#157 Hanno vinto i ricchi, ma...
1) in pochissimi capiscono che la situazione è insostenibile e chiedono di essere tassati di più! 2) Sul perché hanno vinto, e i poveri han perso, ho scritto un libro che esce martedì
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Prologo
Abbiamo, come Paese, tanti strani record: alcuni bellissimi, altri meno. Alla seconda categoria appartiene quello certificato dall’Ocse, l’organizzazione dei paesi più industrializzati, che certifica come, dal 1990 al 2020, l’unica nazione in cui i salari medi sono andati indietro invece di crescere è stata… avete indovinato! Dato disastroso che non è stato granché tematizzato da nessuna forza politica mentre avrebbero dovuto stamparla formato murales e non parlare d’altro sin quando non fossero arrivati a qualche tipo di convincente spiegazione. E, possibilmente, anche soluzione. Siccome nessuno l’ha fatto, provo a farlo io in un libriccino che esce da Einaudi martedì 24 settembre e si intitola Hanno vinto i ricchi. Per quel che vale, ve lo consiglio.
QUEI POCHI MILIONARI ITALIANI CHE COLGONO L’ASSURDITÀ
Se la sinistra non riesce a pronunciare la parola tabù (tasse), a sorpresa la pronunciano alcuni milionari. Pochi. Pochissimi: su quasi 500 mila in Italia, che sono l’1% della popolazione, giusto 3, poi diventati 4. I primi ad aver firmato la petizione dei Patriotic Millionaires ci sono i Marzotto-Notarbartolo che sono andato a trovare nel loro studio di Milano e che raccontiamo sul Venerdì in edicola. L’incipit:
Milano. Si fa presto a dire uno per cento. Gli happy few che potrebbero non lavorare per campare hanno in comune i soldi, non necessariamente le opinioni. In Italia i milionari sono 457 mila. Baciati dal sole come non mai se ha ragione Boston Consulting nel prevedere che da 6,3 trilioni di dollari, oltre tre volte il nostro Pil, il loro patrimonio complessivo lieviterà a 7,4 entro il 2028. Eppure, di questo quasi mezzo milione di fortunatissimi, solo una famiglia ha osato rompere l’ultimo dei tabù dicendo: tassate di più noi che possiamo permettercelo, non la classe media. Dovremmo essere dalle parti di Lapalisse. Invece, nella terra dove almeno due diversi presidenti del Consiglio hanno parlato di «diritto naturale a evadere» di fronte a un’imposizione troppo alta o di tasse come «pizzo di Stato», risulta un’affermazione radicale. Da tradimento di classe. Che si è concretizzata nella firma di una petizione dei Patriotic Millionaires che chiede appunto una maggiore giustizia fiscale. In Gran Bretagna l’hanno sottoscritta in una novantina. In America oltre settanta. In Francia più di trenta. Da noi tre, i Notarbartolo-Marzotto. Ovvero lo 0,0006 per cento del totale degli ultraricchi italici. Siccome ci piacciono le minoranze, ancor più se avanguardiste, siamo andati a conoscerli.
