#39 Come funziona la mente complottista
Enciclopedia delle cospirazioni; i no vax prosperano col Covid; balle spaziali; il caso Xylella; i cinesi non muoiono mai
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Prologo
Il termine «teoria del complotto» ha una precisa data di nascita: il primo aprile del 1967. Quel giorno il quartiere generale della Cia a Langley spedisce il cablogramma numero 1035-960, dedicato alle «critiche al rapporto Warren»–ossia il rapporto finale della commissione d’inchiesta parlamentare sull’omicidio del presidente John Fitzgerald Kennedy, pubblicato nel 1964. Il cablo inizia con la costatazione che la morte di Kennedy ha scatenato ogni tipo di speculazione, e che il 46 per cento degli americani non crede che Lee Harvey Oswald abbia agito da solo. Quasi un cittadino statunitense su due, annota l’anonimo analista, rigetta apertamente la versione ufficiale; e questo è un grosso problema non solo per il governo ma per la stessa agenzia di intelligence. «Le teorie del complotto hanno spesso gettato sospetti sulla nostra organizzazione», si legge, «sostenendo falsamente, ad esempio, che Oswald lavorasse per noi». (Da Complotti!, vedi sotto).
BREVE STORIA DELLE CONSPIRACY THEORIES
La «singolarità complottista» è una specie di gran ritrovo paranoico dove i rettiliani (saremmo prigionieri di rettili alieni, dediti alla pedofilia, che occupano il potere) incrociano i Protocolli dei savi di Sion (stavolta a governare il mondo è una teocrazia ebraica), Bill Gates, la pandemia o il 5G. Di questa moltiplicazione per impollinazione digitale di ghirlande di credulità popolare si occupa Complotti! (Minimum fax, pag. 330, e. 18 che nasce dal suo lavoro sulla newsletter omonima) di Leonardo Bianchi, giornalista di Vice Italia convinto che «occuparsi dei margini della società sia, soprattutto negli ultimi due decenni, diventato essenziali per capirne il centro». Trump docet. Un estratto dall’ultimo Venerdì.
Da una parte cita uno psicologo che sostiene che le teorie del complotto sono immuni da qualsiasi confutazione («Se sembra un complotto, significa che era un complotto. Se non sembra un complotto, era sicuramente un complotto». Dall'altra elenca alcune regole di ingaggio per affrontare un complottista: quali sono le più importanti?
«Evitare di trattare chi ci crede come malato di mente. Più che il debunking fattuale può servire la vicinanza empatica: un amico o un parente può fare più di tanti articoli. A patto che sappia che la sfida è impari e con buone probabilità di fallimento. Alla fine le teorie della cospirazione cercano di mettere una toppa a domande senza risposta. La miglior definizione resta quella del politologo Michael Barkun che ne elenca i tre principi base: "1) nulla è come sembra; 2) nulla accade per caso; 3) tutto è connesso". Per scalfire questa triade resistentissima non basteranno mai i fatti, serve arrivare a livello delle emozioni. In profondità».
IL COVID RICOSTITUENTE PER I NO-VAX
Quando ancora eravamo in lockdown e in salvifica attesa di un vaccino ci eravamo domandati se il Covid avrebbe spazzato via le resistenze dei no-vax classici. Grande ingenuità, a posteriori. Ne ero andati a cercare qualcuno. Non era andata benissimo, come testimonia lo scambio sotto:
Vaccini basta è un gruppo Facebook dal titolo autoesplicativo. Ha oltre 28 mila follower. Il piatto forte, quando lo visito, è un post che smaschererebbe la presunta («presunto» è un totem linguistico nell'universo complottista) letalità del virus. Citando molto liberamente un'intervista al presidente dell'Istat Gian Carlo Blangiardo Stefano Scoglio, titolare di un'azienda nutraceutica specializzata in «microalghe ciano-batteriche del lago Klamat», rivela: «La verità è che qui c'è un fenomeno limitato a Bergamo e Brescia, che non ha nulla a che fare col virus cinese, e probabilmente ha a che fare con quello che emerge anche dall'intervista dell'Avvenire che allego: i malati erano tutti vaccinati!!!». Ah, ecco. Non sono morti di coronavirus ma di vaccino. A scanso di equivoci nell'articolo menzionato di vaccini non si parla affatto. Scrivo agli amministratori del gruppo. Il primo risponde subito, gentile. Quindi: aspettate anche voi il vaccino per la pandemia? «Ma che domanda è», obietta, dopo lungo pensamento, «è proprio sicuro che tutto il mondo lo attenda con ansia?». Contro-obietto che l'antico e rodato format delle interviste prevede che uno faccia le domande e l'altro dia le risposte.
