#38. Notizie lievemente esagerate
Fare il vino in zona Ztl; Arabianranta, il quartiere super-connesso; l'incredibile parabola di Telejato; le api anti-Covid; Vendetta
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Prologo
Ci sono storie che sembrano in un modo, vai a vedere e sono in un altro. Magari anche più interessante, ma diverso. Piccolo catalogo.
LA VIGNA PIÙ PICCOLA DEL MONDO
Avevo letto su Anteprima, la bella rassegna di Giorgio dell’Arti, della storia della vigna più piccola del mondo a Reggio Emilia (raccontata dal Giornale). Si parlava anche delle poche bottiglie prodotte, quindi rare, quindi vendute a prezzi inarrivabili. Così mi sono incuriosito, ho guardato il loro sito, con tanto di ritagli di giornali stranieri che avevano ripreso la storia e sono andato a vedere. Per accorgermi che la storia c’era, ma era più la storia di uno scherzo sfuggito di mano che quella di un record con tutti i crismi. Un estratto:
«La verità» esordisce questo ex motociclista nonché broker in proprio di piccole fortune familiari e amicali «è che tutto è nato da uno scherzo. Mi stava sulle scatole il fatto che il vino lo facessero solo poche famiglie nobili e ho lanciato la mia sfida». Siamo nel 2007. Masoni compra delle barbatelle, piantine d'uva, e le pianta in lunghi vasi rettangolari sul lastrico solare della palazzina che suo padre, immobiliarista e vignaiolo della domenica, gli ha lasciato. Un suo amico ristoratore lo incoraggia e lo mette in contatto con un enologo per un turbo-apprendistato. L'uva la pigia al pianterreno, con l'aiuto dei vicini. Si compra un mostometro per intervenire sull'acidità del Sangiovese. Gli aggiustamenti veri li delega allo specialista. Irride l'ideologia del vino naturale: «Quello esiste da sempre e si chiama… aceto». Poi succede che la voce si sparge, organizza una serata a Rubiera nel ristorante stellato Clinica gastronomica con degustazione accompagnata da violiniste. Butta lì che arie di Mozart, Verdi e Léhar, quello della Vedova allegra, avrebbero influito sull'organolettica alcolica e qualcuno abbocca. L'indomani un giornale locale titola «il vino cambia con le note del violino». Siamo ormai in ambito alchemico. Masoni, che è molto simpatico e di tutto può essere accusato meno che di prendersi troppo sul serio, commenta sulle «tante stronzate che si senton dire sul vino» in generale. Con la sua operazione dadaista voleva essenzialmente mostrare che il sommelier è nudo, però poi l'apprendista stregone fa il suo corso e prende vita propria. Una seguita trasmissione Rai lo cita due volte in due servizi diversi. Bonioni Arte, una rispettatissima galleria cittadina, si accorda con lui per regalare ai clienti di opere particolarmente costose una bottiglia (sul costo all'origine Masoni oppone un fermo no comment). A un certo punto contatta via facebook un francese che ha curato una rassegna di vini insoliti. È forse attraverso di lui che la voce della singolare vigna arriva all'orecchio di Edwige Régnier, enologa dell'accademia Cordon Bleu di Parigi che a quanto pare ne avrebbe tessuto le lodi. Ma chi è il primo ad aver parlato bene di questo vino, gli chiedo: «Io», risponde senza esitazioni. L'effetto slavina è inarrestabile. Bonioni prova a chiedere 5000 euro a bottiglia. Ma quante ne ha vendute? «Non lo so, e non è la cosa più importante. Quel che so è che, sin dal principio, avevo detto che questa provocazione andava misurata più con i crismi della critica d'arte che con quelli dell'enologia. Avrebbe più da dire Achille Bonito Oliva che Robert Parker (una delle star del documentario Mondovino)». Che possiamo obiettare? Masoni è in un altro campionato.
FACEBOOK, DAL VIVO, A HELSINKI
Parecchi anni fa mi ero appassionato di un articolo epicheggiante di Wired che raccontava di un quartiere di Helsinki che sembrava Facebook in terra, ovvero una comunità così connessa per cui le interazioni tra gli abitanti avevano anche un doppio digitale. Sono andato a vedere per accorgermi che quella cronaca si era portata avanti parecchio quanto a entusiasmo, e parecchio tempo dopo nemmeno la metà delle cose raccontate si erano realizzate. È quel che succede quando si scambia un rendering per una foto realistica.
Non è il classico, candido entusiasmo yankee («wow!») per il Vecchio continente. Anche perché in questa porzione di Europa di vecchio non c'è quasi niente. Se la Finlandia è entrata di gran carriera nel club delle nazioni più affluenti lo deve in buona parte ai trampoli della Nokia e di varie altre aziende hi-tech. Se questo quartiere è oggetto di studio nelle facoltà di urbanistica di mezzo mondo lo deve soprattutto al fatto di aver provato a usare internet per intesserci sopra nuove forme di relazioni tra vicini di casa. Essere stata, in qualche modo, una Facebook ante litteram a maggior coefficiente di realtà. Dove la gente si annusava online, vedeva la fotina e magari quando poi si incontrava al supermercato sapeva già con chi aveva più cose in comune, anche solo per una chiacchierata in fila alla cassa. L'idea era così glamour che Wired, la bibbia della rivoluzione digitale, le dedicò un reportage pieno di superlativi già sette anni fa in cui fantasticava dell'Helsinki Virtual Village (all'epoca si chiamava così) dove «il tuo cellulare è il tuo browser a larga banda, un portafogli elettronico e un passaporto alla comunità senza fili del futuro. E i tuoi concittadini sono il contenuto, 24 ore al giorno». Si immaginava che ciascuno mettesse in rete il proprio profilo, con gusti e idiosincrasie, e che quindi se dicevi che ti piaceva il cinema francese il sistema onnisciente ti avvisava con un sms che in un minuscolo cineforum rionale proiettavano Truffaut. Al netto dello spiccato ottimismo della volontà del reporter, l'esperimento resta uno dei più avanzati nel miscelare bit e mattoni per ottenere felicità urbana.
