#165 Ha vinto il gigacapitalista-in-chief
Tutto quello che avreste voluto sapere su Elon Musk e non avete osato chiedere
ARTICOLI. LIBRI. VIDEO. PODCAST. LIVE. BIO.
Prologo
Ha vinto Musk. Se l’elezione di Trump non fosse già di per sé abbastanza folle, con il nuovo governo che sembra reclutato direttamente dal bar di Guerre stellari, tra crociati al Pentagono e no-vax alla Sanità, a tirare molti fili sarà mister Tesla, disruptor-in-chief. E l’inizio della fine quando un giornalista comincia a dire “io l’avevo scritto”, però che fine sia: io avevo denunciato esattamente questo rischio – di privati che valgono più di nazioni e poi, in questo caso, diventano nazione – in un libro di due anni fa che si intitola Gigacapitalisti. Se avete voglia, recuperatelo.
UN GIORNO NELL’ACCOUNT DEL “DOGE”
Il mio capo mi ha chiesto di monitorare per un giorno l’account di Musk. L’ho fatto sul Venerdì in edicola. Un assaggio:
MATTINA/POMERIGGIO RAZZI IN ORBITA E ISTRUZIONE IN PICCHIATA
5:20 Rilancio muto di un tweet di Kevin Bass, con dottorato ma molto critico sulla risposta al Covid. Che ricorda come a ottobre il New York Times smentiva un’accusa di Trump contro la protezione civile americana che, dopo l’uragano Helene, avrebbe trascurato le aree a maggioranza repubblicana. Mentre oggi dà notizia di alcuni dipendenti licenziati proprio per occasionali discriminazioni.
12:36 Scrive: «Il leader del nuovo senato deve rispondere al volere del popolo» sopra l’ormai celebre cartina elettorale, praticamente tutta rossa, colore dei repubblicani («Il rosso aiuta a dormire meglio» aveva commentato in un tweet precedente).
14:41 Retweet di un’intervista a Fox News del neo “zar dei confini” Homan. Che ai governatori democratici manda questo messaggio: «Se non volete aiutarci, toglietevi di torno perché stiamo arrivando». Poco prima il Nostro aveva citato Cathie Wood, fondatrice del fondo speculativo ARKinvest, che chiedeva «deregolamentazione (tagliare le unghie alla Sec, alla Ftc e altre agenzie), tagli alle spese pubbliche, tagli alle tasse e concentrarsi sull’innovazione resa possibile dalla tecnologia son tutte cose che metteranno il turbo all’economia Usa in modo ancor più potente che durante la rivoluzione reaganiana».
16:53 Retweet di SpaceX in onore di tutti gli ex-militari americani nel Giorno dei Veterani.
17:01 Retweet di Sriram Krishnan, partner di a16z, il fondo di venture capital di Marc Andreessen, inventore del browser Netscape. In cui commenta con «Esattamente» l’auspicio di «togliere la politica da alcune delle istituzioni con cui siamo cresciuti. Wired (la rivista, ndr) per cominciare ma anche Scientific American. Mit Tech Review. Nature».
18:08 «Non esattamente un buon affare!» ironizza sopra a un meme in cui l’ex presidente Carter, oggi centenario, rivendica di aver creato nel 1979 il ministero dell’istruzione. Con sotto la scritta beffarda a segnalare che, da allora, l’America sarebbe scesa dal primo (è falso, ma cosa importa?, ndr) al ventiquattresimo posto nelle classifiche internazionali sull’istruzione.
18:10 Con «Buona idea» commenta un breve video in cui Trump dice che smantellerà il ministero dell’istruzione a Washington DC per mandare tutti i funzionari a insegnare negli stati, là dove servono.
LA GUERRA DI ELON
Un anno fa invece avevo scritto del senso di Musk per la guerra.
