#6 Fate attenzione a cosa fare attenzione
Una sconosciuta Cassandra; i tecnologi pentiti; l’èra della distrazione; David Foster Wallace, sempre sia lodato; l’equity crowdfunding; la perturbante Silicon Valley; etc
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Prologo
Il mio amico Vincenzo, inesorabile e sornione, mi manda un messaggino: «Ma di questi soldi dall’Arabia Saudita s’è poi più saputo nulla o è sfuggito a me?». Si riferisce alla ben nota vicenda in cui Matteo Renzi, previo ingaggio quantificato sugli 80 mila euro, si rivolge con slancio al «grande principe Mohammed Bin Salman», praticamente il sospettato unico dei possibili mandanti dell’abominevole omicidio del giornalista Jamaal Kashoggi, infervorandosi sulle magnifiche sorti e progressive del notorio Rinascimento saudita. Il senatore aveva promesso di fare totale chiarezza sulla cupa vicenda dopo la crisi. Ad horas, quindi. Ma essendo riuscito molto ringalluzzito dagli ultimi eventi ora tutti lo intervistano su Draghi e su Machiavelli facendo dimenticare l’incidente di Riad. In un numero praticamente monografico sull’importanza dell’attenzione, e su dove concentrarla, mi sembrava utile cominciare da qui.
GOLDHABER, CASSANDRA DELL’ÈRA INTERNETTIANA
Nell’affollata tribù dei guru internettiani Michael H. Goldhaber non si è conquistato neppure uno strapuntino. Perché, essenzialmente, è un giornalista. Però della categoria studiosa e presciente. Uno di quelli che le cose le vede arrivare prima. Successe così anche in un celebre (almeno nella piccola cricca di persone che si sono occupate a lungo di tecnologia) articolo che scrisse su Wired nel dicembre del 1997, che mi aiutò a vedere quel mondo nuovo sotto una nuova luce. Squadernava, meglio di come si fosse fatto sin lì, una delle caratteristiche principali dell’incipiente New Economy. Ovvero che la valuta principale, in quella ridda di merci date gratis, non era tanto il denaro quanto l’attenzione. Settantottenne fuori dai giochi oggi Goldhaber è stato rivalutato dal New York Times. Ne scrivo in Finalmente è Venerdì:
In quel pezzo, tra altre cose intelligenti, scriveva che ogni nostra singola azione è una transazione: prendiamo il capitale (finito) della nostra attenzione e decidiamo di investirlo su qualcosa, a scapito di qualcos'altro (sì, è un gioco a somma zero: se guardo il telefono non leggo un libro). Intuì anche, ben prima degli smartphone, che «non poter condividere le cose che ci capitano con chiunque sarebbe ben presto diventata una tortura».
Mai sottovalutare i giornalisti svegli.
I GURU DEL WEB SI PENTONO DEI LORO LIKE
A Call to Minimize Distraction & Respect Users' Attention era il titolo di un paper di 141 pagine fatto circolare nel 2013 dentro Google da Tristan Harris, un ingegnere con il ruolo di designer ethicist, ovvero colui che doveva assicurarsi che i prodotti fossero sviluppati in maniera etica. Alla fine del 2015, visto che niente cambiava, ha lasciato Google per diventare, nella felice definizione dell'Atlantic, «la cosa più vicina a una coscienza che abbia la Silicon Valley». L’ho incontrato, assieme a tanti tecnologi pentiti, nel gennaio del 2018, un paio di anni prima della sua partecipazione al documentario The social dilemma. Per lui
l'economia digitale, nonostante le sbandierate ambizioni di incarnare un capitalismo dal volto umano, funziona proprio come quella dell'energia fossile: "Estrae l'attenzione dagli esseri umani come quelli fanno col petrolio. E quando i pozzi scarseggiano, passano a tecniche sempre più aggressive, una specie di fracking del tuo cervello, tipo bersagliare ragazzi sempre più giovani, consci che ogni notizia che suscita scandalo ha molte più probabilità di diventare virale delle altre (ed è quindi più redditizia), di fatto incoraggiando le fake news che pure in pubblico stigmatizzano". Sì perché, come tutti sanno, un pensiero riflettuto e pacato farà al più una manciata di condivisioni contro le migliaia di una bella storia trucida, magari inventata di sana pianta. Perché quindi segare il ramo su cui si sta così proficuamente appollaiati?
Difficile dirlo meglio.
