#43 Dirsi addio all'olandese
L'eutanasia raccontata da chi la pratica da 20 anni; i ricchi italiani, questi sconosciuti; ci venderemo anche i maglioni usati, l'ha sdoganato il covid; l'ipocrisia dell'elicottero vegano; Montaigne
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Prologo
Per quelli di voi che erano in apprensione alla fine mi hanno fatto il tampone e ha funzionato benissimo. Ora vi sembra una vicenda da niente ma è una cosa così non- americana darti qualcosa gratis quando parliamo di salute, che mi sono commosso. E siccome fino all’ultimo non ci credevo e avevo sentito in tv Fabio Volo che diceva che lui aveva speso 200 dollari per farlo ho scritto a questi di LabQ che mi hanno risposto in cinque minuti così: “The Families First Coronavirus Response Act ensures that COVID-19 testing is available at no cost to you, including the uninsured and foreigners”. Alla fine New York ti sorprende sempre.
L’EUTANASIA VISTA DAL FUTURO
Ero così preso dalle storie americane che la settimana scorsa mi son dimenticato di segnalare il pezzo forte, il reportage sull’eutanasia dall’Olanda. Rimedio ora anche perché, con discreto tempismo, il Comitato etico ha dato via libera al primo suicidio assistito in Italia. Un paio di estratti (e qui una versione video):
Amsterdam. Immaginate la scena. Tavola apparecchiata, molti amici intorno a un tavolo, bicchieri che tintinnano in brindisi senza convinzione. Un medico prende la parola. Silenzio. Spiega quali saranno le prossime tappe. Il padrone di casa ascolta e annuisce. Al termine il dottore chiede conferma: «Sono stato chiaro?». «A proposito di che?» risponde il paziente. «Per noi amici» mi dice Eugene Sutorius, uno dei padri della legge sull’eutanasia approvata in Olanda vent’anni fa, nel salotto che dà su un canale del vitalissimo quartiere Pjip, «è stato orribile. Ma il medico non era turbato: “È normale che prima capisse e che ora si sia dimenticato”». Tre settimane dopo, come da programma, l’internista gli aveva iniettato un mix di valium e pentobarbital. L’amico aveva sessantotto anni e una diagnosi di demenza risalente a sei mesi prima. L’aveva fatta finita troppo presto? E possiamo essere sicuri che l’avesse voluto, dal momento che, buttato giù l’ultimo bicchiere di Pinot non si ricordava nemmeno cos’era successo quando la bottiglia era stata stappata? Sono solo due delle decine di dilemmi morali, tutti terribilmente legittimi, che qui in Olanda neppure due decenni di pratica sono riusciti a sciogliere. All’inizio si trattava solo di scorciare di ore o giorni la vita di malati, terminali ma lucidi, per evitare loro sofferenze inutili. Mentre ora la decisione può riguardare anche persone che potrebbero avere ancora davanti a sé mesi o anni verosimilmente vissuti senza saper distinguere il sì dal no. Siamo nel posto giusto, insomma, per provare a capire di cosa potremmo trovarci a discutere nel 2041 se il referendum sulla legalizzazione (auspicabile per il cronista che gioca a carte scoperte) passerà anche da noi.
Perché lì, dopo vent’anni, il dibattito è soprattutto sui pazienti dementi: è giusto che la ricevano anche se ormai non capiscono? Semplificatori astenersi.