C'è una scena minore, nel film che potremmo intitolare “La guerra di Elon”, che spicca per simbolismo. Con Musk, nella semioscurità della casa-rifugio texana vicina al quartier generale Tesla, che confida al telefono a un alto ufficiale del Pentagono di stare guardando sul computer portatile, attraverso i suoi satelliti Starlink, «tutta la guerra mentre succede». Una sequenza, nella ricostruzione a 8K di Ronan Farrow sul New Yorker che, come tutto il grande cinema, contiene commedia e tragedia. Da una parte la dimensione del videogioco dal vivo per il nerd diventato l’uomo più ricco del pianeta. Dall’altra la presa di coscienza del suo ruolo decisivo sulle sorti della guerra in Ucraina e, per traslato, del mondo.
Di scene gustose e cruciali spunti di riflessione, il coinvolgimento dell’imprenditore nelle ostilità russo-ucraine ne offre a pacchi. Usciti a spizzichi e bocconi sulla stampa, grazie a tre contributi particolarmente rilevanti. Che, oltre all’inchiesta del 21 agosto del figlio “pentito” di Woody Allen, comprendono un lavoro multimediale a più mani sul New York Times (28 luglio) e la monumentale biografia di Walter Isaacson uscita il 12 settembre. Prendendo da queste fonti, e mettendoci del mio (oltre un anno fa ho scritto un libro sull’inedito strapotere dei gigacapitalisti e la slide clou delle presentazioni è dedicata proprio al caso Musk-Ucraina), metteremo in ordine cronologico i più eloquenti tra questi materiali. Che, in un breve arco narrativo, testimoniano di una straordinaria evoluzione drammaturgica del protagonista: da salvatore di Kiev a presunto simpatizzante di Mosca, da quello che batte cassa col Pentagono per poi parzialmente ripensarci. Incluso il “momento Oppenheimer” in cui, terrorizzato dall’idea di accollarsi una responsabilità troppo grande nell’attacco che «potrebbe causare la Terza Guerra Mondiale», spegne (vedremo in che termini) i satelliti, accecando la controffensiva ucraina. Fino al meme sbeffeggiante – «Sono già cinque minuti che non chiedi un miliardo in aiuti» – indirizzato il 2 ottobre a Zelensky.IL SALVATORE
Tutto, come molte delle vicende che riguardano l’uomo, ha inizio sul social precedentemente noto come Twitter, prima che lo comprasse. È il 25 febbraio 2022, l’indomani dall’inizio dell’invasione. Il 24 i russi hanno tirato giù un satellite Viasat usato per le comunicazioni militari ucraine. L’esercito di Kiev è, quanto a comunicazioni, al buio. Alle 13.06 il ministro ucraino del Digitale, Mykhailo Fedorov, affida la sua richiesta a un tweet: «@elonmusk, mentre tu provi a colonizzare Marte, la Russia cerca di occupare l’Ucraina! Mentre i tuoi razzi atterrano con successo dallo Spazio, i razzi russi attaccano la popolazione civile ucraina! Vi chiediamo di fornire all’Ucraina stazioni Starlink e di invitare i russi sani di mente a resistere». Meno di undici ore, e 166 mila like dopo, arriva la risposta di Musk: «Il servizio Starlink è ora attivo in Ucraina. E le antenne sono già in transito». Due giorni dopo lo stesso Fedorov posta l’immagine di un camion, arrivato a destinazione in tempi stupefacentemente rapidi, pieno delle prime 500 piccole parabole che serviranno loro per le operazioni sul terreno e per coordinarsi con gli alleati, americani e Nato. Le antenne, poco più grandi dello schermo di un portatile, vengono montate nei boschi, sugli edifici, sui blindati e parlano con i 4.500 satelliti, grandi come un divano, che Starlink manda in bassa orbita dal 2019, quando ancora la sua sembrava una scommessa folle. Il vantaggio però è che, essendo Musk anche il padrone di SpaceX, può fare affidamento su razzi riutilizzabili che, una volta usati come shuttle per la Nasa, tornano a terra vuoti. Perché non riempirli di satelliti?