SE 8 SECONDI VI SEMBRAN TANTI…
Ragionando su questi temi, di recente l’ha citato in 8 secondi (Il Saggiatore) Lisa Iotti (mia amica di vecchissima data). La sua cifra vincente è l’autoironia, da sempre il miglior fattore predittivo dell’intelligenza. Scrive:
La verità è che non c’era niente sul mio cellulare che necessitasse il mio intervento: ero io che avevo un disperato bisogno fisiologico di sapere cosa stesse facendo la gente, non la gente di sapere cosa facessi io. Non credevo, né avrei mai potuto immaginare, che quel concentrato di silicio, alluminio, rame, cobalto e terre rare fosse diventato un organo vitale di cui non potevo più fare a meno.
E poi ci insegna, tra le altre cose, l’esistenza dei «sorrisi Duchenne», come gli scienziati chiamano i sorrisi genuini, che coinvolgono precisi muscoli della nostra architettura facciale e trasmettono emozioni autentiche. Sostenendo che i partecipanti a uno studio «con il telefono in tasca sorridessero un numero di volte significativamente inferiore (il 30 per cento in meno) e in modo molto meno autentico (cioè non-Duchenne) rispetto ai partecipanti che non avevano con sé il telefono».
L’ULTIMO MIRACOLO DI DAVID FOSTER WALLACE
Tra quelli che hanno preso più di petto, con parole impareggiabili, l’importanza di indirizzare bene l’attenzione per fare la differenza tra vivacchiare e vivere è stato David Foster Wallace. In occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo postumo ero andato a intervistare a Los Angeles la sua agente e migliora amica Bonnie Nadell (sopra il video integrale). Cito un paio di passaggi da quell’articolo:
«L’estasi – una gioia e gratitudine, secondo per secondo, per il dono di essere vivi, consapevoli – è l’altro lato di una schiacciante, schiacciante noia. Prestate molta attenzione alla più tediosa cosa che potete immaginarvi (la dichiarazione dei redditi, il golf in tv) e, a ondate, una noia come non l’avete mai conosciuta vi inonderà quasi al punto di uccidervi. Una volta che l’avrete superata, però, sarà come passare dal bianco e nero al colore. Come l’acqua dopo giorni nel deserto. Estasi istantanea in ogni atomo».
Lui, per dire, era riuscito a scrivere un romanzo sugli esattori delle tasse. E poi:
A sentirlo parlare nel memorabile discorso del 2005 alle matricole del Kenyon College, quello del pesce anziano e dei pesci giovani e del fatto che l’unico trucco per sopravvivere è la consapevolezza, «imparare a pensare, a cosa prestare attenzione per scoprire che esistono sempre altre opzioni» e a quel punto anche nel più orrendo imbottigliamento di traffico, nella calca più nauseabonda, riuscirete a scorgere che «non solo c’è un significato, ma addirittura un che di sacro, acceso della stessa forza che illumina le stelle: compassione, amore, l’unità sotterranea di tutte le cose».
Poi metterlo in pratica nella vita, come dimostra anche la sua parabola, è terribilmente più difficile. Ma almeno bisogna provarci.
EQUITY CROWDFUNDING, VENTURE CAPITAL A KM 0
Sul Venerdì scrivo di una cosa abbastanza nuova per l’Italia: l’equity crowfunding, ovvero una specie di Kickstarter per finanziare startup e altre piccole e media aziende. Con la differenza, rispetto al crowfunding normale, che lì ti pagano in natura (finanzi una custodia per cellulare, guadagni una custodia) mentre qui diventi socio dell’azienda e magari puoi guadagnarci (o perdere), ma sin qui nessuna di quelle proposte dalla Opstart di Giovanpaolo Arioldi è fallita.
La domanda è: rende? La risposta breve è sì, ma ci arriva per vie tortuose. «Se hai 100 mila euro da investire e ne metti 10 mila in dieci aziende diverse da 1 milione l’una, basta che una sia venduta a 10 milioni per moltiplicare per dieci l’investimento. Ne basta una che vada bene e sin qui nessuna delle nostre è fallita». Non ha ancora quantificato, però. Cita allora uno studio del Politecnico di Milano che ha analizzato dal 2017 i vari portali di equity crowfunding nati nel frattempo: se uno avesse investito 100 euro in media oggi se ne troverebbe 134, che diventano 176 investendo su Opstart. Ma chiunque che ha un’idea può metterla all’asta sul portale? «No, ci sono degli analisti che studiano il business plan e si esprimono sulla sua fattibilità. Solo dopo aver passato quella fase l’azienda si può candidare per il finanziamento».