Il gerontologo Bert Keizer è un esponente emblematico di questa fazione. Settantatreenne in forma smagliante, mi dà appuntamento al De Plantage, un caffè con vista su una magnifica serra. È membro dell’Expertise Centrum e l’ultima eutanasia, la numero sedici di quest’anno, l’ha praticata la settimana prima («Che effetto mi fa? La prima volta fu devastante. Poi, gioco forza, ti abitui»). La sua regola è semplice: «Posso dare la morte solo a chi, guardandomi negli occhi, capisce cosa sto per fare». Rispetta i colleghi che si comportano diversamente, compresa Marinou Arends, l’unico medico olandese che in vent’anni è finita sotto processo per aver posto fine alla vita di una demente versandole del sedativo nel caffè e poi, ciononostante, aver dovuto chiedere aiuto ai familiari per immobilizzarla. Il quadretto dell’orrore che ne risulta è diventato il preferito dai critici in malafede. Gli altri, compreso Keizer, convengono che si sia trattato di una semplice reazione fisica all’ago che entrava nel braccio. Keizer va oltre: «Ai giudici la dottoressa Arends ha detto che non era resistenza ma che, se anche lo fosse stato, sarebbe andata avanti comunque perché le parole, in quello stato, non avevano più alcun significato (in un’intervista Arends avrebbe ammesso che per tre volte la paziente aveva detto “No”). Prevale la volontà di farla finita al momento giusto espressa quando si era ancora in sé. È un’argomentazione estrema ma che, dal punto di vista logico, non fa una piega». Eppure, da figlio di un padre morto della stessa malattia e che a più riprese ha riflettuto sull’insensatezza di una sofferenza così prolungata, quell’immagine è l’unica che non riesco a scacciare dalla testa. La dottoressa Arends nel 2019 è stata assolta. La Corte suprema ha stabilito che si possono sedare i malati, mentre l’associazione dei medici olandesi mantiene forti riserve. Alle soglie della pensione, con una pubblicità che avrebbe volentieri evitato e occasionali rigurgiti di odio online (ma molti meno di quelli cui siamo abituati per bagatelle) è andata a vivere all’estero. L’anno dopo la disponibilità dei medici olandesi a praticare l’eutanasia si è dimezzata, per normalizzarsi fino al record del 2020, 9 per cento in più dell’anno prima. L’ultima frase memorabile di Keizer è questa: «L’eutanasia è contagiosa. Una volta che è sul menu la gente la ordina». Che può essere un bene, il più delle volte, ma è soprattutto un fatto.
BAUMAN: COSÌ LA MORTE CI INSEGNA A VIVERE
Una decina di anni fa andai a casa di Zygmunt Bauman per intervistarlo su un suo libro meno celebre che indagava l’idea di mortalità. Il vecchio sociologo era in forma smagliante e dette risposte strepitose (anche in video). Tipo queste:
Ma l'immortalità rimanda alla trascendenza, estranea all'approccio laico. Come potremmo guadagnarcela, senza fare ricorso alla metafisica?
«Ci sono due principali metodi per farlo. Io uso le metafore del trasporto privato e di quello pubblico per arrivare alla destinazione "immortalità". Privato significa che sei tu alla guida della tua auto, al volante, ne controlli i movimenti e quando conquisti importanza, in termini di apprezzamento da parte dei tuoi contemporanei, allora guadagni un'immortalità personale, il tuo nome diventa immortale. Prima solo re, generali, statisti, grandi inventori, per i loro contributi verso le generazioni future, erano ricordati per sempre, immortali attraverso la memoria pubblica. Poi altre categorie sono entrate in questo pantheon: poeti, pittori, grandi architetti e scienziati. Di recente anche celebrità, giocatori di calcio, belle modelle, serial killer. Ci sono molte nuove strade lungo le quali guidare la tua auto verso l'immortalità.
E poi c'è il trasporto pubblico, per chi non ha un'auto propria. Tipo i memoriali per i militi ignoti. Non sei ricordato personalmente, ma hai contribuito a una causa molto importante per i posteri. Per esempio hai liberato una nazione, o promosso un'idea, messo le fondamenta per la democrazia, come chi ha lottato per l'indipendenza degli Stati Uniti, ad esempio. Molte persone sono state uccise e meritano la nostra gratitudine collettiva. Puoi dedicare la tua vita alla difesa della patria oppure a far vincere l'idea comunista o nazista, e ti guadagnerai una forma di immortalità».Queste due strade metaforiche, private e pubbliche, che conducono all'immortalità attraverso le opere esistono da tempo. L'umanità non si è inventata stratagemmi più nuovi?