Oggi il servizio di internet veloce ha circa un milione e mezzo di abbonati nel mondo, che spendono 600 dollari per l’antenna e un canone mensile sui 75 dollari. Tariffe che, se Musk le avesse praticate, quantificherebbero sugli 80 milioni di dollari il regalo che il miliardario ha fatto all’Ucraina. Un regalo decisivo, dal momento che ha ridotto da 20 a un minuto i tempi per individuare un bersaglio e sparare. «Starlink è il sangue della nostra infrastruttura di comunicazione» dichiara il ministro Fedorov. Lo ripete Mykola, il comandante che per un periodo ne assicura l’accesso alle prime linee. «Senza Starlink non potremmo né volare né comunicare» ammette un altro gallonato. Ancora Fedorov: «Sono nell’ordine delle migliaia le vite che Starlink ha contribuito a salvare. È un componente essenziale del nostro successo». Musk è promosso, sul campo, ucraino ad honorem.IL TRADITORE
Poi arriva il 3 ottobre. Alle 18:15, probabilmente stanco dell’inconcludenza di Papa, Erdogan e Xi Jinping, Musk affida al solito Twitter il suo piano di pace. Consta di quattro punti: «1) Rifare le elezioni delle regioni annesse sotto la supervisione dell’Onu. La Russia se ne va se questa è la volontà del popolo. 2) La Crimea formalmente parte della Russia, come lo è stata dal 1783 (fino all’errore di Krusciov). 3) Fornitura idrica assicurata alla Crimea. 4) L’Ucraina rimane neutrale», nel senso di “non entra nella Nato”. Chiede ai suoi 120 milioni di follower di votarlo e in due ore oltre due milioni e mezzo si esprimono, sei su dieci per bocciarlo. Musk, non senza puntualizzare («Molto probabilmente questo sarà comunque l’esito finale: è solo questione di quante persone moriranno da qui ad allora») si rimette – e anche su questo ci sarebbe molto da dire – al volere della maggioranza. Abbozza.
Non così gli ucraini. «Vaffanculo è la risposta molto diplomatica che le do» twitta l’ambasciatore di Kiev in Germania. Zelensky affida alla stessa piattaforma il suo contro-sondaggio: «Quale Elon Musk preferite, quello che sostiene l’Ucraina o quello che sostiene la Russia?». Segue shit storm. Alla velocità dei social, l’eroe diventa un sordido voltagabbana. Lui, nonostante le ipotesi di sindrome di Asperger che lo vorrebbe a empatia ridotta al lumicino, accusa il colpo e chiarisce: «Le spese vive per la copertura Starlink in Ucraina sono state finora di 80 milioni di dollari. Il sostegno finanziario alla Russia è di zero dollari».
La stessa cifra a cui, per come la vede lui, stanno le chiacchiere. Che ingratitudine, pensa. E fa scrivere una lettera al dipartimento della Difesa Usa in cui avverte che d’ora in poi dovranno essere loro a sostenere i costi del servizio satellitare: intorno ai 400 milioni di dollari all’anno.“BETTER CALL KAHL”
Urge un mediatore che sappia navigare tra le rapide della psiche di mister Tesla. Per il compito il presidente Biden sceglie Colin H. Kahl, veterano del Pentagono. Anche quella della fatidica telefonata, nella sera del 7 ottobre, da un hotel parigino con vista sulla torre Eiffel è una scena madre nella vivida cronaca del solito Farrow. Un addetto si immola e per chiamare Elon presta il suo iPhone al superiore «per risparmiargli il rischio di una salva di messaggini ed emoji colorati nel mezzo della notte», nel più puro stile muskiano. Kahl, che ne ha viste di cotte e di crude, è agitato come uno scolaretto che debba conferire col preside («Anche se Musk non è tecnicamente un diplomatico o uno statista, sentii che era importante trattarlo come se lo fosse, data l’influenza che esercitava», dirà dopo). L’aggettivo che ricorre per descrivere la chiacchierata è «deferente». Quindici minuti in cui Musk rivelerà al militare di aver parlato personalmente con Putin, definendo «regolari» le sue consultazioni col Cremlino, salvo poi negare di aver «parlato di Ucraina» col leader russo. D’altronde Reid Hoffman, amministratore delegato di Linkedin che era con Musk a Paypal, avrebbe assistito a un evento in cui l’ex socio – incitando l’uditorio a far pace con Mosca – «sembrava essersi fatto completamente intortare dalla narrazione