#178 Scontro di civiltà a Monfalcone?
1) Prima han tolto loro le panchine, poi le "moschee", poi il cricket ma i bengalesi non reagiscono alla giunta leghista 2) Miti sull'immigrazione 3) "Ereditariocrazia" 4) Influencer trumpiane
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SOFFIA SOFFIA, L’INCENDIO NON PRENDE
Da anni la giunta leghista di Monfalcone fa del suo meglio, con una serie di provocazioni crescenti, per insolentire la comunità islamica di Monfalcone, la città con più immigrati d’Italia. Siamo andati a prendere la temperatura in città. L’incipit del servizio di copertina del Venerdì in edicola:
Alle dieci di mattina in classe ci sono quattordici bengalesi, velate ma sorridenti, e un uomo. Lezione di italiano nell'elegante circolo culturale Ilcarsoincorso. L'insegnante, il medico in pensione Anna Troilo, spiega il significato della parola "sindacato" e poi di "datore di lavoro". «In pratica Fincantieri», dice, come sinonimo chiarificatore. Ovvero l'azienda che qui ha il suo principale cantiere navale, tra i più grandi d'Europa. Quasi ottomila operai, di cui sei su dieci stranieri, più di un terzo del Bangladesh. Per dirla semplice: senza di loro le magnifiche navi da crociera vendute in tutto il mondo non si potrebbero fare. A meno di ripensare in radice il capitalismo che, da quarant'anni, prospera sui lavoratori globalizzati low cost. Il che è sempre possibile ma ci vorrebbe una rivoluzione. Quindi, più realisticamente, senza bengalesi niente Fincantieri. Senza Fincantieri niente Monfalcone. «È una banalità che tutti ripetono» si spazientisce da Washington D.C., dove è invitata alla manifestazione dei patrioti di ultradestra, col simpatico Bannon che saluta come nel Terzo Reich, l'ex sindaca Anna Maria Cisint. «Non è vero che c'è solo il cantiere. Soprattutto non è vero che non ci fossero alternative ad assumere i migranti perché nel 2005, quando è iniziata quella che chiamo "delocalizzazione al contrario", manodopera italiana ce n'era eccome». Sul passato ha probabilmente ragione ma sta di fatto che ora non ce n'è più e l'azienda si è dovuta inventare una specie di tournée nelle scuole al termine della quale ha racimolato giusto cinquanta giovani disposti a mettersi alla prova tra laminazioni e saldature.
In Ora basta, il libro-manifesto con prefazione di Salvini, la neo-eurodeputata Cisint mette in guardia dall'islamizzazione, dalla sostituzione etnica, giacché gli islamici non si vogliono integrare. Lo dice sulla base di otto anni alla guida della cittadina che racconta come distopica anteprima di Italia meticcia. Mentre sulla base di quel che ho visto io, a partire da queste gagliardissime pensionate della benemerita Associazione Monfalcone Interetnica che insegnano i verbi irregolari a centocinquanta avide studentesse e a un centinaio di studenti, potrebbe legittimamente ambire al titolo di "città ignifuga". Per quanto la giunta, col coro della stampa di destra, abbia soffiato a pieni polmoni sui piccoli focolai che di volta in volta appiccava – dalla rimozione della panchine ai divieti di preghiera fino a quelli di giocare a cricket – l'incendio non è mai divampato. Non ancora, almeno.