DA LEGGERE: LA VALLE OSCURA
La valle oscura di Anna Wiener è un bel romanzo sull’ethos della Silicon Valley. Racconta tante cose compreso – sarebbe contento Goldhaber – di come l’attenzione sia la vera valuta dell’economia digitale. Qui l’intervista video. A seguire cinque frasi scelte tra 235 sottolineature:
Un’interfaccia ben progettata era come la magia o la religione: alimentava una collettiva sospensione dell’incredulità.
Le visualizzazioni di una pagina e il tempo di permanenza su un sito, metodi che l’amministratore delegato definiva cazzate. Il coinvolgimento, diceva, si distingueva da quelle cazzate perché era spendibile. Il coinvolgimento generava un ciclo di feedback tra l’utente e l’azienda.
Voleva sapere: ero devota alla causa? Perché, se non ero devota alla causa, era arrivato il momento (…) La nostra causa era l’azienda, ma anche l’azienda aveva le sue cause. Accrescere il coinvolgimento; migliorare l’esperienza dell’utente; ridurre le frizioni; favorire la dipendenza digitale. Stavamo aiutando i direttori del marketing a testare la formula più ef$cace da apporre in oggetto per aumentare la percentuale di clic in risposta alle e-mail di massa; stavamo aiutando gli sviluppatori delle piattaforme di e-commerce a far sì che gli utenti trovassero più difficile abbandonare il carrello; stavamo aiutando i progettisti a rafforzare il ciclo di feedback endorfinico.
Le piattaforme, progettate per accogliere e raccogliere una quantità infinita di dati, inducevano a uno scrollare infinito. (…) Spesso mi sorprendevo a esaminare la ciotola di açaí di uno sconosciuto; o a guardare convulsi video di serie di addominali, che coi miei muscoli scarsi non ero in grado di imitare; o a zoomare la fotografia di una cantina ad Aspen; o a guardare una ripresa aerea di mani che assemblano una minuscola, complicata scodella di udon in brodo, e mi chiedevo che diamine stavo combinando. Il mio cervello era diventato un vortice di immondizia, rappresentazioni su rappresentazioni.
Ero furiosa per il fatto che gli imprenditori del tech come lui sembrassero costituzionalmente incapaci di trattenersi dal cannibalizzare musica, libri, sottoculture: qualsiasi cosa rendesse la vita interessante.
DA VEDERE: NOTIZIE DAL MONDO
Storia di captain Kidd (un Tom Hanks invecchiato molto bene) che va in giro negli angoli più remoti d’America, dopo la guerra di secessione, a leggere le notizie che allora scarseggiavano. Chi voleva sentirlo sceglierle e declamare pagava un dime. Una volta uno sbrigativo signorotto locale, con bravi al seguito, pretende che lui legga il giornalino agiografico che lo celebra. Lui si rifiuta e, alla fine, gli operai che il signorotto teneva sotto scacco si ribellano. Dirottare l’attenzione genera conseguenze.
DA ASCOLTARE: IMAGINATION
In zona “classici” (fatevi del bene e cercatevi il documentario Let’s Get Lost. Io vidi suonare Chet Baker al Seven Apples di Focette, circa 1987: arriva sul palco, a occhi chiusi, si siede su uno sgabello, zuppa il bocchino della tromba in un bicchiere di whisky e suona interrottamente fino al primo tempo. Salvo iniziare il secondo con un assolo con un dito solo su un pianoforte: una delle cose più struggenti che abbia mai sentito). Il potere taumaturgico dell’attenzione mi ha fatto venire in mente la sua Imagination che inizia così
Imagination is funny, it makes a cloudy day sunny/Makes a bee think of honey just as I think of you
E poi cresce, cresce, cresce.
Epilogo
Due ultime cosette che mi hanno raccontato in settimana. Una tipa brillantissima mi ha fatto notare che qualcosa deve essere andato storto, all’ultimo, nel rimescolamento dei tre tecnici più famosi del governo Draghi (Cingolani-Colao-Giovannini). Non era meglio mettere Cingolani, che aveva perplessità sulle rinnovabili, all’innovazione; Giovannini, che invece si occupa da sempre di sviluppo sostenibile, alla transizione ecologica e magari Colao, che inevitabilmente rischia un po’ di conflitti di interesse sulle telco, alle infrastrutture? (Quest’ultimo caso è più complesso, ma gli altri due han sorpreso anche me). Infine Perseverance, arrivata su Marte. Fa notare il decano Fabio Pagan, che segue il volo spaziale dall’allunaggio, che il rover sarà teleguidato da un italiano nato a Rovereto (nomen omen). Ditemi voi se non è fantascienza questa, e delle migliori! :-)