putiniana». Al telefono col veterano del Pentagono Musk chiarisce i suoi timori: gli ucraini, oltre che per difendersi, vogliano ora usare i satelliti per attaccare e riconquistare territori perduti; mentre l’ambasciatore russo, con cui ha familiarità, ha chiarito che quella è una linea rossa invalicabile che autorizzerebbe la risposta atomica. Che sia vero o meno lui ci crede e non vuole che ci siano le sue impronte digitali sull’equivalente satellitare dello sparo di Gavrilo Princip. Alla fine, tuttavia, concede una proroga: continuerà a pagare per i satelliti fino a data da definire.RISCHIO PEARL HARBOR
Tocca fare un passo indietro di pochi giorni. A una sera di fine settembre in cui l’imprenditore invia un messaggio drammatico al suo biografo. L’esercito ucraino sta per sferrare un attacco a sorpresa contro la flotta russa in Crimea. Intende usare sei piccoli droni sottomarini, comandati appunto via satellite. C’è «una possibilità non banale», scrive Musk, che si arrivi a una guerra nucleare. Parla di «una piccola Pearl Harbor», di un’escalation con cui non vuole avere niente a che fare. «Così disse segretamente ai suoi ingegneri di sospendere la copertura per le aree che si trovavano entro 100 chilometri dal confine con la Crimea. Di conseguenza i droni persero la connessione e furono spinti a riva dalle onde senza provocare danni» scrive Isaacson nella biografia. Danni ai russi, sottinteso, perché per gli ucraini, invece, sono enormi. La biografia riporta anche un lungo, teso scambio col ministro Fedorov, con Musk che chiude così: «Cercate la pace finché siete in vantaggio. Discutiamone (e include il suo nuovo numero di cellulare). Io sosterrò qualsiasi via pragmatica al raggiungimento di una pace che faccia il bene generale dell’umanità». Altrove Mykola, lo specialista satellitare ucraino, racconta: «Eravamo molto vicini alla prima linea quando, superato un confine, Starlink smise di funzionare». Dovettero tornare alle comunicazioni radio: «Fu il caos».
Si dà il caso però che questo specifico paragrafo sia l’unico, sin qui, che Isaacson abbia rettificato. Musk non avrebbe attivamente “spento” la copertura satellitare nelle zone contese dai russi: era già così e si è solo rifiutato di accenderla, per le preoccupazioni ampiamente spiegate. Siamo ai confini di ermeneutica e teologia, tra peccati di azione e di omissione, ma il biografato ha chiesto il chiarimento e l’ha ottenuto. «Come ho fatto a farmi invischiare in questa guerra?» si sfoga con il memorialista: «Starlink era nata perché la gente potesse vedere Netflix, rilassarsi, collegarsi online per seguire le lezioni a scuola e fare belle cose pacifiche, non attacchi coi droni». La vita in tempo di pace, insomma.IL CONTO
A giugno il dipartimento della Difesa annuncia di aver trovato un accordo con il miliardario. In verità anche prima della famosa telefonata la responsabile commerciale di SpaceX stava per firmare un contratto da 145 milioni di dollari, ma poi Musk si era intenerito («Ha finito per soccombere alle cazzate che hanno scritto su Twitter» ha poi commentato lei). Per un’azienda valutata 150 miliardi di dollari e un uomo che ne cuba una cinquantina in più è una cifra che rientra nel regno delle generosità possibili, però non decise a cuor leggero. Anche durante la Prima guerra mondiale, miliardari come J. P. Morgan prestavano grosse somme agli Alleati, ma «l’influenza di Musk è più sfacciata ed ampia. Ci sono pochi precedenti di un civile che diventa arbitro di una guerra» scrive il New Yorker. Apprezzabile eufemismo, dal momento che si può tranquillamente dire “nessuno”. E questa, rincara sul New York Times il consulente spaziale Dmitri Alperovitch, «non è soltanto una singola azienda, ma una singola persona. Dei cui capricci e desideri siamo completamente ostaggio». Peggio dei monopoli pubblici, nota un altro intervistato, ci sono solo i monopoli privati. Il gigacapitalista talvolta sembra rendersene addirittura conto. A domanda specifica in un podcast – «Ha più influenza lei del governo americano?» – risponde d’impulso: «In un certo senso sì».
