#2 Una app ci curerà. Ma chi e come?
La salute secondo l'algoritmo (e la fantascienza); un bot freudiano e il tram della longevità a Torino; una sublime Fran Lebowitz; la mezza bufala del rider ricco
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Prologo
Chi mi frequenta lo sa già, per gli altri breve riassunto. Sono svenuto. Sono caduto di faccia e mi son fatto un taglio sotto l’occhio. Siccome la cicatrice non si riassorbiva bene prima ho mandato una foto a un mio amico bravissimo chirurgo pisano che di solito interviene quando ci sono terremoti e altre immani calamità nel mondo, ma la foto non era granché, io ho descritto male il problema e lui non ha potuto far altro che stare sul generico. Così sono andato all’Idi, istituzione dermatologica romana in declino. Superato lo shock iniziale di addetti all’accettazione a mascherina bellamente abbassata (devono aver creduto che i droplets, delle cui dimensioni in micrometri abbiamo discusso ad nauseam, non riuscissero a passare dagli 8 centimetri in cui il plexiglas si interrompeva per far passare il Pos) il medico è stato bravo, mi ha detto che avrei dovuto mettere un paio di punti al momento dell’accaduto e che adesso provavamo a risolvere con una pomatina che si è rivelata costare più del toner delle stampanti, a confronto del quale anche lo champagne è a buon mercato. Questo per dire, sfidando l’ovvio, che il medico è sempre meglio vederlo.
DOTTOR TERSILLI SCANSATI, ARRIVA BABILONIA
Perché in Finalmente è Venerdì scrivo di una app partita in Gran Bretagna qualche anno fa, che poi ha fatto fortuna in Africa (dove ha 2 dei suoi quasi 4 milioni e mezzo di utilizzatori) ed ora è atterrata anche in America. Si chiama Babylon Health, l'ha fondata un ex banchiere anglo iraniano, e di fatto sostituisce i medici con l'intelligenza artificiale. Una volta scaricata la app infatti (149 sterline all'anno o 49 per una singola consultazione) spiegherai i tuoi sintomi a un chatbot, un codice informatico che risponderà attingendo a grandi banche date sanitarie e mimando, giura il fondatore, il mondo di pensare di un medico. C'è poi anche la possibilità di un rapido controllo in videoconferenza con un medico vero, ma la parte rivoluzionaria della app è l'altra, quella dell'automazione. Il servizio ha avuto una forte crescita con la pandemia grazie alla possibilità di verificare a distanza se certi sintomi potessero indicare che uno era positivo al Covid (nel Regno unito soltanto i clienti sono cresciuti di 140 mila unità e a quanto pare i finanziatori, compreso il fondo sovrano saudita, continuano a scommettere sul suo successo).
Tutto bene se non fosse che, in vari casi documentati, il chatbot ha diagnosticato un tumore al seno come osteoporosi e un inizio di infarto a un fumatore sessantasettenne come probabile gastrite. Cantonate che, per una volta senza scadere nella frase fatta, possono fare la differenza tra la vita e la morte. I medici del servizio sanitario britannico la detestano, sebbene il Nhs stesso si sia infine arreso a usarla come modo per prendere appuntamenti e in alcuni casi fare il follow up dei pazienti.
WATSON, DAGLI SCACCHI AI POLMONI
A preoccupare è lo scenario di futuro prossimo a cui servizi del genere potranno portare. Con i ricchi che potranno curarsi da medici con superpoteri, ovvero l'intelligenza aumentata dal supercomputer Watson di Ibm che avevo visto all'opera cinque anni fa nel laboratorio nel bosco di Yorktown, a nord di New York, capace di ingurgitare e digerire duecento milioni di pagine in poco meno di tre secondi. Il capo del dipartimento Big Data Bob Picciano mi aveva detto:
«Non la metterei in termini di macchine che sostituiscono gli uomini. La maggior parte dei medici, in media e al netto delle attività di cura, avrà sì e no una quarantina di ore all'anno per studiare. In una società che, ormai, produce 2,5 exabyte al giorno (ovvero 1,25 miliardi di chiavette Usb da 2 giga). Ecco, Watson è un ponte tra la sempre più diffusa condizione di stress informativo e i vari saperi specialistici». Un alleato dell'uomo, giura, non una minaccia.
Ma ai poveri rischia di restare solo il self service algoritmico. Che è sempre meglio che niente (da qui l'entusiasmo del governo ruandese che ha stretto un accordo decennale con Babylon) ma tutta un'altra cosa rispetto a specialisti in carne e ossa.
PSICOTERAPIA TASCABILE E IL TRAM DELLA LONGEVITÀ
Un paio di anni fa a San Francisco avevo incontrato la fondatrice di Woebot, un programma di AI che fornisce consulenze psicoterapeutiche online. Era tutto molto affascinante, ma poteva funzionare, avevo chiesto a Claudio Gentili, docente di Psicologia clinica all’Università di Padova?
«Che le terapie cognitivo comportamentali via internet funzionino è documentato. Esistono almeno un paio di revisioni della letteratura che lo attestano. Woebot è certamente promettente, ma lo studio richiede conferme e repliche indipendenti, se non altro perché c’è un conflitto di interessi grosso come una casa, dal momento che una delle autrici è proprio l’amministratrice delegata dell’azienda».
