#167 Otto miti sull'immigrazione
1) Li smonta in un libro Hein de Haas 2) Con l'emergenza perenne non si va da nessuna parte, spiega Ferruccio Pastore 3) Quel che prendono e quel che danno 4) Arriva l'"economia della notte"
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LA VERITÀ, VI PREGO, SULL’IMMIGRAZIONE
Sul Venerdì in edicola e online. L’incipit:
I fatti, dice Hein de Haas, da soli non bastano a far cambiare idea alla gente. L’autore di Migrazioni, sociologo all’università di Amsterdam e direttore dell’International Migration Institute di Oxford, se n’è accorto definitivamente durante un dibattito televisivo in cui il conduttore chiedeva agli ospiti se erano «pro o contro l’immigrazione. Che è assurdo come chiedere se uno è a favore o contro l’economia». Però dai fatti bisogna comunque partire mentre del tema si discute in un vuoto di fatti grande quanto il pieno di ideologie, «il che porta a politiche inutili, quando non controproducenti». Serve un cambiamento culturale per capire che «la migrazione è sempre esistita e non possiamo aprirla o chiuderla come se ci fosse un rubinetto. Dobbiamo vederla per ciò che è, un processo normale, e capirne natura, cause e conseguenze. Solo allora potremo concepire politiche. Sperare che sparisca da sola non risolverà i problemi: li peggiorerà»
Lei sfata alcuni miti. Ripercorriamone alcuni. A partire dal primo: «La migrazione è a livelli record»?
«I migranti internazionali sono poco più del 3 per cento della popolazione mondiale. Una percentuale rimasta stabile nell’ultimo mezzo secolo. Un secolo fa, quando gli europei partivano in massa per le Americhe, la percentuale era probabilmente più alta. Per cinque secoli l’Europa, dai colonizzatori ai missionari, ha esportato migranti. Naturalmente senza mai chiedere il permesso dei nativi per stabilirsi. E, a differenza dei migranti contemporanei, quella fu un’invasione, poiché gli europei arrivarono in armi. La più grande migrazione illegale nella storia. Poi è l’Europa a essere diventata una destinazione. Ho stimato che nove africani su dieci che si spostano verso i paesi Ocse lo fanno legalmente. I rifugiati sono una minoranza di circa il dieci per cento dei migranti internazionali».
«Lo sviluppo economico nei Paesi poveri ridurrà la migrazione»?
«La migrazione a lunga distanza non è generalmente la “fuga disperata dalla miseria” trasmessa dalle immagini dei media e da alcune Ong. È anzi un investimento nel futuro delle famiglie che richiede notevoli risorse. Non a caso importanti paesi di emigrazione (Messico, Marocco o Filippine) sono tutt’altro che i Paesi più poveri del mondo. La mia teoria prevede il paradosso che, man mano che i Paesi a basso reddito diventano più ricchi e istruiti, più persone avranno capacità e aspirazioni per migrare».
«La migrazione aumenta la criminalità»? Tenendo conto che in Italia i migranti sono l’8,5 per cento della popolazione e il 31 per cento della popolazione carceraria.
«Non conosco in dettaglio i dati italiani ma la ricerca internazionale ha dimostrato che l’immigrazione in generale non aumenta la criminalità. Ciò perché i migranti tendono a essere laboriosi, imprenditoriali, ambiziosi. Nella maggior parte dell’occidente inoltre la criminalità violenta è diminuita. Tuttavia, se i migranti vengono emarginati e trovano difficile trovare un impiego stabile, ciò può comportare un maggiore coinvolgimento in attività criminali. Questo però è principalmente un problema delle seconde generazioni. Riflette l’esclusione, non l’origine etnica».
“BASTA CHIAMARLA EMERGENZA!”