L’EROE ANTIMAFIA CHE POI NON LO È STATO PIÙ
Dieci anni fa Pino Maniaci era considerato un eroe dell’antimafia. Aveva fondato e gestiva con piglio deciso, sin troppo deciso, Telejato che da Partinico arrivava sui televisori di Palermo e Trapani. Aveva subito minacce da ignoti. Gli avevano ammazzato l’amato cane. Ero andato a fare la mia parte, raccontando la sua storia perché si sentisse meno solo. Ora Vendetta, una serie Netflix, ne ripercorre le gesta incrociandole con quelle di Silvana Saguto, importante magistrato nonché bersaglio delle denunce di Maniaci. La magistrata è stata condannata, il giornalista assolto (da accuse di estorsione). Ci saranno altri gradi di giudizio. Il mio articolo era ovviamente positivo nei confronti di Maniaci che peró non mi aveva convinto fino in fondo. Un estratto:
Il tempo è scaduto. Non perché l'insegnante non voglia più parlare, ma perché Pino Maniaci è venuto a prenderci e non può aspettare. «Hai rotto i coglioni» è la sua locuzione alternativa a «buongiorno». Lo dice con la stessa bonomia. Diverso significante, stesso significato. Fa anche un sacco di complimenti alle cameriere, alle ragazze che si fermano per salutarlo, ma lo fa davanti alla moglie e alla figlia ventenne, che alzano gli occhi al cielo come davanti a una gag che hanno imparato a memoria. È un uomo molto amato dai suoi concittadini. «Quando abbiamo cominciato la gente cambiava marciapiede quando mi incrociava perché aveva paura di entrare nella traiettoria di un eventuale attacco. Oggi si fermano per stringermi la mano». Succede in continuazione. C'è gente che rallenta in auto e abbassa il finestrino per farlo, creando rallentamenti nella circolazione. Ma nessuno si lamenta, perché Pino Maniaci è una stazione che merita la sosta. Il problema nuovo è piuttosto il rischio interruzione. «Con il passaggio al digitale terrestre, e gli assurdi criteri che hanno scelto per assegnare le frequenze, c'è la seria eventualità che dovremo chiudere perché nessuno vuole accollarsi un emittente con quasi nessun utile e centinaia di querele. Vi immaginate l'epitaffio? È sopravvisuta alla mafia, ma non allo stato». Scherza, ma è preoccupato. Anche perché, come mi spiega Nadia Furnari dell'associazione Rita Atria, «la sua vera assicurazione sulla vita, ben più della scorta, è stata la visibilità. Una volta che si spengono i riflettori, la lista di quelli di cui ha fatto nomi e cognomi e che vorrebbero fargliela pagare è lunga...».
LE API CHE NASANO LE MALATTIE
Questa non è una storia che si è rivelata diversa da quel che era. Ma è la storia che abbiamo pubblicato la settimana scorsa e mi ero dimenticato di segnalare qui. La storia dell’intuizione di un giovane scienziato iraniano che ha pensato di addestrare le api per riconoscere un certo numero di malattie. Iniziava così:
WAGENINGEN (OLANDA). Le api di Pavlov hanno un fiuto eccezionale. E sgamano il Covid, e forse altre malattie, alla prima sniffata. Almeno questa è la scommessa di InsectSense, una startup ospitata nei sontuosi locali dell'università di Wageningen, nel sud dell'Olanda, superpotenza accademica mondiale nel settore della ricerca agraria. L'ha fondata un anno fa Aria Samimi, trentaquattrenne geologo e ingegnere minerario iraniano, e ora l'azienda è acquartierata nel palazzo Plus Ultra II, con macchina del caffè da albergo 5 stelle e kit antigenici gratuiti in libera distribuzione, tra l'"incubatore" che l'ha sostenuto e l'"acceleratore" che dovrebbe trovare nuovi finanziamenti. Ma intanto cosa c'entra un geologo con le api prima e il coronavirus poi? La storia ha la classica drammaturgia di una serie di circostanze casuali illuminate dalla perspicacia dello scienziato. Succede infatti che, ancora universitario a Yazd, località altrimenti nota come culla dello zoroastrismo, un professore di biogeochimica parli di come certe piante segnalino la presenza di alcuni giacimenti minerali. Al giovane Aria andare a cercarle una per una sembra però una missione troppo dispendiosa. E qui arriva il momento eureka, come in ogni epica siliconvallica che si rispetti, un luogo dove il nostro, barbetta e camicia nera slim a mezze maniche d'ordinanza, sarebbe indistinguibile dai locali: di ritorno a casa il suo coinquilino sta leggendo un libro con un'ape in copertina. Illuminazione! Perché non andare dagli apicoltori, analizzare il miele e da lì risalire alle piante che le api hanno visitato e quindi ai giacimenti che ci stanno sotto?
LE PROMESSE TRADITE DI UBER
C’era chi c’aveva creduto che Uber avrebbe rivoluzionato la mobilità per sempre, per il meglio. Sin qui non è successo, racconto nell’ultima Galapagos.
DA VEDERE: VENDETTA
Epilogo
Yaya Yafa, 22 anni dalla Guinea Bissau, è morto schiacciato da un tir mentre scaricava merci all’Interporto di Bologna. Era il suo terzo giorno di lavoro. Lavoro somministrato. Tra i più precari in circolazione.