Nel frattempo, vedo, Woebot è cresciuta e forse il coronavirus ha aiutato anche lei. Mentre nel 2016 avevo raccontato la molto istruttiva storia torinese del tram chiamato disuguaglianza. Quello che faceva vedere come, se vivevi nella zona precollinare (ricca) della città avevi un’aspettativa di vita di 4 anni e mezzo in più di quella che avresti avuto vivendo alle Vallette. E a ogni km che ti avvicinavi al quartiere più povero “perdevi” cinque mesi di vita. Un esempio piuttosto plastico del fatto che i soldi, più che la felicità, possono dare la salute.
ELYSIUM BELLO, CLOONEY DELUDENTE, NEIL YOUNG STELLARE
D'altronde l'accesso alle cure è diventato l'oggetto del desiderio anche dei film di fantascienza. Avevate visto Elysium, di Neill Blomkamp con Matt Damon? Un pianeta artificiale dove, a differenza che sulla Terra diventata una cloaca a cielo aperto,
funziona tutto, a partire dalla sanità. Ci sono macchine miracolose che curano ogni malattia. (...) Il sogno dei terresti è di emigrare. Con ogni mezzo. Scafisti intergalattici si prestano, dietro pagamento, per la rischiosa traversata. Pensate a Lampedusa, ma nello spazio.
Una storia che per certi versi ricorda – anche la fantascienza non sa più cosa inventarsi – The Midnight Sky di e con George Clooney, occasione mancata, il cui momento più notevole è aver recuperato Sweet Caroline, una spettacolare canzone di Neil Young sull’eterna sorpresa dell’amore (Where it began, I can't begin to knowing/But then I know it's growing strong/Was in the spring/And spring became the summer/Who'd have believed you'd come along). Fatevi del bene e ascoltatela più volte, a volume sostenuto).
FRAN LEBOWITZ, MISS SCORRETTEZZA
Una cosa nuova e molto buona su Netflix comunque c'è. È Pretend it's a city, ovvero una conversazione in 6 puntate di Martin Scorsese con la leggendaria Fran Lebowitz, a prima vista una delle donne più argute di New York. In Finalmente è Venerdì cito alcune sue battute, ma sono un'infinità:
Sulle aste d'arte: «Arriva un Picasso: silenzio. Battono il prezzo: applaudono. Viviamo in questo mondo qui». Sul sovrano disinteresse verso lo sport: «Se un giorno mi vedeste in uno stadio vuol dire che han fatto retata». Sull'ortoressia imperante: «Ho offerto una caramella a un bambino e sua madre ha reagito come se gli avessi dato una pistola».
IL LIBRO
Pensando a come conversavano Scorsese e Lebowitz mi è venuta in mente, per differenza, una frase dal libro che vi consiglio: «Non era una conversazione: stava semplicemente battendo l’aria come si batte un tappeto, sperando di ripulirla da ogni traccia di dubbio o ambiguità». A cesellarla è Charles D’Ambrosio in Perdersi (Minimum Fax), strepitosa raccolta di articoli di una sensibilità e maestria che meritavano cento volte tanto. Cinque frasi in ordine di apparizione:
O anche solo essere ricordati, aver raccontato tre barzellette niente male o aver fatto una faccia buffa o aver cucinato una pila di pancake secondo una ricetta fuori dal comune o aver fatto una qualunque cosa dal valore aneddotico duraturo.
Forse perché i membri del movimento ambientalista, come sempre avviene con le persone in odore di santità, non sono particolarmente versati all’ironia.
Non era mai tanto il potenziale di guadagno ad animare i giocatori d’azzardo come George, quegli uomini che non avevano nulla, quanto il fatto di risvegliarsi ogni volta a un mondo in cui era di nuovo possibile perdere. Era questo, di fatto, che gli dava vita e li spingeva continuamente a giocare ancora. Perdere era il loro mestiere e vederselo portare via, ritrovarsi definitivamente perduti, era la cosa peggiore che si potesse immaginare. Fin quando potevi cadere dopo qualche altro passo, ti distinguevi dai caduti. Perdere ricostruiva un mondo di occasioni, per quanto occasioni senza speranza.
Avevo mollato tutti gli sport per dedicarmi a tempo pieno alla gestione della mia infelicità.
Ciò che ci differenzia dalle scimmie non è tanto il pollice opponibile quanto la capacità di far convivere idee contraddittorie nella nostra mente, caratteristica distintiva che magari dovremmo cercare di non perdere
LA MEZZA BUFALA DEL RIDER RICCO
Per finire, un'amica mi ha segnalato la storia uscita sulla Stampa di un ex-commercialista finito a fare il rider e mai così contento dal momento che guadagnerebbe sempre oltre i 2000 euro, a volte rasentando i 4000. Urca, mi son detto, che fortunato. Si è scoperto poi che il tipo non è mai stato commercialista ed è invece iscritto all'Ugl, il sindacato giallo (e sovranista, prima missino poi leghista) che ha sottoscritto un indecente contratto con alcune grosse piattaforme del food delivery, deragliando l'accordo che il governo doveva finalmente sottoscrivere (avevo fatto una litigata in tv con il suo segretario Francesco Paolo Capone). In una nota l'Ugl allega gli screenshot dei pagamenti: a ottobre 2336 per 418 ordini, che fa 5,5 euro lordi a consegna. Se trotti come un matto puoi guadagnare decentemente, ma il rider ricco è una vera caricatura.
Epilogo
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Buon fine settimana, alla prossima e ricordatevi l’unica lezione che il grande maestro Vonnegut si sentiva di dare a chi gliene chiedeva: «Bisogna essere buoni, cazzo!».