Un paio di anni fa avevo intervistato l’autore di un altro libro. L’attacco del pezzo:
Cosa aspettiamo per prendere sul serio l'immigrazione? Sentite qua, a proposito di accoglienza: «Noi ufficialmente non garantiamo l'asilo a nessuno» ma «nel sommerso della pratica poliziesca e burocratica, magari, siamo più permissivi e ospitali. Non ci piace essere cattivi, ci basta essere ipocriti». Per poi continuare: «Ridotto a un dato contabile, prosaico ma drammatico, le pensioni degli anziani non saranno pagabili se non arriveranno degli immigrati a riempire i vuoti». Era Giorgio Bocca in "E in italia apparve il Sesto continente" sulla Repubblica del 9 giugno 1988. Sono passati oltre trent'anni e, sostiene Ferruccio Pastore in Migramorfosi (Einaudi, pag. 160, e. 12), siamo ancora «a metà del guado» nella gestione di questa metamorfosi sociale. Trasformazione potenzialmente per il meglio, secondo l'autore, che dirige il Forum internazionale ed europeo di ricerche sull'immigrazione (Fieri). Ma che, a forza di non essere governata, è diventata l'argomento elettorale più redditizio per sovranisti di ogni stagione. Con la sinistra mai entrata veramente in partita mentre sul campo Lega e Fratelli d'Italia, con sfumature leggermente diverse, segnavano indisturbati.
Eppure, lei scrive, all'inizio gli italiani erano ben disposti e accoglievano anche più degli altri Paesi. Poi cos'è successo?
«Ora sembra difficile crederci ma, nel primo decennio del secolo, l’Italia è stata tra i Paesi con il saldo migratorio più alto al mondo. Ancora nel 2001 la Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati aveva previsto 3,5 milioni di residenti stranieri per il 2017. Che, lo stesso anno, hanno superato i 5 milioni, l’8,3 per cento del totale. Ciò rispondeva a necessità economiche, geopolitiche, demografiche ma poi ci siamo impantanati in diatribe ideologiche ed è diventato impossibile parlarne seriamente. Tipo rimarcare che, sebbene siano accusati di prendere dallo Stato di più di quel che danno, è vero il contrario. E in assenza di inversione del calo della natalità e con la scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro ne avremo sempre più bisogno».
A chi conviene perpetuare le emergenze invece di risolvere la questione?
«A destra l'immigrazione è una carta da giocare per aumentare il consenso a breve. Ma già nell'ultimo anno sia il discorso che la prassi del governo Meloni sono dovuti cambiare. Siamo passati dal "blocco navale" al Piano Mattei, ovvero il tentativo di sostanziare la vaga formula dell'"aiutiamoli a casa loro". E non è l'unico testacoda: c'è stato un inatteso cambio di passo sugli ingressi legali, tornando alla programmazione triennale e indicando la cifra, significativa, di mezzo milione di persone. Gli esperti segnalano che nel 2050 il rapporto tra persone in età lavorativa e non passerà dall'attuale tre a due a uno a uno. Ciascuno dovrà produrre per sé e per un pensionato. Se volessimo mantenere il rapporto ai livelli odierni di immigrati dovremmo farne entrare 450 all'anno, il triplo della quota Meloni, ma ciò porterebbe il loro numero a 17 milioni, poco meno di un terzo dell'intera popolazione!».
MIGRANTI, COSTI E OPPORTUNITÀ
L’inizio di un pezzo del 2009, addirittura. Niente cambia:
Dove arrancano etica e politica spesso arriva spedito il conto della serva. Prendiamo gli immigrati, ad esempio. L'ultimo contenzioso, nei giorni scorsi, ha riguardato due proposte del governo: far pagare una tassa per il permesso di soggiorno e chiedere una fidejussione di 10 mila euro a chi voglia aprire un'attività imprenditoriale. Il giudizio della Cei è stato perentorio: «Balzello inaccettabile». Lo stesso Silvio Berlusconi sembrava poco convinto. Ma il ministro dell'interno Roberto Maroni, per niente turbato, ha squadernato i numeri: «Ipotizzando un milione di permessi all'anno e una quota di 100 euro a permesso avremo 100 milioni di euro che confluiranno in un fondo al Viminale che servirà per finanziare i rimpatri dei clandestini». Una bella sommetta, coi tempi che corrono. Ma se proprio vogliamo ridurre la partita complessa dell'integrazione alla sua dimensione di partita doppia, allora facciamoli per bene i calcoli, facciamoli tutti.