È per questo spaventevole arbitrio che Taiwan, ad esempio, ha preferito accordarsi con la ben più piccola azienda di satelliti OneWeb per prepararsi all’evenienza di un attacco di Pechino. D’altronde si calcola che circa metà di tutte le nuove Tesla vengano prodotte nella fabbrica di Shanghai. E il presidente cinese Xi ha già esplicitato la sua contrarietà per il sostegno di Musk a Kiev, ottenendo rassicurazioni che la stessa cosa non avverrebbe con Taipei. Per quel che vale la parola di un uomo stressato a livelli parossistici, che passa dalle risse online con incolpevoli sconosciuti a mettersi talvolta a piangere durante un’intervista. Uno che andava avanti ad Ambien, potente ipnotico (che può causare allucinazioni), e che poi ha scoperto la ketamina, popolare come droga ricreativa ma promettente anche nel trattamento della depressione – e non si sa per quale scopo la butti giù. Sappiamo però che, ad alte dosi, provoca dissociazione, sia dal proprio corpo che dalla realtà circostante. Non esattamente l’equilibrio psichico desiderabile per un uomo che, di fatto, nel suo laptop e senza alcun protocollo, ha una specie di correlativo della valigetta atomica del presidente degli Stati Uniti. Con l’ovvia differenza che non può sganciare una bomba, ma decidere il successo o il fallimento di una guerra.
Che è chiedere molto a un uomo solo al comando, anche qualora fosse più saggio del nostro. Oggi preoccupatissimo dei rischi esistenziali posti dall’intelligenza artificiale, al punto da firmare una vibrante lettera aperta sui limiti da imporle prima che sia troppo tardi: «Queste decisioni non dovrebbero essere delegate a leader tecnologici non eletti». De te fabula narratur, padrone del mondo riluttante.
L’IDEOLOGIA DI MISTER TESLA
Avevo anche intervistato Fabio Chiusi che ha scritto un libro sulle letture che hanno fatto l’uomo:
È, a giorni alterni, il primo o secondo uomo più ricco del mondo, ma giudicarlo a partire dal conto in banca sarebbe una formidabile sottovalutazione. I soldi sono solo lo strumento per realizzare la sua sedicente missione: salvare l'umanità da se stessa. Così Elon Musk, fondatore di Tesla, SpaceX e altre aziende di monumentale successo, diventa nella lettura di Fabio Chiusi L'uomo che vuole risolvere il futuro (Bollati Boringhieri). Risolvere come il fisico in lui risolverebbe un'equazione. O meglio ancora come l'ingegnere che è diventato si illude – nel solco del soluzionismo battezzato oltre dieci anni fa da Evgeny Morozov – che non esista problema cui la tecnologia non possa trovare soluzione. Perciò Chiusi, perspicace studioso dei media e delle conseguenze sociali del digitale, si avventura in un viaggio nel sistema operativo dell'imprenditore, a partire dai libri che l'hanno reso la persona che è oggi.
Musk è l'ingegnere-in-capo che reinventa auto e razzi e gli ingegneri sono generalmente tanto innamorati di soluzioni quanto allergici all'ideologia. Eppure lei gli oppone una critica ideologica: perché?
«Perché, come ha intuito Morozov, Landon Winner e altri, la tecnologia non è mai neutra: ordinando una gerarchia di valori è politica, quindi ideologia. Se, prima dell'acquisto di Twitter, quest'affermazione riguardo Musk poteva sembrare tendenziosa dopo è diventata chiarissima. Ritengo che ogni pensiero dei guru tecnologici andrebbe sottoposto a questo vaglio perché ignorarne l'ideologia significa assecondarla».
Il movente dichiarato dell'agire muskiano è salvare l'umanità. E non nella stanca formula degli startuppari da conferenze Ted («Vogliamo rendere il mondo un posto migliore») quanto nella sua dimensione letterale ed esistenziale. Da dove gli viene quest'afflato?
«Dalle letture. La fantascienza, per cominciare, Asimov su tutti e la sua Legge zero della robotica che, integrando le tre leggi precedenti, afferma che le macchine non dovranno mai nuocere all'umanità. Ma anche da Sam, spalla di Frodo nel Signore degli anelli, che vuole salvare il mondo e riafferma un altro principio muskiano, quello dell'ottimismo anche nei momenti peggiori. Saghe con sviluppi temporali molto lunghi che l'hanno preparato a prospettive di ampia gittata».
