#24 Vite d’alto bordo
Gigayacht a Viareggio; i russi di Morte dei marmi; Natale a Cortina; per quale motivo uno vive a Dubai?; la carica (rimandata) dei milionari a San Francisco; Scusate il disturbo; Succession; Brel
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Prologo
Sono il fortunato proprietario di tre castelli. Di sabbia. Costruiti con il fondamentale contributo di una duenne. A Marina di Alberese. Fino alla prossima mareggiata.
L’INVASIONE DEI GIGAYACHT
Tanti anni fa, camminando lungo la Darsena di Viareggio, il mio compagno di liceo Francesco indicò uno yacht: “Vedi, credo sia di un russo: un milione a metro, sessanta metri: i conti si fanno facile”. Poi adesso mi hanno spiegato che non è esattamente così, entra in gioco il tonnellaggio, però come ordine di grandezza resta vero. Son tornato da quelle parti, le mie parti, e ho cercato di rispondere alla seguente domanda: perché, potendo scegliere qualsiasi posto al mondo, tanti straricchi mondiali vengono a farsi fare lo yacht proprio nel posto dove sono nato io? Il pezzo inizia così:
VIAREGGIO. Prendete i corrimano. Forgiati da un’officina locale, in acciaio tirato a specchio come solo nelle statue di Jeff Koons, di pianta ovale sedici centimetri per dieci. Hai l’impressione, stringendoli, che niente di male possa succederti. D’altronde se puoi spendere trecentomila euro per l’equivalente nautico del battiscopa domestico non sono troppe le cose che dovrebbero impensierirti. Difatti a bordo di questo gigayacht, che nel lessico familiare del cantiere Benetti che l’ha costruito sta a indicare quelli sopra i novanta metri, sembra che il criterio che abbia improntato le scelte dell’armatore sia quello di certi parvenus davanti a liste di vini troppo enciclopediche: «Voglio il più caro!». Di rilancio in rilancio la fattura finale è arrivata a 160 milioni di euro. A cui va aggiunto circa il 10 per cento ogni anno per manutenzione e rimessaggio, che è come se dopo aver comprato una casa da un milione continuaste a spenderne ottomila al mese di spese condominiali. Senza considerare la dotazione di arte contemporanea contenuta a bordo che, non di rado, supera il valore del contenitore. La circostanza più singolare, nota da tempo agli addetti ai lavori ma ancora largamente sconosciuta ai più, è che quasi la metà di queste navi di extra-lusso (il 44 per cento di quelle sopra i 30 metri costruite dal 2016 a oggi stando alla classifica di SuperYacht Times) vengono costruite in questa cittadina di sessantamila abitanti, equidistante da Lucca e Pisa, famosa per il suo carnevale e per un turismo balneare con uno sfolgorante passato. Nella quale, incidentalmente, è nato il vostro cronista che sin qui si era astenuto dal mettere a sistema gli aneddoti raccolti negli anni da amici e conoscenti. Fino al combinato disposto di un recente articolo del Tirreno sul «boom di richieste di superyacht» nonostante e anche a causa della pandemia e un altro sulla specializzata RobbReport dal titolo «Come questa cittadina toscana senza pretese è diventata l’epicentro del mondo dei superyacht» che hanno spazzato via le ultime resistenze. Ed eccomi in una trasferta che eccezionalmente non necessita né di albergo né di guardare le strade su Google Maps, per cercare di rispondere alla domanda: perché, potendo scegliere, tanti straricchi del pianeta vengono a farsi la barca proprio qui?
I RUSSI A “MORTE” DEI MARMI
Di ricconi vicino casa avevo scritto qualche anno fa, sulla coda lunga del bel libriccino Morte dei marmi (Laterza) del mio amico Fabio Genovesi che parlava dell’invasione di Forte dei marmi da parte dei russi. Era sempre vero, qualche tempo dopo? Ero andato a vedere:
FORTE DEI MARMI. L’accoglienza è una scienza esatta. «L’autista mi avverte quando sono a mezz’ora dalla destinazione e io faccio togliere la torta al cioccolato dal frigo» dice con orgoglio Cristiano Pugnana, lunghi capelli biondi, occhi azzurri e una T-shirt Just Cavalli. L’inserviente la depositerà dentro a una cassetta di legno che ospita già una selezione di vini e salumi toscani e un benvenuto in cirillico. «È un’attenzione che apprezzano molto» dice, nella saletta iper-refrigerata del Royal Forte, l’agenzia immobiliare per ultraricchi, preferibilmente ex sovietici, che gestisce con la moglie Irina. Attenzione dovuta, dal momento che l’affitto di una villa per l’estate va dai 300 mila euro in su, «utenze escluse, perché se uno fa dieci docce al giorno paga di più di uno che ne fa una sola». Questo non è un paese per forfait.