«Queste erano le soluzioni della fase che io chiamo "modernità solida". Quella escogitata nella "modernità liquida" è ancora più furba. Prova a decostruire l'immortalità. Dice: puoi avere l'immortalità ora! In tanti modi diversi, senza precedenti, attraverso un numero di esperienze esclusive. Se lei prova a cercare su Google vedrà che un certo numero di agenzie di viaggi, siti di incontri o produttori di cosmetici promettono un'"esperienza immortale" durante il corso della vita. Niente a che vedere con la morte, che è solo l'ultima delle esperienze. Decostruire significa togliere l'incanto da qualcosa. Si vuole darti la sensazione di aver già provato quell'ebbrezza andando alle Seychelles, per esempio, o provando droghe che nessun altro ha provato».Da una parte si decostruisce l'immortalità, anticipandola in Terra. Dall'altra però lei ha anche parlato di familiarizzare in vita con la mortalità. Ci spiega meglio?
«È un'altra furba invenzione. Anche la morte è stata decostruita perché, in un certo senso, puoi provarla un certo numero di volte nel corso della tua vita. Ciò ha a che fare con quella che chiamo la nuova fragilità dei legami umani. Jacques Derrida ha scritto, in maniera molto toccante, che quando un uomo muore un intero mondo scompare con lui. Sparisce, non può essere recuperato: è un evento finale. Ma Vladimir Jankélévitch ha fatto notare che, mentre non puoi mai provare la tua stessa morte, quando si tratta della morte altrui, quella di sconosciuti distanti, diventa pura statistica. Se leggi sul giornale che duemila persone sono morte in un terremoto è solo la riconferma che le persone sono mortali. Niente di più».
I RICCHI, QUESTI SCONOSCIUTI
Questa settimana sul Venerdì ci occupiamo di ricchi italiani. Cosa pensano e come si rappresentano? Risultati sorprendenti. Un estratto:
Di cosa parliamo quando parliamo di ricchezza? Chiedi a un povero e potrebbe farti mille vividi esempi, tanti quanti le cose che vorrebbe e non può permettersi. Chiedi a un ricco e di colpo la faccenda si fa terribilmente vaga. «Secondo me la ricchezza è nei valori che una persona ha, nella sua conoscenza, nella sua capacità e questo può anche portare dei frutti in termini monetari» la butta in poesia uno dei ventisei intervistati del Rapporto sulla ricchezza realizzato da Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci! (con la supervisione di Mario Pianta), per conto della sezione fiorentina della Scuola normale superiore. «Più della ricchezza monetaria è la ricchezza interiore» a contare scapola un altro. E poi tutto è relativo: «A Milano con 1 milione di euro puoi comprare una casa di 100 metri quadrati e non sei certamente ricco». Per non dire delle altre spese che la qualifica comporta: «Il costo per un figlio in un collegio privato è di 100 mila euro l'anno. Se vuoi fare delle vacanze da ricchi, in club esclusivi sono altri 100 mila euro l'anno. Altri 100 mila euro se ne vanno per l'affitto, 500 mila euro nelle imposte. Con un milione non sei certo un ricco globale». Insomma, come la bellezza secondo Shakespeare, la ricchezza sarebbe tutta nell'occhio di chi guarda. D'altronde già John Kenneth Galbraith, in La società opulenta, avvertiva che «Di tutte le classi sociali i ricchi sono i più notati e i meno studiati». Da qui il rapporto che tenta di fissare alcuni punti saldi in un dibattito sorprendentemente flou.
TUTTI RIGATTIERI: GRAZIE PANDEMIA!
