#41 Le new new economies
Meme economy; Nft economy; gig economy; New economy classica; Scene da un matrimonio
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Prologo
Tanti anni fa Francesco, mio ex compagno di liceo, andò a studiare economia a New York e tornando ci spiegò la singola lezione più utile. Ovvero quella della random walk, la camminata casuale che era l’unico caveat realistico contro chi si illudeva di prevedere l’andamento della borsa che invece si comportava secondo una logica il più delle volte imperscrutabile. Come quella di un ubriaco che aveva bevuto troppo. Ci parve allora un’esagerazione. Ma quell’ipotesi si attaglia perfettamente agli ultimi sviluppi dell’economia digitale.
LA MEME ECONOMY
Sull’ultima Galapagos scrivo delle ultime notizie dal pianeta della criptovalute. Un estratto:
Dogecoin, la criptovaluta molto amata da Elon Musk, era nata in ossequio a un meme del 2013. Nell'immagine diventata virale si vedeva un cane di razza shiba inu con delle scritte colorate che mettevano in scena una specie di suo buffo monologo interiore. Ma questa è preistoria perché da un anno circola Shiba Inu (Shib), una criptovaluta espressamente dedicata alla stessa categoria canina, che ha raggiunto una capitalizzazione di borsa di 35 miliardi di dollari (più di quanto valga la piattaforma di trading Robinhood, di cui abbiamo scritto e che già aveva fatto storcere il sopracciglio a più d'un purista). Viviamo ormai in una meme economy e, nel caso specifico, parliamo addirittura di un meme al quadrato, di una moneta virtuale nata per cazzeggiare su un'altra già partita da un cazzeggio. Segni premonitori dell'Apocalisse o new normal?
GLI NFT, BEN STRANA PROPRIETÀ
Qualche mese fa, sempre su Galapagos, raccontavo degli Nft, Non fungible token, ovvero quei certificati di autenticità che dichiarerebbero a chi appartengono oggetti digitali (opere d’arte, tweet famosi, fotogrammi di un canestro di un famoso giocatore, etc). Proprietà che però non impedisce a tante altre persone di continuare ad avere gli stessi identici file. Un estratto:
Se vi sembra una roba da Tso potreste non essere lontani dal vero: lo sembravano anche i Bitcoin ma i miei 10 euro di sette anni fa (comprati per scriverne) oggi ne valgono 1340. Altro esempio è la gif del Nyan Cat, un popolare meme che raffigura un gattino pixelato con una specie di coda di cometa con i colori Lgbtq, battuto per 590 mila dollari. Oppure l'arte digitale di Beeple, al secolo Mike Winkelmann, che ha venduto vari pezzi su Christie's ed è diventato famosissimo quando un collezionista di Miami che a ottobre scorso l'aveva comprato a 67 mila dollari ha rivenduto un suo video da 10 secondi per… 6,6 milioni (nella mia magnanimità, ve lo regalo). Considerata la perfetta riproducibilità dell'arte digitale e l'assurdità sottostante alle criptovalute, il rischio che si tratti di una bolla in attesa di scoppiare è altissimo. Intanto però la guardiamo gonfiarsi. E trasecoliamo.
ROBINHOOD, IL TRADING DA RIDERE (E PIANGERE)
I millennials che in America giocano in borsa lo fanno, con ogni probabilità, su Robinhood, una piattaforma che fa – oltre che delle commissioni gratis per comrare azioni – della gamification il suo punto di forza. Divertente quando si vince, tragico quando si perde. Un pezzetto (e l’integrale qui):
La valutazione dell'azienda, che debutterà in Borsa l'anno prossimo, è sui 20 miliardi di dollari. Dei suoi 13 milioni di utenti, gli ultimi tre milioni si sono iscritti nell'ultimo anno (è seconda solo a Schwab, che però ha 22 mila dipendenti contro i suoi mille, mentre doppia Etrade che per arrivare ai suoi 6 milioni di clienti ci ha messo 40 anni). Gli americani, a quanto pare, quando non lavoravano su Zoom, facevano la spesa su Amazon e si rilassavano su Netflix, investivano su Robinhood. L'80 per cento di chi la usa ha tra i 20 e i 40 anni. Tiktok è lastricata di influencer che la incensano. Il primo investimento viene salutato con un'esplosione di coriandoli e tutta l'esperienza è all'insegna della gamification, l'interazione divertente. Però il business è serio. E ci si può fare anche molto male. Il ventenne Alexander Kearns aveva comprato opzioni (in breve: moltiplicano guadagni e perdite) e si è suicidato dopo aver visto di essere sotto di 700 mila dollari. In realtà non era così, ma Robinhood non ha un numero da chiamare. Per dire.