Più di recente sul suo scaffale sono spuntati esponenti del cosiddetto "lungoterminismo" e del "pronatalismo": cosa c'è di sbagliato in questi approcci alla moda?
«Parliamo di un gruppo di docenti di Oxford, da Toby Ord che immagina un "precipizio" sul bordo del quale pencoliamo e che potrebbe segnare l'inizio della fine o di Nick Bostrom dell'Istituto per il futuro dell'umanità, oltre che di William MacAskill che col suo "altruismo efficace" era anche l'ispiratore del padrone di Ftx, la piattaforma di criptovalute sensazionalmente fallita anche per le ruberie del fondatore. Tutti costoro sono convinti che il vero imperativo morale sia sventare i rischi esistenziali per l'umanità. Con, in testa, non tanto la crisi climatica ma lo sviluppo incontrollato dell'intelligenza artificiale».
Magari esagerano ma perché un approccio del genere sarebbe pericoloso?
«Perché parlando ai più importanti tavoli di questi temi distraggono attenzione dai reali danni collaterali reali e urgenti – come la distruzione di posti di lavoro – che l'intelligenza artificiale potrebbe avere oggi, non in un ipotetico futuro. Più che concentrarsi sulla "singolarità", la data futura in cui le macchine diventeranno più intelligenti dell'uomo, converrebbe pensare a leggi che mitighino gli effetti nocivi nel presente».
Come si colloca la sua travagliata acquisizione di Twitter in questo scenario?
«È più coerente di quanto sembri. Per Musk esiste anche un rischio esistenziale ideologico, che ha contagiato i giornali, le università, parte della pubblica opinione: l'attitudine woke resa celebre dal movimento Black Lives Matter, per cui gli oppressi, a partire dai neri, devono essere vigili e andare al contrattacco di pregiudizi e discriminazioni. Ecco, per lui Twitter è il luogo dove contrastare questo virus. Una visione un po' alla Casaleggio che, come Trump, diffidava dei giornali "corrotti". Una preoccupazione così forte che l'ha portato ad appoggiare il governatore della Florida DeSantis, possibile futuro candidato repubblicano alla presidenza, in quanto principale nemico dei woke».
Ma non è lo stesso Musk che, in passato, si era definito anarchico o addirittura socialista?
«Musk ha studiato molte cose ma temo che non abbia prestato troppo attenzione alla formazione politica. È un libertario che prova un gran fastidio in ogni limite imposto dal governo, in questo naturale fan di Trump e della alt-right. Più che ai partiti tende a dare precedenza alle simpatie personali anche se ciò significa rilanciare teorie complottiste sul Covid e vaneggiamenti di Qanon».
Il futuro che immagina bordeggia con l'eugenetica, o sbaglio?
«Se il progetto è la massimizzazione del benessere collettivo puoi sacrificare qualsiasi individuo per realizzarlo. In questa chiave ha sostenuto che bisogna assicurarsi che le persone più intelligenti si riproducano, come ha fatto abbondantemente lui, per non lasciare un mondo abitato da idioti. Una specie di versione eugenetica della trickle down economy, per cui era giusto abbassare le tasse agli imprenditori perché parte della loro ricchezza sarebbe sgocciolata anche ai poveri».
Com'è che, a una personcina intelligente come lui, non viene in mente che piuttosto che conquistare Marte ci sarebbero mille modi più immediati per salvare gli abitanti del pianeta terra?
«Un po' dipende dall'attitudine mentale da fisico che privilegia le astrazioni rispetto ai dettagli. E poi, avendo i mezzi per farlo, è uno che costantemente rilancia, puntando in alto, anche a costo di distruggere la sua vita sociale e a ignorare la vita tout court delle altre persone. Se trovi normale lavorare 120 ore alla settimana è anche normale scandalizzarsi se i tuoi lavoratori non lo fanno. La sua visione dell'umano al servizio del traguardo ultimo è quasi religiosa. Per questo serve un dio. Ed è così che lui, sinceramente, si pone».
