#30 Il lavoro è una lotta continua
Nel Far West della logistica piacentina; il sistema neofeudale degli scaffalisti notturni; com’è difficile rappresentare i rider; Le vite che nessuno vede; Ted Lasso
ARTICOLI
.
VIDEO
.
PODCAST
.
LIBRI
.
LIVE
.
BIO
.
Prologo
Tra gli innumerevoli motivi dell’aumento insostenibile delle disuguglianze economiche c’è il fatto che sempre meno gente è iscritta al sindacato. Invece di lottare insieme per i propri diritti prova a farlo da solo e il piu’ delle volte perde. Ci sarebbe bisogno di un gran recupero di partecipazione sindacale e di un gran svecchiamento del sindacato stesso. Due cose non scontate.
NEL FAR WEST DELLA LOGISTICA
Un posto dove si vede bene quanto i sindacati siano cambiati e quanto fatichino ad andare nelle stessa direzione è la logistica. Il piacentino è l’epicentro di questo settore che vale circa il 10% del Pil italiano e il luogo dove questa dialettica interna è piu’ drammaticamente evidente. Sono stato li’ tre giorni molto intensi, incontrando moltissime persone e raramente ho faticato cosi’ tanto a capire chi avesse ragione.
Piacenza. Il titolo di lavoro di questo articolo, a un certo punto, mi ha tagliato la strada manifestandosi sulla fiancata di un camion che rientrava alla base: «O così. O Pomì». Immaginate la scena. Ora di pranzo, 35 gradi che bruciano come 50, nello spiazzo davanti al Consorzio Casalasca di Rivarolo del Re, una grande fabbrica in mezzo al niente. Dove si lavora il pomodoro, l’”oro rosso” di Piacenza, un’ora a ovest da qui. Da stamattina presto seguo Roberto Montanari, dell’Unione sindacale di base (Usb), nei suoi incontri con addetti della logistica – magazzini, movimentazione, consegne – vera specialità di queste terre. È venuto a incontrare una decina di lavoratori, tutti africani, addetti alla pulizia delle centinaia di fusti impilati nel piazzale antistante lo stabilimento dove la polpa viene lavorata. Adesso che la cooperativa Mondial Work ha chiuso denunciano che da anni le loro buste paga segnano 4 ore quando in realtà ne lavoravano 8 o 12. Peccato che i contributi si calcolino solo sulle ore dichiarate. Malattia non pervenuta. Sotto inquadrati. Se vi sta bene è così, altrimenti altri proletari (nove su dieci stranieri, quindi ricattabili perché senza contratto salta anche il permesso di soggiorno) prenderanno il vostro posto «O così. O Pomì», insomma. Almeno fin quando qualcuno armato di machete prova a disboscare una giungla giuslavoristica fatta di finte cooperative, Iva evasa per milioni di euro, caporali e banditi vari da affrontare a brutto muso. Con una conflittualità che ormai tracima anche nei rapporti tra sigle. Con la Cgil in affanno che stigmatizza i modi duri dei sindacati di base. I Si (leggi: sindacato intercategoriale) Cobas in gran spolvero che danno dei venduti alla Cgil. E l’Usb che accusa i Si Cobas di difendere solo i propri iscritti. Il tutto tra audio imbarazzanti registrati di soppiatto, accuse di arricchimenti personali, minacce a mano armata di cutter. Il sindacato come sport estremo.
COME RAPPRESENTARE RIDER COL DOTTORATO?
Per il sindacato una delle difficoltà supplementari di rappresentare i lavoratori è che, oltre a lavorare in modalità sempre piu’ atomizzate, spesso hanno titoli di studio (e quindi consapevolezza) decisamente superiori a quelle dei vecchi operai. E’ il caso, o forse bisognerebbe dire “era” perché anche la loro composizione è mutata col tempo e ora sono sempre piu’ immigrati, dei ciclofattorini, i rider che portano il cibo a domicilio. Anni fa avevo partecipato alla prima assemblea nazionale della Riders Union Bologna, un tentativo di organizzarsi dal basso. Nel pubblico c’erano anche tre sindacalisti confederali che tentavano come potevano di recuperare il tempo e il terreno perduto. Avevo fatto notare questa difficoltà e un sindacato si era molto risentito. Ma non è prendendosela con chi fa notare che piove che si evita di bagnarsi.
Vista la malaparata il tipo della Cgil alza i tacchi, senza aver profferito verbo. A un certo punto si eclissa anche Massari. Resta fino a sera un giovane della Fiom («Preferirei non essere citato perché sono nuovo e dovrei chiedere il permesso per fare dichiarazioni»), che avvicino nella pausa pranzo, ramingo su uno dei tavoli del chiostro alle prese con calzone alle ortiche e riso alle erbe al prezzo politico di 4 euro. «Come li intercetti questi ragazzi? Non possiamo aspettarci che vengano a bussare, e infatti li abbiamo invitati al nostro ultimo direttivo» dice, con l’umiltà di uno che ha visto troppi treni partire invano e non vorrebbe perdere anche questo. Nello stanzone l’unico striscione che non è stato ammainato è quello Adl Cobas. Cui appartiene anche Stefano che tiene i rapporti con la stampa per Riders Union Bologna, il collettivo che ha convocato qui i fattorini da mezza Italia. Il quale, nel suo breve intervento, ribadirà la distanza con i confederali diffidandoli dal «paternalismo», rivendicando «il protagonismo dei lavoratori» e annunciando che è loro intenzione «risignificare il sindacato». Sì, perché il portone di vicolo Bolognetti è una macchina del tempo che ti catapulta linguisticamente negli anni ‘70, quando il lavoro non era ancora degradato a lavoretto. Sento dire «Assalto al cielo», «annacquare il conflitto» o, in alternativa, «calmierarlo», «détournement» e immagino questi ventenni chini sui libri di Franco “Bifo” Berardi, genius loci dell’autonomismo locale che vive una seconda giovinezza grazie allo sprofondamento globale dei diritti. Non solo dunque chi gli parla, a questi ragazzi, ma come?