Se gli chiedi che impressione gli ha fatto lo spot di un noto albergatore per insegnare il bon ton ai moscoviti, sibila solo «insensato». Tutta la città ne parla. Tre minuti surreali in cui Salvatore Madonna, titolare dell’Hotel Byron e Ludmilla Radchenko, che l’agenzia di comunicazione Klaus Davi promuove «top model», duettano in una sorta di decalogo a uso dei nuovi ottentotti. «Quando entrate in un albergo la prima regola è salutare, sorridere e guardare negli occhi chi vi sta davanti» dice la bella ragazza bionda. Gli altri suggerimenti non richiesti sono variazioni sul tema dell’importanza di un sorriso ben assestato. Lo scopo dichiarato è «conoscerci meglio per accogliervi meglio». Ma chiunque qui ha tradotto «siete ricchi ma zotici, vi insegniamo a stare al mondo». Madonna, camicia monogrammata e un tatuaggio che sbuca dal mocassino di pelle umana, nega: «Sono due giorni che rispondo a mail di russi. Non sapevo che fossero più permalosi dei siciliani. Era solo una maniera leggera di favorire la reciproca comprensione». Nonostante quel che dice su YouTube, lui clienti russi non ne ha. Gli è capitato in passato che pretendessero la suite, offrendo di pagare il triplo, ma giura di non aver ceduto. Non ha neanche tradotto il menu del suo ristorante stellato Michelin («Non faccio distinzioni», però in inglese c’è). Si cruccia che il Forte «perda tanti turisti italiani». A occhio sembra un adepto della religione warholiana dei 15 minuti di celebrità perché è impossibile che non capisca che dire «il cappuccino non si beve se non a colazione» è trattare potenziali clienti a pesci in faccia. Come gli scampi crudi, di cui i russi fanno incetta. «A 36 euro al piatto» racconta Piero Petrucci, il cui ristorante La Barca è un’istituzione, «vanno via come il pane. Ma anche il caciucco, ravioli al tartufo e zuppe di molluschi». La sua lista dei vini ha una zona Bordeaux, off limits per tutti tranne che per loro, con Chateau Latour del ‘97 a 900 euro. «Dieci-quindici anni fa, con la prime ondate, ne vendevamo di più. Adesso ne stapperò cinque a stagione». Differenze con i clienti italiani? Prenotano tavoli grandi, da 10-12 persone. Hanno bimbi più scatenati. Ma vengono anche tre volte alla settimana che, «a una media di 250 euro per una mamma e due figli piccoli», è una fetta cruciale del pubblico, ovvero il 30-40 per cento, che significa però una percentuale più alta del fatturato.
NATALE A CORTINA
Di altri ricchi e altre latitudini mi ero occupato in una delle ultime trasferte pre-lockdown. Che ne era di Cortina, alla vigilia di due importanti appuntamenti sportivi?
