuire le persone, ruttare fuori i suoi impulsi più sconsiderati e alimentare il bullismo delle sue legioni di ammiratori» ha scritto sul New York Times Anand Giridharadas, autore di Winners Take All: The Elite Charade of Changing the World. Per non dire, sempre come cultura di riferimento, che le sue fabbriche sono oggetto di indagini per razzismo verso i dipendenti di colore («posti di lavoro razzialmente segregati»). Per tutti questi motivi conclude Giridharadas «la prospettiva che acquisti Twitter è così pericolosa». Prospettiva che, al termine di una serie di colpi di scena assai muskiani, al momento di andare in stampa non si è ancora materializzata. Ma già rende ancor meno azzardata la nostra inclusione del signor Tesla nel novero dei gigacapitalisti digitali.
UNO SPACCONE DI NOME ELON
Che l’uomo tendesse alle spacconate, d’altronde, lo sapevamo già. E l’avevamo raccontato sul Venerdì e poi, di più nel libro.
Gemello diverso di Bezos in questa visione straordinariamente sinottica del business è Elon Musk, padrone di Tesla e fondatore di SpaceX, tra varie altre cose. Una somiglianza psicologica che non a caso li porta spesso a beccarsi in pubblico. I due si danno il turno sul primo posto del podio dei più ricchi del mondo e condividono l'ossessione per lo spazio. E la circostanza che su questo aspetto Musk sia preso più sul serio dalla Nasa fa imbufalire Bezos. Proviamo quindi a inoltrarci nella selva oscura della sua mente. Non crediate che questa mia enfasi psicologistica sia un effettaccio hard boiled da quattro soldi. Perché scartabellando tra la vita e le opere di Musk un termine ricorre di frequente. Lo pronuncia il fondatore di Tesla e SpaceX davanti a un’aragosta fritta in inchiostro di calamaro quando chiede serissimo al suo futuro biografo: «Secondo te sono pazzo?». Ne dibatte anche con l’ultima moglie, la musicista precedentemente nota come Grimes, oggi ribattezzata c (il simbolo della velocità della luce), che si definisce «un ibrido tra una fata, una strega e un cyborg»: «Sono più pazzo io o sei più pazza tu?».
Se non ti comporti bene quel Twitter te lo buchiamo!
Soprattutto la domanda non è suonata peregrina quando, dopo un improvvido tweet a mercati aperti in cui aveva detto che era pronto a ricomprarsi la sua azienda a 420 dollari ad azione (un numero sinonimo di cannabis, per tutta una serie di fumosi motivi che Wikipedia dettaglia), il titolo prima era stato sospeso per eccesso di rialzo, poi l’autorità di Borsa gli aveva fatto due multe da 20 milioni di dollari l’una destituendolo temporaneamente da presidente dell’azienda e infine i suoi consiglieri d’amministrazione gli avevano tolto Twitter per tre mesi. Come a un Trump qualsiasi. Volendo gli esempi potrebbero moltiplicarsi ad infinitum, ma il senso l’avete capito. Se questo cinquantenne che si interroga circa il suo stato di salute mentale fosse l’artista più quotato del momento, ci sarebbero molti precedenti e nessuno scandalo. Ma si tratta dell’ingegnere, come gli piace definirsi, che ha deciso di rivoluzionare i trasporti privati e trasformare l’umanità in una specie multiplanetaria, apparecchiando su Marte il piano b per la Terra in rovina. Uno, per dirla altrimenti, che deve saper far di calcolo piuttosto bene ché altrimenti auto elettriche e razzi si schiantano. E che, sebbene si siano occasionalmente schiantati entrambi, il più delle volte ci riesce. Tant’è che nel frattempo le Tesla si vedono anche sulle strade italiane, i razzi partono alla volta della stazione spaziale internazionale al ritmo di una volta al mese e lui, in tutto questo, ha per un momento scalzato Jeff Bezos dal trono di persona più ricca del mondo con un patrimonio personale di oltre 200 miliardi di dollari, il Pil della Nuova Zelanda. Se non proprio scioglierlo, cercheremo almeno di diradare il mistero dell’imprenditore più «visionario» (altro ricorrente anglismo, ormai sdoganato) in circolazione.