Segue inutile confronto metodologico sin quando nella messaggistica non irrompe un secondo attivista: «Egregio provocatore, ha sbagliato indirizzo! Ne usciremo come il mondo è sempre uscito da altre epidemie in cui non esisteva e non esiste un vaccino immondizia!! Ignora forse un furbone come lei che x la Sars non si ebbe e non si è mai potuto fare un vaccino e che la peste nera non si fa quasi più vedere nonostante l'inesistenza di vaccini?? Finto giornalista studentello??». Chiedo sommessamente quale sia la sua formazione per avere idee così chiare al riguardo. La risposta (va detto che lo scambio si è fatto più frizzante che con il primo letargico interlocutore) arriva in un baleno: «Certamente, mi chiamano il castigadementi». E poi vai di «lacché», «fenomeno foraggiato» e consigli di rivolgermi al «somaro massone» (Roberto Burioni, il loro nemico giurato). Il primo amministratore, eclissato dall'irruenza del secondo, riprende la parola rispondendo al come torneremo a uscire di casa: «In qualche modo si troverà una soluzione, ma un vaccino per un virus mutageno la vedo dura, se non impossibile, da realizzare». In qualche modo tipo? (Mutageno, per inciso, vuol dire che trasforma le cellule attaccate in tumorali, e non è il caso del Sars-COV2). «Non ho risposte a questa domanda. Però potrei consigliarle di girarla a Giulio Tarro, dell'università di Stanford».
L’ALLUNAGGIO, MADRE DI TUTTI I SOSPETTI
Qualche anno fa mi ero occupato di terrapiatisti e di una delle più resistenti teorie del complotto per cui NON saremmo mai stati sulla Luna. Avventura istruttiva, la mia:
Sostengono i negazionisti che «il piccolo passo per l’uomo» non si sia mai posato sul nostro satellite più amato perché: la bandiera americana garriva ma sulla Luna non c’è vento; in cielo non c’erano stelle; le ombre di capsula e astronauti non tornavano; la temperatura avrebbe liquefatto qualsiasi pellicola; i razzi non avevano abbastanza forza per portare la capsule in orbita e decine di altre presunte incongruenze che si metastatizzano in altrettante anomalie in una vertigine di sfiducia sempre più patologica. Per le obiezioni, puntuali, basta la pagina di wikipedia o, come mi suggerisce l’esperto Andrew Chaikin, una vecchia e disadorna pagina a cui la stessa Nasa, stremata da troppi infruttuosi tentativi chiarificatori in proprio, linkava per smontare le fandonia (www.badastronomy.com/bad/tv/foxapollo.html). «Dico solo che la bandiera sta su perché a reggerla avevano messo un’asticella orizzontale e che le stelle non si vedono perché le macchine fotografiche erano regolate per la luce diurna» liquida Paolo Attivissimo, noto debunker di bufale d’ogni ordine e grado con una passione speciale per l’astronomia nonché traduttore-collaboratore della Nasa. La ragione più profonda, spiega, è che «la popolazione non era preparata. Si era passati dal primo volo, sessantasei anni prima, ad andare sulla Luna. Un salto oggettivamente portentoso. Aggiungete le immagini sgranate, in bianco e nero, e si intuisce l’origine dell’incredulità. Per non dire che c’è sempre una percentuale fisiologica, direi del 6-7 per cento, di gente che tende a non credere ad alcuna versione ufficiale. D’altronde, stando a vari sondaggi, un americano su cinque crede alle streghe».