Ogni crisi ha la sua ristrutturazione. Lo sboom della new economy partorì il web 2.0. La Grande Recessione l’economia dei lavoretti. E il Covid? Ne scrivo nell’ultima Galapagos:
I primi segni si cominciano a vedere, a giudicare dall'insistenza della promozione di app come Vinted, che consentono di vendere abiti che non usate più e Wallapop, che va oltre i vestiti e in pochi clic vi consente di liberare la casa da oggetti che non vi servono più. Servizi analoghi c'erano già ma il fatto che quest'ultima si faccia addirittura pubblicità in tv è la prova di quanto hanno deciso di investirci e quanto contano di guadagnarci. Altrimenti non potrebbero permettersi gli spot. Lo spreco è un lusso d'altri tempi, a quanto pare. Dopo aver messo a reddito la stanza dei figli partiti per l'università è la volta del maglione che non ti metti più. Prima tutti affittacamere, oggi tutti rigattieri. E non è che l'inizio, temo, di una grande ristrutturazione di cui intuiamo solo i contorni.
CHI SI FA INFINOCCHIARE DALL’ELICOTTERO VEGANO?
E già che ci sono recupero anche la penultima Galapagos, su un ridicolo greenwashing:
Un importante imprenditore edile tedesco ha preteso che nel suo nuovo elicottero privato le sei poltrone non fossero di pelle vera, ma di similpelle, fatta senza uccidere animali, quindi rispettosa dell'ambiente. Considerato quanto inquina uno spostamento in elicottero rispetto alle numerose alternative possibili, l'uscita ricorda quegli obesi che fanno pranzi da sei portate ma poi non transigono sul dolcificante per il caffè. Non serve a niente ed è anzi anche un po' irritante. L'aviazione civile è tra le industrie uscite più acciaccate dalla pandemia. Ora che sta rialzando la testa (al recente Airshow di Dubai Airbus ha venduto 400 aerei mentre Boeing ha piazzato 72 737 Max alla startup indiana Akasa Air) nessun vuol darle addosso. Senz'altro è andata così a Glasgow dove le generalmente spuntate raccomandazioni del Cop26 l'hanno quasi totalmente risparmiata.
DA LEGGERE: MONTAIGNE. L’arte di vivere
Libro super di Sarah Bakewell su Montaigne (Fazi). Ne avevo parlato anni fa. Citazioni sparse:
Cicerone: "Filosofare è imparare come morire"
"La morte è solo pochi brutti momenti alla fine della vita: non vale la pena dedicarle ansia"
Plutarco su come conquistare la pace della mente: "Concentratevi su cosa si trova davanti a voi e prestategli totale attenzione"
"Medito su ogni singola soddisfazione. Non ci passo sopra alla svelta, ma l'assaporo"
Terenzio: "Sono pieno di perdite e faccio acqua da tutte le parti"
Epitteto: "Non cercare che ciò che ti capita sia esattamente come desideravi ma desidera che capiti ciò che che veramente ti capita, e la tua vita sarà serena"
"Siamo, adesso lo so, doppi al nostro interno. Un torrente di qualità e difetti: modestissimi, insolenti, casti, lascivi, chiacchieroni, taciturni, duri, delicati, intelligenti, stupidi, acidi, affabili, eruditi, ignoranti, generosi e miseri. Chi pensa troppo a tutte le circostanze e conseguenze di un'azione non riuscirà a fare niente di niente"
Epilogo
Già che c’ero, appena tornato dagli Stati uniti, mi sono prenotato per il richiamo del vaccino. L’ho fatto online lunedì notte e ho trovato posto per mercoledì mattina, a poche centinaia di metri da casa. Tutti gentilissimi, tranquillizzanti, splendidi. È stupefacente un assembramento di persone di tale qualità, tutte insieme. Poi, alla fine, nella fase di osservazione post iniezione, un tipo impettito ha da ridire che non ha quindici minuti da perdere. E una signora milanese si lamenta perché non le hanno messo il cerotto e che dalle sue parti fan tutto diverso. Fan tutto peggio, cara signora. Non avrei mai pensato di dirlo ma sulla gestione del vaccino il Lazio, per un breve momento, è sembrato la Svizzera. E non è risultato da poco.