#33 Il no vax che non ti aspetti
Com'è che una statistica, intelligente e ragionevole, ha cominciato a credere alle fole?
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Prologo
Numero emergenziale, tra un treno (di cui tesso sperticatamente le lodi sull’ultima Galapagos) e un aereo.
LA MIA AMICA M.
Sono stato una settimana in Olanda per alcune storie che usciranno sui prossimi numeri del Venerdì. Prima di partire, come da antica abitudine, avevo chiesto qualche consiglio a M., un’amica che ho conosciuto nel 2004 quando mi mandarono a seguire l’assassinio di Theo Van Gogh. Allora, trafficando in aereo con ritagli di giornale, avevo cominciato a chiacchierare con una coppia di olandesi gentilissimi che mi avevano parlato di questa loro amica che forniva dati ai sociologi per gli studi più diversi. Forse mi sarebbe servito conoscerla. Mi avevano invitato a cena, me l’avevano presentata e da allora ci siamo visti praticamente tutte le volte che sono venuto qui. Mi ha aiutato in tanti modi diversi, dal contesto degli argomenti di cui mi sarei occupato, ai contatti di persone da intervistare fino alla raccomandazione di ristoranti. Una volta mi ha anche invitato a un memorabile aperitivo in barca sui canali di Amsterdam con suoi amici altrettanto simpatici. Così, anche stavolta, le ho chiesto aiuto. E alla vigilia della mia ripartenza le ho proposto di bere qualcosa. Mi ha dato appuntamento al bar No Rules, a cinque minuti dalla magnifica piazza dei musei di Amsterdam e, appena arrivata, le ho chiesto ridendo se la scelta del locale fosse per caso una dichiarazione di principio contro la dittatura sanitaria che anche da noi tanti denunciano. Mi ha risposto che non ci aveva pensato ma adesso che glielo facevo notare la risposta poteva anche essere sì.
COME CI SI RIMANGIA UN ABBRACCIO?
Mentre lo diceva mi ero già avvicinato per abbracciarla, pronunciando la formula di rito (“I am fully vaccinated”) e quando ero ormai vicino alla sua guancia l’ho sentita dire “io no, ma sto benissimo”. Ah. Mi ha chiesto se preferivo dentro o fuori e ho optato convintamente per la seconda opzione, anche se l’estate olandese era quasi definitivamente tramontata. Così, una volta seduti, le ho chiesto di raccontarmi da dove veniva quella scelta. Si ricordava che, un’èra geologica fa, avevo scritto un libro su Bill Gates e aveva detto che c’entrava anche lui. E aveva cominciato a parlare. All’inizio era molto spaventata anche lei, quando la tv aveva mostrato le foto dell’italia e della Spagna. Le aveva prese molto sul serio fino a quando un amico le aveva fatto notare che, dopo la decisione trumpiana di smettere di finanziare l’Organizzazione mondiale della sanità, Gates era diventato uno dei principali finanziatori (“Da solo dà il 19% dei fondi: non è pazzesco?”).
GATES, IL GRANDE VECCHIO
Finanziava con la sua fondazione e attraverso Gavi, un’associazione internazionale a favore dei vaccini. Così aveva cominciato a studiare e più studiava più si accorgeva che tante cose non tornavano. Ad esempio che l’Oms aveva cambiato in corsa la definizione di pandemia (perché?). Che i test molecolari erano pronti meno di un mese dopo l’insorgere del primo caso. E che, sebbene non avesse pienamente superato nessuna delle cinque fasi cliniche a cui normalmente sono sottoposti, tutti sembravano entusiasti per questi vaccini approvati in emergenza. Non lei, però. L’aveva detto ai suoi nipoti, soprattutto alle ragazze perché “i rischi sulla fertilità possono essere enormi” che prima l’avevano presa per allarmista ma alla fine il dubbio si era insediato anche in loro e il più grande, studente universitario di tecnologie applicate alla medicina (un corso di studi che non so tanto situare), ora era orgogliosamente no vax.
“SONO UNA STATISTICA, GUARDO I NUMERI”
Non c’è niente di eccezionale in questi timori. Si è già sentito dire tutto e anche di più. La cosa sorprendente è che M. continua a dire che lei non è una teorica del complotto ma, essendo una statistica, una brava statistica che lavora per il Consiglio d’Europa tra gli altri clienti che ha, “guarda ai numeri. E i numeri raccontano un’altra storia rispetto a quella che si ascolta nei tg”. I numeri che avrebbe lei dicono che in Israele, nonostante l’efficientissima vaccinazione, il 60% dei positivi sarebbe vaccinato: come me lo spiego? Altri suoi numeri dimostrano che la mortalità del Covid non sarebbe superiore a quella dell’influenza e dal momento che il suo sistema immunitario è molto forte, infatti non prende mai nemmeno il raffreddore, lei il vaccino non se l’è fatto né se lo farà. Perché non ha alcuna intenzione di fare la cavia per Bill Gates. Provo a far presente che in Italia finiscono in terapia intensiva e all’altro mondo quasi esclusivamente i non vaccinati ma non faccio breccia.