IL TRISTE CAPITOLO XYLELLA
Un paio di anni fa ero andato in Puglia per capire che ne era della Xylella un anno dopo. La storia, ieri raccontatissima a livello regionale, strameritava la ribalta nazionale perché offre una perfetta cartografia psichica del Paese in cui viviamo oggi. A partire dal sospetto sistematico nei confronti della scienza. Il populismo dei politici che, pur di non perdere un pugno di voti, lo vellicano. La supplenza della magistratura (e i suoi sbandamenti). Per non dire di giornalisti che, malintendendo la lezione del follow the money, immaginano cospirazioni anche dietro al totale dello scontrino del caffè. Insomma, l'Italia al tempo dell'uno vale uno. Un estratto:
Mentre le piante deperiscono, cresce un sottobosco di terapeuti alternativi. L'agricoltore Ivano Gioffredda che indica in comuni funghi i veri colpevoli e, in un video commissionato dalla portavoce dei 5S all'Europarlamento Rosa D'Amato (celebre anche per avere attribuito una dichiarazione sull'inutilità dell'espianto all'autorità mondiale Alexander Purcell), diventa l'eroe della resistenza alla pensée unique brussellese. Il batteriologo Mario Scortichini che propone aerosol di rame e zinco suscitando poi un'indagine interna dell'ente per cui lavora che sospetta un conflitto di interesse. L'imprenditore Luigi Botrugno che ha inventato un sapone speciale con cui lavare le piante, galvanizzando il senatore grillino Lello Ciampolillo. Gli olivicultori fanno ricorso al Tar contro le sradicazioni. Nel dicembre 2015 è la Procura di Lecce a sequestrare le piante "condannate" e ipotizza addirittura per i ricercatori il reato di disastro ambientale. I curanti sarebbero gli untori, come nell'epopea giudiziaria della virologa Ilaria Capua che fu incredibilmente accusata di aver spacciato l'influenza aviaria. «Si tratta di uno dei provvedimenti giudiziari più strani e inspiegabili degli ultimi anni» scrive il giurista Luca Simonetti in La scienza in tribunale (Laterza), un catalogo di orrori giudiziari da Di Bella al terremoto dell'Aquila. Tutto fermo, tranne il contagio. Gli ambientalisti festeggiano sulle note di Al Bano Carrisi («Saremo le guardie del corpo degli ulivi: guai a chi li tocca!») e Nandu Popu, frontman dei Sud Sound System, con coro dei Negramaro, Sabina Guzzanti e altri specialisti di chiara fama, tutti potenziali testimonial di come le buone intenzioni talvolta lastrichino l'inferno.
DEI CINESI D’ITALIA NON SI SA NIENTE
Tanti anni fa, con Raffaele Oriani, ci eravamo imbarcati in un libro che provava a verificare alcuni miti sui cinesi d’Italia. La vasta ignoranza sul tema aveva dato luogo a un’ampia letteratura cospirativa. Il titolo era I cinesi non muoiono mai. Un estratto:
Per non dire dei loro figli, così più svegli, educati e spesso bravi a scuola dei nostri. Nonostante che facciano tutti, da quando non hanno più i denti da latte, doppi e tripli lavori per aiutare mamma e papà nei loro titanici progetti di affrancamento sociale. Tutta un'altra attitudine. Mentre i nostri giovani sognano il posto fisso, i loro si offendono se solo qualcuno ha la malaugurata idea di offrirgliene uno. Quindi faticano, faticano, faticano in un'infinita accumulazione originaria che finisce solo il giorno in cui decidono di andare in pensione e cominciare a vivere, magari una volta ritornati nell'amata Cina. Così facendo, sono tra i pochi immigrati ricchi in circolazione. E questa è un'altra contraddizione in termini difficile da buttar giù. In una nazione in difficoltà come la nostra è un motivo più che sufficiente per sviluppare fantasiose teorie della cospirazione e una diffusa invidia. E poi, si sente dire, sono chiusissimi, ermetici, stanno solo tra loro. Che è anche vero ma, siate onesti, quante volte avete provato ad avvicinarli? C'è una ragazza, tra le tante con cui abbiamo parlato, che si lamentava del fatto che nei due anni da quando ha aperto la sua agenzia immobiliare nessuno, dai due negozi accanto, sia mai venuto a dirle "benvenuta!". Certo, non fanno allegria come i sudamericani, non li sentiamo cugini come certi maghrebini, ma è un po' poco per fargliene una colpa.
E se non bastassero loro, a impensierirci, guardateli sullo sfondo della loro superpotente madrepatria, che macina ogni anno nuovi record economici, e vedrete come le ombre si faranno ancor più minacciose. Epperò l'unico modo per capire che, per quanto scure, le ombre non possono mai fare troppo male è andarci sotto, vederle da vicino. Proprio ciò che abbiamo cercato di fare durante questo viaggio. Li abbiamo incontrati, ci abbiamo parlato a lungo, abbiamo conosciuto le loro famiglie, intuito quanto fosse ramificata la rete delle loro parentele. Non hanno sempre aperto la porta di casa al primo squillo di campanello, questo no. Ma siamo comunque entrati in più soggiorni e bevuto più tè con cinesi di quanto un italiano medio totalizzerebbe in una vita intera. Così facendo abbiamo verificato quel che immaginavamo soltanto prima di partire. Ovvero che di loro non si sa niente. Al di là di una quantità industriale di luoghi comuni, ovviamente. Perché dove si ferma il trenino della conoscenza, parte puntualissimo il razzo della superstizione.
Epilogo
Prima che diventi un mito anche quello della desiderabilità del cosiddetto smart working (lavoro da casa è più onesto) sull’ultima Galapagos riporto alcuni dubbi dalla letteratura recente. In breve: da soli tendenzialmente si produce di più, ma si innova di meno.