Conviene partire dai cespiti più grossi. Gli immigrati regolari, secondo il dossier 2008 Caritas Migrantes, sono tra i 3,8 e i 4 milioni. Di questi è occupato, registra il Censis, il 68,7 per cento contro il 58,2 italiano (se si considerano solo i maschi 84 contro 70). Stando alle ultimissime stime Caritas Migrantes pagano tasse per 5,8 miliardi di euro e usufruiscono di servizi pubblici pari a circa 700 milioni di euro. L'approssimazione è necessaria per quanto riguarda la seconda voce. Quel che è certo, infatti, è che i comuni hanno speso nel 2005 136 milioni di euro per servizi dedicati agli immigrati. Per il resto, spiega il coordinatore del rapporto Franco Pittau, «gli immigrati sono poco più del 6 per cento della popolazione. Anche assumendo, per stare larghi ed evitare critiche, che fossero il triplo, l'ammontare delle risorse spese dallo Stato per loro arriverebbe alla cifra che abbiamo ipotizzato». Se non si sbagliano, e da tempo sono la fonte più autorevole in materia di immigrazione, dando 5,8 e prendendo 0,7, il saldo attivo per il nostro paese sarebbe di poco superiore a 5 miliardi di euro. Per calare dalla metafisica dei numeri alla realtà della politica, basti pensare che la famigerata abolizione dell'Ici, per certi commentatori vero ingrediente magico nella vittoria del centrodestra, ne è costata «soltanto» Poi c'è l'indotto, il beneficio all'economia che deriva dal fatto che dormono, mangiano, consumano nel nostro Paese. {continua su il Venerdì}
UN VECCHIO LIBRO
Mentre nel 2010 avevo scritto un libro che si chiamava Grazie. Ecco perché senza immigrati saremmo perduti.
NESSUN DORMA, TUTTI PRODUCANO
L’ultima Galapagos:
È il terzo o quarto tempo della giornata. Quello che va dalle 18 alle 6 di mattina. Sin qui esentato dagli obblighi della produttività, salvo che per medici, fornai, giornalisti e altre categorie crepuscolari. Non più: è arrivato il momento dell'"economia della notte". Night time economy (Nte), com'è conosciuta nelle conferenze internazionali. Al grido di "Nessun dorma!", e sponsorizzati dall'Unione europea che ne sta indagando le potenzialità, urbanisti e sociologi si interrogano su come allungare a dopo il tramonto la presa del Capitale. Ristorazione, tempo libero, commerci vari. Ma anche trasporti, logistica e tutto ciò che serve per far restare aperte le saracinesche. Nel Regno Unito, per dire, la Nte ha generato 66 miliardi di sterline nel 2016, occupando l'8 per cento dei lavoratori britannici. A New York, la città che notoriamente non dorme mai, 35 miliardi di dollari per 300 mila posti di lavoro. Sono dati dal rapporto Cities After Dark della rete Urbact, di cui l'italiano Simone d'Antonio è tra gli esperti di punta, che ragiona su come sviluppare politiche integrate per l'economia notturna nelle città europee. Ovviamente non son tutte rose e fiori. Tra le sfide: più inquinamento acustico e luminoso; rischi di maggiore criminalità; impatto sui residenti. Per affrontare le quali vengono immaginati "sindaci della notte", commissioni notturne, e varie altre misure. Se non vi è piaciuto l'overtourism difficilmente amerete questo upgrade. Ma magari ci stupiranno.
Epilogo
Per lunghi mesi ho evitato il dibattito genocidio sì-genocidio no. Massacri e carneficina mi sembravano descrivere sufficientemente la situazione, col vantaggio di essere termini meno connotati. Ormai non più. L’ex ministro della difesa israeliano Yaloon parla, non alla leggera, di “pulizia etnica” a Gaza. Mentre per Amnesty International è francamente genocidio. La cosa più importante, ovviamente – quale che sia il modo in cui vogliamo chiamarlo – è che finisca. Ma su questo non sono affatto ottimista.