CORTINA D’AMPEZZO. La buona notizia è che c’è ancora posto al Cristallo. Quella cattiva è che una doppia dal 24 al 27 dicembre costa 3500 euro. Presa bene, su Booking. Perché la suite che mi mostrano con balconcino spalancato sulle Tofane, tanto magnifiche e torreggianti che sembra di poterle toccare, va sulle due-tre volte tanto, «dipende» dice Carmelo Franco Lentini, l'impeccabile direttore dell’unico cinque stelle lusso del paese. Parlare di soldi a Cortina, che volgarità! Eppure sono proprio loro, agli occhi del finanziariamente normodotato, a raccontare l’autobiografia della Perla delle Dolomiti, come da meritato cliché delle brochure turistiche da oltre un secolo e mezzo a questa parte. Tanti denari privati, dalla bici da 30 mila dollari che un cliente americano si porta in camera perché non si fida di lasciarla nella bike room videosorvegliata dell'Hotel de la Poste, dove Hemingway scriveva Morte nel pomeriggio. Al carpaccio d'astice da 46 euro servito allo stellato Tivoli. Allo spolverino Gucci da 3400 euro in vetrina da Franz Kraler. Alcuni fondi pubblici, come i cento milioni di euro già parzialmente piovuti sulla località sciistica per essersi aggiudicata i Mondiali del 2021 e i circa 300 dal Cio per le Olimpiadi invernali del 2026 (sui 900 totali, con Milano). Una doppietta fenomenale, lungamente agognata. Che, nelle aspettative dei più, dovrebbe sortire una propulsione simile a quella delle Olimpiadi del ’56, le prime in diretta televisiva, che definitivamente collocarono la cittadina sulla mappa del turismo internazionale. D’alta quota. E d’altissimo bordo.
IL MISTERO PROFONDO DI VIVERE A DUBAI
Qualche anno prima, della lunga serie “una cosa divertente che non farò mai più”, ero stato a Dubai per cercare di penetrare il più ermetico dei segreti: perché gente con tanti soldi decideva di vivere in un deserto col sex appeal di un centro commerciale (di lusso)? È proprio di questi giorni una parte della risposta: le tasse lì non sanno dove stanno di casa. Ma il mistero, per me, resta:
DUBAI. L’incontro Dubai vs Natura è stato sospeso da tempo per ko tecnico. Non c’era storia. Prendete questo rifugio Saint Moritz al fondo della pista da sci inventata dentro il Mall of the Emirates. Dentro fanno quattro gradi, fuori trentadue e d’estate anche cinquanta. Oppure fate caso a quei tubi neri che, come vene idriche, irrorano la sabbia fino a convincerla a diventare una terra sufficientemente buona per crescerci l’erba. O all’isola artificiale a forma di palma dove vivono i vip più vip di tutti. La prima volta che ho visitato questo non-luogo globale, nel 2001, metà delle cose che oggi la rendono celebre non c’erano. Non il Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo, né il Dubai Mall, il centro commerciale più immenso. Il Guinnnes dei primati è la costituzione ufficiosa della città. La moschea ospita il tappeto più vasto, pare che anche una duna sia la più alta (300 metri) e un bicchiere di whisky numerato il più caro (2000 euro). I record entusiasmano i bambini, ma gli adulti che ci fanno? È la domanda che sono venuto a porre a una discreta rappresentanza di italiani tra i 4-5000 residenti negli Emirati arabi uniti. Perché, tra le tante cose straordinarie che qui abbonderebbero (riassumendo: opportunità, meritocrazia e sicurezza), mi sembra che ne manchino altrettante di ordinarie che nella Vecchia Europa costituiscono la categoria vaga ma essenziale di «qualità della vita».
Da Voglioviverecosi, un sito dedicato a quelli che lasciano l’Italia, mi consigliano di contattare Fabio Troglia, un trader che aveva già vissuto a Malta. Lo incontro nel lussuosissimo bar di The Address, un hotel della zona Marina. «Qui c’è il futuro» esordisce questo trentasettenne torinese con moglie fotografa e figlio piccolo. Spiega: «È un posto molto stabile con valori forti, tra cui la sicurezza. Pieno di opportunità per i giovani. Magari qui accanto a noi c’è un figlio di uno sceicco, per questo c’è sempre da andare a giro con i biglietti da visita». Lui gestisce patrimoni, i ricchi sono la sua materia prima.