“MA MUOIONO ANCHE I GIOVANI SPORTIVI…”; “C’È UNA SPIEGAZIONE”
Concede solo che la penuria di letti di terapia intensiva è un problema, che il loro premier Rutte li ha dimezzati anni fa per motivi di budget e che neppure adesso, con tutti i soldi dei piani di resilienza, ha previsto di aumentarne la capienza: non è folle? Sì, se è vero è folle, ma non più di negare che i vaccini hanno potentemente abbassato la curva dei contagi e soprattutto evitato i loro esiti più disastrosi. “No, Riccardo, uno come te, senza altre malattie e tendenzialmente sano non sarebbe mai morto neppure senza vaccino”. “Ma scusa, c’è tutta una lista terribile di morti giovani, compresi sportivi molto più in forma di me, non lo sai?”. “Per gli sportivi c’è una spiegazione razionale: il loro sistema immunitario, per gli sforzi che fanno, è spesso ridotto e questo spiega le morti”. Non c’è verso: le maglie della sua corazza sono strettissime, non passa niente.
“ANCHE YOUTUBE CENSURA”
Non ho alcuna chance di farla ricredere. È convinta di non essere una no vax ma solo una che non si arrende alle bugie di stato. “Le voci dissenzienti sono silenziate. Non solo in tv, dove proprio non possono mettere piede, ma anche su Youtube dove è pieno di video rimossi perché non in linea con le linee governative anti-Covid”. Le chiedo di mandarmi i link di un po’ delle sue fonti e promette che lo farà. Dovrei scrivere qualcosa perché i giornalisti, almeno nel suo paese, non possono più parlare di queste cose perché rischierebbero il posto. La conosco da diciassette anni ma, per la prima volta, mi sembra di avere davanti un’altra persona. Mi racconta che una sua vecchia amica le ha scritto che ormai fanno parte di due “campi” diversi e che teme che la loro relazione possa finire: “L’ho tranquillizzata che da parte mia non ne ho alcuna intenzione, ma voglio che le mie opinioni vengano rispettate”.
LA CULTURE WAR È INIZIATA, E NON FINIRÀ PRESTO
È una guerra civile culturale, quella tra negazionisti e greenpassisti, che non ha precedenti almeno nella mia vita. Per venire qui sono passato davanti a una sede di Scientology e mi è venuta in mente la tetragona convinzione con cui gli adepti credono alla storiella, creata dalla remunerativa immaginazione di Ron Hubbard, che saremmo thetans immortali intrappolati in corpi umani. M. non c’entra niente. Era e resta una donna intelligente ma su questa vicenda qualcosa in lei è uscito dai binari. L’aspetto più perturbante, e nuovo, è il richiamo costante al suo approccio scientifico (“Sono una che lavora coi dati e questi sono i dati”). Ogni mio timido contro-argomento scivola addosso alle sue verità alternative rivestite di Teflon. Mentre parliamo, ampiamente distanziati dal tavolino, non riesco a non felicitarmi della scelta di aver scelto un tavolo all’aperto.
NON SO COME MA SI È RADICALIZZATA
Rispetto al folklore che spesso finisce nei tg, i negazionisti sguaiati, i bidelli violenti che prendano a cazzotti i giornalisti perché spacciatori di fake news, M. è tutta un’altra categoria. Articolata, posata, su qualsiasi altro argomento siamo andati e potremmo continuare ad andare d’accordo. Ma su questo punto specifico è convinta, non so perché, che Fauci abbia torto e lei sia nel giusto. Ci ho ripensato un sacco, da ieri sera, e non mi spiego come sia possibile. Non è un’umiliata e offesa della società, una che aspettava da tempo un pretesto per gridare la sua frustrazione rispetto a un mondo che non la capisce e finalmente l’ha trovata nela resistenza all’ennesimo sopruso (la vaccinazione, appunto). Ha una bella casa, un buono stipendio, a quasi sessant’anni ne dimostra dieci di meno: la vita, per quel che ne so, l’ha trattata piuttosto bene. Eppure su questo punto specifico si è radicalizzata. E se è successo a lei, letteralmente, può succedere a tutti.
UN 11/9 TUTTI I GIORNI
In attesa del volo di ritorno l’ultimo Economist dà una contabilità dei decessi di Covid nell’America che ricorda la strage dell’11 settembre. Quel giorno, vent’anni dopo, 3000 persone (tante quante le vittime degli attentati) sono morte di coronavirus. Lo stesso è successo il 12 settembre. E il 13 settembre. Non è abbastanza per richiedere, come Biden ha fatto, un vaccino obbligatorio per i lavoratori? Leggo anche di polemiche simili per la scelta di Draghi di pretendere il green pass a partire dal 15 ottobre. In Olanda nessuno me l’ha chiesto ma, dopo aver creato un album fotografico apposito per tirarlo fuori più alla svelta, ho pensato che la cosa ancora più semplice fosse trasformarlo nello sfondo del telefono. Non l’ho detto a M. che mi aveva spiegato che l’unica utilità di quel certificato era schedarci e controllarci tutti. Non nego che, nel capitalismo della sorveglianza, rischi del genere esistano. Ma quelli di finire intubato mi fanno più paura. È un rasoio di Occam un po’ dozzinale, probabilmente, ma con me funziona.
Epilogo
Intanto la diciassettenne più intelligente che conosca è stata eletta coordinatrice della sezione lucchese dell’Unione degli studenti. Unica donna e capa. Mi felicito con lei e solidarizzo coi suoi giovani compagni: il rischio di assemblee indette all’alba non è mai stato tanto reale.