GLI ALBERI DEI TELEFONI NELLA CORSA ALLA GIG ECONOMY
La gig economy, economia dei lavoretti, è un aggiornamento al ribasso della new economy tradizionali. La sua caratteristica principale è di fare affidamento su lavoratori con pochi o punti diritti, messi in competizione su una piattaforma. Come effetti collaterali succedono cose come questa, raccontata qui:
A Chicago gli smartphone si trovano sugli alberi. Pendono dai rami vicino ai magazzini di Amazon o dei negozi Whole Food. Ma non è una trovata di marketing, quanto l’ultima frontiera della competizione al coltello tra lavoratori della gig economy documentata da Bloomberg. Succede infatti che le consegne istantanee siano assegnate in automatico da un algoritmo che desume la vicinanza dei corrieri dalla posizione del suo cellulare. Più l’apparecchio è vicino, più corse ti accaparrerai. Così, proprio come per i bot che effettuano ormai metà delle contrattazioni di Borsa, una frazione di secondo può fare la differenza (con la differenza che qui la posta in gioco non è miliardaria ma una corsa da pochi dollari). Generalmente i telefoni sui rami non sono di chi farà la corsa ma di intermediari, tecnologicamente scaltri, che smistano il lavoro vero su altri, magari senza le carte in regola per aderire al programma Amazon Flex che consente di diventare corrieri amatoriali.
NEW ECONOMY, ANATOMIA DI UNO SBOOM
Più di vent’anni fa, auspice Giuseppe D’Avanzo, pubblicai sul sito di Repubblica un’inchiesta in tre puntate su cosa era andato storto con la new economy. Ci vinsi anche un premio (Citigroup Journalistic Excellence Award che prende polvere in uno stanzino e che in Italia mi sembra non esista più). Iniziava così:
Quella di Roberto S., che voleva appendere le forbici al chiodo e farsi pagare la pensione anticipata da Internet, è la parabola perfetta della New Economy in Italia. Partito dal Sud alla volta di Torino, l'uomo aveva vinto una prima scommessa: il suo negozio di barbiere, tra Corso Vittorio Emanuele e Corso Galileo Ferraris, era diventato ritrovo obbligatorio per le teste importanti. Anche Giovanni Agnelli si faceva tagliare i capelli da lui ma, in questo caso, era Roberto che faceva visita all'Avvocato. Negli anni il barbitonsore di lusso aveva messo da parte un bel po' di soldi e, come altri milioni di risparmiatori, a un certo punto ne aveva investiti altrettanti in quella sorta di colossale gratta-e-vinci che Piazza Affari sembrava essere diventata grazie a Internet. Era riuscito a mettere le mani su azioni Tiscali il cui valore era cresciuto sbalorditivamente per mesi e mesi, producendo tanta ricchezza che solo lunghi anni di barbe e capelli sarebbero riusciti a eguagliare. La corsa al rialzo non dava cenno di volersi fermare, Roberto lavorava sodo da una vita e quell'improvvisa manna sembrava il segno del destino che fosse arrivato il momento di andarsene gaudentemente in pensione. Aveva quindi ceduto l'attività, rassicurato l'Avvocato che avrebbe continuato, in via del tutto eccezionale, a prestargli i suoi servigi e per il resto "saluti e baci". Sennonché poco dopo il vento della Borsa aveva cominciato a cambiare direzione, diventando presto la bufera che ha distrutto la maggior parte dei castelli di carta che piccoli e grandi investitori avevano creduto di costruire. Il coiffeur della Torino bene ha visto svanire in men che non si dica il capitale virtuale su cui aveva fatto affidamento ed è tornato mestamente all'ovile. Per la gioia dei suoi affezionati clienti oggi lavora di nuovo nel medesimo esercizio di cui però non è più padrone, ma semplice dipendente. E non passa giorno in cui, senza darlo a vedere perché è un professionista serio, non stramaledica in cuor suo il momento in cui ha dato ascolto, come l'ultimo dei fessi, alle sirene della rivoluzione digitale.
DA VEDERE: SCENE DA UN MATRIMONIO
Preparate i fazzoletti.