e poi un altro piccolo estratto:
La depanchinizzazione, funzionale o simbolica che fosse, è stata solo l'inizio. Il vero contenzioso ha riguardato i luoghi di preghiera. Di moschee con minareto in Italia ce ne sono solo quattro, e non a Monfalcone. Che invece ha due centri culturali dove in centinaia pregavano quotidianamente da decenni. Uno di questi, grazie a 350 mila euro faticosamente raccolti dalla comunità bengalese, aveva rilevato un supermercato dismesso nel parcheggio del quale pregare più comodi. Per cinque anni nessuno ha avuto da ridire. Ma nel 2023 Cisint obietta che il piano regolatore non consente di trasformare un luogo commerciale in uno di culto. E vieta la preghiera adducendo preoccupazioni di ordine pubblico e generiche paure di radicalizzazione. I musulmani fanno ricorso al Tar che, un anno esatto fa, dà loro ragione. La decisione dell'appello al Consiglio di Stato è attesa a giorni. Rejaul Haq, titolare del money transfer che i bengalesi usano per mandare i soldi a casa nonché anima del centro Baitus Salat, non vuole esporsi prima della sentenza. Si limita a ribadire che quando avevano comprato il locale era chiaro a tutti cosa ci avrebbero fatto. Confessa anche di aver addirittura votato Cisint sulla promessa di «risolvere la faccenda».
DECOSTRUIRE I MITI SULL’IMMIGRAZIONE
Qualche mese fa avevo intervistato Hein de Haas, sociologo all’università di Amsterdam e direttore dell’International Migration Institute di Oxford, sul suo libro Migrazioni. La conversazione iniziava così:
I fatti, dice Hein de Haas, da soli non bastano a far cambiare idea alla gente. L’autore di Migrazioni, sociologo all’università di Amsterdam e direttore dell’International Migration Institute di Oxford, se n’è accorto definitivamente durante un dibattito televisivo in cui il conduttore chiedeva agli ospiti se erano «pro o contro l’immigrazione. Che è assurdo come chiedere se uno è a favore o contro l’economia». Però dai fatti bisogna comunque partire mentre del tema si discute in un vuoto di fatti grande quanto il pieno di ideologie, «il che porta a politiche inutili, quando non controproducenti». Serve un cambiamento culturale per capire che «la migrazione è sempre esistita e non possiamo aprirla o chiuderla come se ci fosse un rubinetto. Dobbiamo vederla per ciò che è, un processo normale, e capirne natura, cause e conseguenze. Solo allora potremo concepire politiche. Sperare che sparisca da sola non risolverà i problemi: li peggiorerà»
Lei sfata alcuni miti. Ripercorriamone alcuni. A partire dal primo: «La migrazione è a livelli record»?
«I migranti internazionali sono poco più del 3 per cento della popolazione mondiale. Una percentuale rimasta stabile nell’ultimo mezzo secolo. Un secolo fa, quando gli europei partivano in massa per le Americhe, la percentuale era probabilmente più alta. Per cinque secoli l’Europa, dai colonizzatori ai missionari, ha esportato migranti. Naturalmente senza mai chiedere il permesso dei nativi per stabilirsi. E, a differenza dei migranti contemporanei, quella fu un’invasione, poiché gli europei arrivarono in armi. La più grande migrazione illegale nella storia. Poi è l’Europa a essere diventata una destinazione. Ho stimato che nove africani su dieci che si spostano verso i paesi Ocse lo fanno legalmente. I rifugiati sono una minoranza di circa il dieci per cento dei migranti internazionali».
«Lo sviluppo economico nei Paesi poveri ridurrà la migrazione»?
«La migrazione a lunga distanza non è generalmente la “fuga disperata dalla miseria” trasmessa dalle immagini dei media e da alcune Ong. È anzi un investimento nel futuro delle famiglie che richiede notevoli risorse. Non a caso importanti paesi di emigrazione (Messico, Marocco o Filippine) sono tutt’altro che i Paesi più poveri del mondo. La mia teoria prevede il paradosso che, man mano che i Paesi a basso reddito diventano più ricchi e istruiti, più persone avranno capacità e aspirazioni per migrare».
«La migrazione aumenta la criminalità»? Tenendo conto che in Italia i migranti sono l’8,5 per cento della popolazione e il 31 per cento della popolazione carceraria.