IL SISTEMA CASTALE CHE VIGE NEI SUPERMERCATI
Qualche tempo prima avevo fatto un istruttivo tour notturno dei supermercati romani con un sindacalista dell’Usb. Per capire come, anche il quel caso, i piu’ precari dei precari tendessero a rivolgersi a sindacati di base. In quello schema neo-feudale i servi della gleba avevano trovato un nuovo alleato.
Tu consumatore non lo sai, vedi addetti in divisa e pensi che tutti dipendano dal logo che hanno stampigliato all’altezza del cuore, ma non è così. Che imbocchi un corridoio o un altro, ti metta in fila a una cassa o in quella accanto, puoi incrociare valvassori, valvassini o servi della gleba. I primi sono gli assunti (paga oraria media 10 euro, straordinari, notturno, ferie). I secondi gli interinali, che per legge dovrebbero prendere quanto i primi ma in verità portano a casa sugli 8 euro (niente anzianità, niente straordinario). I terzi quelli delle coooperative, con paghe variabili dai 7 ai 5 euro, parliamo di lordo, no malattia, no quasi niente e se ti lamenti tanti saluti e avanti un altro. Judito, il filippino ventinovenne che incontro al McDonald’s di via Trionfale, rifugio con aria condizionata e wifi gratuito di tanti naufraghi metropolitani, appartiene all’ultima classe. Dice: «Negli ultimi due anni ho lavorato per due diverse cooperative trovate su Infojobs.it. Scaffalista per Conad e per Carrefour. Scarico la merce dal camion, la tolgo dai pallet, la carico sugli scaffali, facendo la rotazione a seconda delle scadenze. Per 7 mila colli serve una squadra di cinque-sei persone. Per 10 mila otto». È veloce, gli fanno i complimenti, così a un certo punto fa notare che 5 euro e 50 sono proprio pochini. Almeno lo spostassero in un punto vendita più vicino casa, che è un aumento indiretto in moneta di tempo perso. Prima dicono di sì poi, l’impudenza va sanzionata, ci ripensano e gli offrono una sede ancora più lontana. Così trova un’altra cooperativa che di euro gliene dà 6,50, con lo straordinario al 20 per cento e un piccolo premio per il notturno. È felice sin quando non si accorge che il caporeparto pugliese fa fare tutto a lui e agli altri suoi connazionali mentre, sostiene, gli italiani se la prendono comoda ed escono per fumare. Sua moglie lavora tutto il giorno come domestica e spetta a lui portare alla materna il figlio di cinque anni che ora siede davanti a me fiero della sua maglietta di Spider Man. «Devo lavorare di notte per guardarlo, ma sono bravo e posso far meglio di così» motiva le sue ultime dimissioni. Su internet ha prenotato due colloqui con altrettante agenzie interinali ed è fiducioso che la sua vita migliorerà presto.
DA LEGGERE: LE VITE CHE NESSUNO VEDE
Un libro magnifico su quelli che non solo non hanno diritti ma non hanno quasi niente è quello della brasiliana Eliane Brum specialista in abitanti di favelas e altri ultimi. Si intitola Le vite che nessuno vede (Sellerio) e mette insieme molti suoi articoli. L’approccio lo spiega bene qui:
La rubrica che firmavo, pubblicata ogni sabato, si chiamava «La vita che nessuno vede». In questo spazio di una pagina, scrivevo storie su quelle che si definiscono «persone comuni». Quelle che non fanno notizia o le cui vite–e morti–occupano tutt’al più una nota a piè di pagina. Scrivevo proprio per mostrare che non esistono vite comuni, ma solo sguardi addomesticati. Occhi incapaci di vedere che ogni vita è tessuta con il filo della straordinarietà. Purtroppo, questi sono i nostri occhi.
DA VEDERE: TED LASSO
Ted Lasso (Apple+) è l’ingenuo prototipale. Lo chiamano per allenare una squadra di calcio, di cui sa poco o niente, ma non sospetta che sia una fregatura. Però poi, con la sua pervicace bontà, la fregatura la dà a chi voleva fargliela. O cosi intuisco arrivato alla terza puntata. Una specie di Forrest Gump reloaded. Veramente niente male.
Epilogo
Come vi sarete accorti questa è ancora una versione semivacanziera della newsletter, piu’ corta e con accenti sbagliati per proibitiva tastierina usata col cellulare. Farò meglio la prossima: buona fine di estate a tutti!