IL SECONDO JEFF DI AMAZON PRENDE TROPPO?
Ci sono gigacapitalisti anche sull’ultima Galapagos. Riguardo a una polemica sull’astronomico compenso dell’attuale Ceo di Amazon. Un estratto.
Al timone dell'azienda che ha fondato ormai c'è il suo vice-storico, Jeff Jassy. Che di recente ha fatto notizia perché Institutional Shareholder Services, una società di consulenza, si è espressa sul suo prossimo stipendio: 214 milioni per il 2022 sarebbero troppi. Anche perché non legati ad alcun particolare risultato e, se proprio qualcosa si può dire di Amazon dopo Bezos, è che nell'ultimo anno ha perso l'8 per cento mentre S&P 500, i migliori titoli di Wall Street, crescevano di analoga percentuale. Per cosa, esattamente, volevano dargli un aumento? Come tutti i grandi Ceo anche Jassy prende "poco" di fisso (175 mila dollari l'anno scorso) e tantissimo di variabile, 211 milioni in azioni. Il vantaggio colossale è che le tasse le pagano solo sullo stipendio, un'inezia rispetto al totale. Anche i dipendenti meno apicali ricevono azioni, ma siccome il titolo non va tanto bene e Jassy teme un fuggi- fuggi, ha deciso di potenziare la quota certa raddoppiando il salario massimo a 350 mila dollari.
DA LEGGERE: LA VITA FUORI DI SÉ
«Bisogna uscire», dein exienai, dice Milziade nel 490 a.C. quando i persiani sono alle porte di Atene. Non bisogna aspettare per difendersi, ma andare in campo aperto, a Maratona, e combattere. C’è, in questo invito, tutto il senso di La vita fuori di sé (Marsilio) di Pietro Del Soldà. La circostanza fortunata che sia un amico non toglie nulla al fatto che sia anche, di gran lunga, uno dei migliori giornalisti radiofonici italiani. Nella sua seconda vita filosofica tratteggia un viaggio nella storia sulle tracce dell’idea di avventura. Da Erodoto, che esce dai confini, a Montaigne, che invita a liberarsi del fardello delle abitudini. Da Sartre, il cui protagonista di Le mani sporche fa di tutto per scardinare la gabbia di cartapesta che la sua vita sembra essere diventata, all’Ulisse di Kazantzakis che, a differenza di quello omerico, non si adatta al ritorno alla normalità tra le braccia dell’amata Penelope e non riesce a far altro che riprendere il mare, abbracciando il suo destino più vero. Quindi l’avventura non cercata ma accolta, secondo quell’amor fati che nel libro ritorna. Usciamo dalla nostra comfort zone, ripete l’autore, perché avremo delle sorprese. E di quelle si ciba l’uomo. Nell’Italia del feticcio del posto fisso è un appello rivoluzionario. Ricordate Luciano Bianciardi quando nella Vita agra opponeva collaboratori a dipendenti? «Dentro le aziende è come in una camera calda, al peggio come dentro un gabinetto, maleodorante certo, ma riscaldato e riparato. Fuori invece tutti i venti sono tuoi». Ecco, dice Del Soldà, pur senza occuparsi di Grandi dimissioni, prendiamoli questi venti, possibilmente in poppa e affrontiamo il mare aperto. Non abbiamo altro da perdere che le nostre catene. È un richiamo potente, più facile da dirsi che da mettere in pratica. Però l’unico motivo per cui ci alziamo, mattina dopo mattina, è la speranza recondita che le cose andranno meglio di ieri e peggio di domani. L’Ad-ventura, la spinta verso le cose che verranno, non è attività da avventurieri ma da esseri umani che ancora respirano. Se volete, come il Philip K. Dick della magnifica biografia carreriana, continuare a dire «io sono vivo, voi siete morti», teniamolo a mente. Questo libro aiuta a farlo.