SAN FRANCISCO E LA CARICA DEI MILIONARI
Prima che succedesse il Covid a San Francisco il 2020 doveva essere ricordato come l’anno della carica dei nuovi milionari. SI attendevano un sacco di quotazione pesanti e con esse legioni di nouveaux riches. Avevo chiesto a vari esperti come sarebbe cambiata la città dopo il passaggio degli unicorni, ovvero le startup valutate oltre un miliardo di dollari. Fra loro:
L’ho chiesto a Deniz Kahramaner, giovane e brillante turco che è l’uomo dei numeri di Compass, una grande società immobiliare. «Stiamo parlando» mi spiega mostrandomi grafici sul telefonino «di un’ondata di nuova ricchezza per almeno 200 miliardi di dollari» (Uber da sola è stata valutata tra 80 e 120 miliardi) e per lui i nuovi milionari sarebbero cinque e non diecimila come la cifra proposta da Herman Chan di Sotheby’s. «Rispetto ad altri non sono neppure sicuro che si abbatterà tutta insieme nel 2019, dal momento che di solito passano almeno sei mesi dall’Ipo (Initial public offering) prima che i dipendenti con pacchetti di azioni comincino a vendere». Non dubita, invece, che i collocamenti avranno un effetto immobiliare cataclismatico, fino a raddoppi dei prezzi nei prossimi 5-10 anni. «I dati delle transazioni immobiliari sono pubblici e li ho analizzati. Nel 2018 il 51 per cento dei compratori apparteneva al settore tecnologico, e più esattamente 64 erano dipendenti di Google, 42 di Apple e 9 di Uber. Secondo i miei calcoli le Ipo genereranno una schiatta di nuovi acquirenti per 2.400 case da oltre un milione di dollari e per 211 da oltre 10 milioni. E, per la legge della domanda e dell’offerta, i prezzi andranno su, anche molto su». Perché un parco immobiliare di così gran pregio a San Francisco oggi non c’è.
DA LEGGERE: SCUSATE IL DISTURBO
Gli incontri casuali. I vecchi amanti. I rimpianti, vagonate di rimpianti. La vita, semplicemente in questa magnifica collezione di racconti di Richard Ford, Scusate il disturbo (Feltrinelli), nella magnifica traduzione di Vincenzo Mantovani.
In quella luce cruda il viso di lei mostrava una grossolanità che lui non aveva notato, ma che–supponeva–avrebbe finito per detestare.
È che non sono molto brava a trasformare in amici i vecchi amanti. Restano amanti, altrimenti non mi piacciono.”
C’era, bisogna ammetterlo, la vaga sensazione di essere un semplice spettatore della vita. Ma era l’America. Erano tutti spettatori. Nessuno, gli sembrava, era dentro fino al collo in qualche cosa.
“Mi sento come se avessi fatto molta strada,” diceva Mick Riordan, poi: “Eppure non sono andato molto lontano”.
“Non era più giovane, con tanti bei pensieri e tanti sogni da fare da solo.”
Cathleen sarebbe stata accolta con tutti gli onori nella loro casa, che era vicino a un campo di golf. Non ci sarebbero stati imbarazzi. Il passato era il passato, e tutti ne avevano uno, disse Sandra con una risata. Poi aggiunse placidamente che Richard l’amava ancora–amava ancora lei, Cathleen–, cosa alla quale Cathleen non pensava più da molto tempo, ma non credeva proprio che potesse essere vera.
“Semplicemente, non ho mai voluto essere quello che ti toglieva il sorriso dalla faccia,” disse. Oh, gli disse lei, a questo avevano pensato gli altri che erano venuti dopo.
Raramente si prendevano buone decisioni dopo tre bicchieri: la regola d’oro del barista.
DA VEDERE: SUCCESSION
Una famiglia simil-Murdoch dove il patriarca sembra essere lì lì per morire, giusto il tempo per scatenare una feroce guerra di successione. Aspettando nuove stagioni.
DA SENTIRE: LES BOURGEOIS
Un grande Jacques Brel in Les bourgeois.
Epilogo
Alla fine di questa galoppata nelle steppe della plutocrazia, forse, anche ai più cauti, sembrerà meno audace la parte della modesta proposta di Enrico Letta sull’aumento dell’imposta di successione (dall’attuale 4 al 20%) per chi lascia un’eredità superiore ai 5 milioni di euro. Vorrebbe dire che i vessati rampolli riceverebbero 4 milioni invece di 5. Sembrerà forse anche particolarmente deludente la risposta di Draghi (“Non è il momento di prendere soldi, ma di darli”). Esattamente quel che si poteva fare, con quelle tasse supplementari prese a persone che se ne sarebbero a stento accorte, a gente che ne aveva invece davvero bisogno.