«Non conosco in dettaglio i dati italiani ma la ricerca internazionale ha dimostrato che l’immigrazione in generale non aumenta la criminalità. Ciò perché i migranti tendono a essere laboriosi, imprenditoriali, ambiziosi. Nella maggior parte dell’occidente inoltre la criminalità violenta è diminuita. Tuttavia, se i migranti vengono emarginati e trovano difficile trovare un impiego stabile, ciò può comportare un maggiore coinvolgimento in attività criminali. Questo però è principalmente un problema delle seconde generazioni. Riflette l’esclusione, non l’origine etnica».
L’EREDITARIOCRAZIA È UN BRUTTO SEGNO
La rubrica Ricchi e poveri:
La ricchezza si crea o si eredita. La prima modalità è segno di vitalità, la seconda di privilegio e, alla lunga, di decadenza. Alla prevalenza di quest'ultima opzione l'Economist – che non è Lotta Comunista – dedica una copertina dall'allarmato titolo "La nuova ereditariocrazia". Tra i motivi che cita ci sono il vertiginoso aumento dei valori immobiliari che hanno arricchito i baby boomers, una diminuzione della fertilità (una cosa è dividere tra tre figli, altra è che uno solo si tenga tutto) e una crescita economica rallentata. All'inizio del '900 la quota di prodotto interno lordo che passava via eredità in certe nazioni era addirittura superiore al 20 per cento. Alla fine del 2010 si era dimezzata. Non in Italia dove – grazie ai calcoli di Salvatore Morelli, del Forum Disuguaglianze e Diversità, e altri ricercatori – supera il 15 per cento. Tra i motivi di questo triste e gattopardesco primato c'è anche il fatto che siamo, di fatto, un paradiso fiscale per quanto riguarda le imposte di successione. Il nostro 4 per cento impallidisce di fronte al 40 per cento britannico, valore peraltro rimasto inalterato dall'epoca Thatcher. Il che richiama alla memoria il timido tentativo di Enrico Letta, da segretario Pd, di alzarle e creare una dote per i giovani. Tentativo subito incenerito da Mario Draghi al grido di «è il momento di dare, no di prendere». Forse sarebbe il caso di riparlarne.
È L'ORA DELLE INFLUENCER TRUMPIANE
L’ultima Galapagos:
"Make America Hot Again" è il grido di battaglia con il quale le influencer di destra stanno conquistando il web. Nel mondo di prima "influencer repubblicane" era un ossimoro, giacché erano considerate un po' sfigate. Ma il mondo di prima non esiste più e, dopo lunga quaresima, anche le "bimbe di Trump" hanno diritto al loro quarto d'ora di celebrità social. L'Economist cita un video Instagram di una ragazza che fa bella mostra del suo outfit, un vestito castigato pensato per andare in chiesa, con l'aggiunta di una fondina invisibile per una pistola. È stato visto 27 milioni di volte. The Conservateur è un giornale online che si propone come l'alternativa di destra a Vogue. L'homepage è un trionfo di rosa, con una mamma gnocca ma prima di tutto mamma che si fa un selfie mentre abbraccia il suo neonato. Il titolo d'apertura, tradotto, dice – evidentemente immemore da che parte anatomica l'attuale presidente suggeriva di prenderle – Il futuro è donna con Trump. C'è anche un articolo dal titolo Make Your Closet Great Again con l'interno – rosa, what else? – di un armadietto che contiene giusto dei sabot e una flûte di champagne. Potremmo ridicolizzare la rilevanza di queste influencer reali o potenziali – L'egemonia culturale sarà armocromistizzata! – ma sbaglieremmo. La dieta mediatica di quasi 4 under 30 su 10, in America, consiste di influencer. La Casa Bianca, mentre chiude le porte a giornali e agenzie tradizionali, sta dando loro un accesso senza precedenti. Anche Kai Trump, la nipote diciassettenne di Trump, ha già milioni di follower facendo video sul golf o sul lancio dei razzi di SpaceX. Non è da tutti poter scrivere «Mio nonno è di nuovo Presidente!».
Grande Riccardo!!!