IL PROFILO DELL’UOMO
Tre anni fa il Venerdì aveva dedicato una copertina a Musk, dal titolo “Il marziano”. Iniziava così:
Scartabellando tra la vita e le opere di Elon Musk, un termine ricorre di frequente. Lo pronuncia il fondatore di Tesla e SpaceX davanti a un'aragosta fritta in inchiostro di calamaro quando chiede serissimo al suo futuro biografo: "Secondo te sono pazzo?". Ne dibatte anche con l'ultima moglie, la musicista precedentemente nota come Grimes, oggi ribattezzata c (il simbolo della velocità della luce), che si definisce "un ibrido tra una fata, una strega e un cyborg": "Sono più pazzo io o sei più pazza tu?". Soprattutto la domanda non è suonata peregrina quando, dopo un improvvido tweet a mercati aperti in cui aveva detto che era pronto a ricomprarsi la sua azienda a 420 dollari ad azione (un numero sinonimo di cannabis, per tutta una serie di fumosi motivi che Wikipedia dettaglia), il titolo prima è stato sospeso per eccesso di rialzo, poi l'autorità di Borsa gli ha fatto due multe da 20 milioni di dollari l'una destituendolo temporaneamente da presidente dell'azienda e infine i suoi consiglieri d'amministrazione gli hanno tolto Twitter per tre mesi. Come a un Trump qualsiasi. Volendo gli esempi potrebbero moltiplicarsi ad infinitum, ma il senso l'avete capito.
Se questo quasi cinquantenne che si interroga circa il suo stato di salute mentale fosse l'artista più quotato del momento, ci sarebbero molti precedenti e nessuno scandalo. Ma si tratta dell'ingegnere, come gli piace definirsi, che ha deciso di rivoluzionare i trasporti privati e trasformare l'umanità in una specie multiplanetaria, apparecchiando su Marte il piano B per la Terra in rovina. Uno, per dirla altrimenti, che deve saper far di calcolo piuttosto bene ché altrimenti auto elettriche e razzi si schiantano. E che, sebbene si siano occasionalmente schiantati entrambi, il più delle volte ci riesce. Tant'è che nel frattempo le Tesla cominciano a essere avvistate anche sulle strade italiane, i razzi partono alla volta della Stazione Spaziale Internazionale al ritmo di una volta al mese e lui, in tutto questo, ha brevemente scalzato Jeff Bezos dal trono di persona più ricca del mondo con un patrimonio personale di quasi 200 miliardi di dollari, il Pil della Nuova Zelanda. Se non proprio scioglierlo, cercheremo almeno di diradare il mistero dell'imprenditore più "visionario" (altro ricorrente anglismo, ormai sdoganato) in circolazione.UN MURO DI OMERTÀ
Sono anni che provo a intervistare Musk. All'ennesimo tentativo l'ufficio stampa europeo mi disse "vieni intanto a Parigi a provare una Tesla o a vedere le nostre nuove batterie". Non mi buttai a pesce su quella specie di antipasto e non mi rispondono più (Musk ha anche fama di cambiare i portavoce - che bypassa comunicando con i suoi 42 milioni di follower su Twitter - come si fa con i Kleenex durante un'influenza). Ho scritto, tra gli altri, a Adeo Ressi, imprenditore italo-americano che si fregia del titolo di suo miglior amico. A Tom Mueller, ex capo dei lanci di SpaceX. A Kevin Holland, altro suo veterano. A Hamish McKenzie, autore di Insane Mode, un'agiografia muskiana. Niente, zero, nada. Così, oltre alla robusta rassegna stampa che l'uomo ha prodotto, l'unica fonte diretta è Ashlee Vance, giornalista di Bloomberg BusinessWeek e autore di Elon Musk. Tesla, SpaceX e la sfida per un futuro fantastico (Hoepli), un tomo di 380 pagine frutto di oltre 30 ore di interviste che si sono svolte perlopiù durante altrettante cene. È una biografia autorizzata, e ciò ovviamente ne determina il tono (le critiche, per bocca di un paio di accademici, sono affastellate senza convinzione negli ultimi paragrafi), ma si tratta di un libro documentatissimo, ben scritto ed essenziale per la comprensione del personaggio. Chiedo a Vance, che ha una quarantina d'anni ed è in lockdown in Messico, se a Musk il libro sia piaciuto: "Lì per lì sì. Contestò giusto che la Bmw di un viaggio americano l'aveva pagata lui e non il fratello Kimbal e che non era vero che gli ingegneri di SpaceX si lamentassero perché si prendeva tutti i meriti. Lo definì accurato al 95 per cento. Però, man mano che i giornali lo recensivano, l'attitudine cambiò fino a un paio di sue telefonate furiose. Abbiamo interrotto i rapporti per quasi tre anni, fino a una sua mail conciliante di pochi mesi fa".
SU NETFLIX RICICCIA LA PUBBLICITÀ
L’ultima Galapagos:
Pubblicità, ultimo Highlander. Credevamo di essercene liberati, lasciandola agli anziani che ancora guardano la tv in chiaro. Ma non è andata così. Anzi. Due anni dopo aver introdotto il servizio di streaming scontato proprio grazie alla reintroduzione degli spot Netflix fa sapere che, oggi, metà dei nuovi abbonati scelgono la formula con pubblicità, leggo in una breve dell'Economist. Si tratta di circa 70 milioni di utenti, dai 40 di ancora sei mesi fa e dai 15 dell'anno scorso. Sui 283 milioni di sottoscrittori globali si tratta di un numero imponente e di una progressione pazzesca. D'altronde, come aveva calcolato il Financial Times poco più di un anno fa, considerando i vari rincari, nell'autunno 2023 un bouquet delle principali piattaforme streaming in America era arrivato a costare sugli 87 dollari (rispetto ai 73 dell'anno prima) contro gli 83 al mese di un abbonamento alla tv via cavo. Dunque primo paradosso: le piattaforme, lanciate come alternativa economica e più personalizzabile del cavo – a forza di cumularle – in America sono già arrivate a costare di più. Per arrivare poi al secondo paradosso, quello dello streaming che si proponeva proprio come superamento della pubblicità e che invece è costretto a reintrodurla per abbassare i prezzi (in Italia appena aumentati a 6,99 al mese contro i 13,99 della versione ad-free). Agli spettatori impoveriti piace. Ma, come ci aveva spiegato Emily Nussbaum, ex-critica del New Yorker, la tv di qualità era arrivata proprio quando gli sceneggiatori avevano cominciato a fregarsene della pubblicità perché, invece di dover sempre accontentare tutti, avevano cominciato a osare contando sugli abbonamenti. Se tanto mi dà tanto, all'orizzonte si staglia il ritorno dell'immortale Don Matteo in streaming?
Epilogo
La Corte penale internazionale ha emanato un mandato di arresto per Netanyahu e Gallant. È una svolta simbolica importante, per dire che c’è un giudice all’Aja, ma temo che per la vita dei palestinesi cambierà poco. Se c’è un cambiamento, in queste ultime settimane, è che nella transizione tra una presidenza Usa e l’altra i massacri si sono intensificati. E quando arriverà Trump, se ci sarà ancora qualcosa da distruggere e qualcuno da sterminare, peggioreranno ulteriormente.
Riccardo sei grandissimo come scrittore e come giornalista! Vorrei solo dire una piccola annotazione: Secondo me il rischio di una guerra nucleare c'è stato e c'è anche in questo momento con la Russia a causa di questo conflitto ucraino, per cui, anche se non giustifico elon musk per le sue follie in un certo senso capisco la sua titubanza a fornire un apporto completo militare logistico all'ucraina che negli ultimi periodi, sempre secondo la mia opinione, è diventata sempre più pericolosa a causa del totale appoggio di biden e dell'Occidente europeo. Io penso che tutti i 400.000 morti in Ucraina si potevano forse salvare o evitare con politiche un pochettino più pacifista, Scusami se mi permetto di farti questa annotazione ma è lungo tempo che penso questo, Anche perché trovo che siamo troppo appiattiti con posizioni oltransiste e guerrafondaie che non mi appartengono come italiano, Grazie mille ciao, con affetto Luca Fiorentini