Veniamo da lontano
Ci vediamo nella palazzina di Foro Buonaparte, a due passi dal Castello Sforzesco di Milano, dove ha sede Partners For Change (Pfc), il family office, ovvero la società che si occupa di preservare e far crescere il loro ingente patrimonio, però investendo in progetti a impatto sociale e ambientale e devolvendo il 10 per cento degli utili in «filantropia strategica». Soldi che arrivano, nonostante i feudi siciliani dei Notarbartolo di Villarosa, soprattutto dal ramo materno. Cioè da Veronica Marzotto, presidente della omonima fondazione, figlia del conte Paolo e nipote di Gaetano Junior che negli anni 30 estese gli affari ben oltre il tessile che nel Vicentino fece grande il casato industriale. «Senza perdere mai di vista il benessere dei lavoratori con la Città Sociale di Valdagno realizzata dai suoi antenati», chiosa Veronica. La prima a firmare la petizione, ormai cinque anni fa, è stata però sua figlia Giorgiana. Quarantun anni, da una ventina a Londra, dopo economia alla Bocconi e un master all’Insead. Dice che, appena laureata, dei soldi di famiglia non voleva saperne: tutto avrebbe voluto essere, meno che la figlia o la nipote di.Poi ha scoperto la finanza sociale e si è rappacificata con la propria estrazione: forse si potevano usare quelle fortune, e Pfc vale un miliardo di euro, per fare la differenza – formula che spesso è fuffa, ma in questo caso sembra proprio di no – come da ragione sociale. Giorgiana conosce la svedese Kristina Johansson di Resource Justice, poi promotrice di Patriotic Millionaires UK e nel 2019 firma l’appello per essere tassati di più. A ruota la segue il fratello Guglielmo, a sua volta economista e investitore in Pfc ma anche nel suo Anya Capital. In quale humus politico affondano queste scelte, chiedo. Giorgiana: «Per cominciare da mia madre. Ricordo la gratitudine per le prime calze che mi comprò, invece di “ereditarle” da qualcun altro. O quando ci faceva notare che certi nostri giocattoli costavano come una settimana di lavoro di chi ci aiutava in casa. Capitalisti, ma consapevoli. Poi mi sono sempre identificata nel centrosinistra italiano». Guglielmo: «Alle ultime europee ho creduto in Alessandro Tommasi, già fondatore di Will Media (primo caso di successo di informazione su Instagram, ndr) che ha lanciato il partito Nos che sosteneva Azione. Però non hanno passato il quorum». Obietto che Calenda sbotterebbe a sentir parlar di patrimoniale: «Ma neanch’io, quando dico di tassare i ricchi, penso alla patrimoniale su uno che, avendo ereditato due appartamenti a Milano che magari fatica a mantenere, risulta sulla carta milionario. Perché in questo modo troppe persone si sentirebbero chiamate in causa e il cambiamento non passerebbe mai». Giorgiana e Guglielmo intendono i ricchi-ricchi, quelli tipo loro. Giorgiana: «La soglia su cui si sono assestati i Milionari Patriottici comprende tutti i miliardari, ovviamente, e chi ha un patrimonio da 10 milioni in su». Stando ai Milionari Patriottici inglesi, ciò porterebbe alle casse britanniche 24 miliardi di sterline all’anno. {continua sul Venerdì}.
ABIGAIL DISNEY, L’ANTIMILIONARIA
In America, invece, la consapevolezza del privilegio è un po’ più diffusa. Non dico che vada proprio di moda, ma sono di più i plutocrati che ci arrivano. Tra loro Abigail Disney, rampolla della dinastia omonima, che è stata tra le fondatrici dei Patriotic Millionaires. L’avevo intervistata a New York un paio di anni fa. Iniziava così (il resto, compresa intervista video, qui):
NEW YORK. Ecco una milionaria che capisce al volo il concetto più ermetico per i suoi compagni di ricchezza: filantropia non è sinonimo di tasse. Ovvero, per essere più chiari, non è che Jeff Bezos può compensare la ridicola aliquota reale dell'1 per cento, da calcoli di Propublica, con qualche occasionale donazione miliardaria, stabilita in totale autonomia. «La filantropia» spiega in maniera cristallina Abigail Disney, nipote di Roy che con Walt ha fondato l'impero di Topolino, «è la cosa in più che puoi fare una volta che hai pagato le tasse. La prima è volontaria, le seconde obbligatorie». Non dovrebbe servire una laurea a Stanford e un dottorato in filosofia alla Columbia come quelli che ha questa sessantatreenne regista e produttrice per afferrare la scomoda verità. Eppure, appena un anno fa, Elon Musk (che ancora nel 2018 pagava zero dollari di tasse sul reddito) insorgeva contro una proposta di legge che puntava ad alzare lievemente le tasse sui miliardari sostenendo che «prima vengono per me, poi per tutti voi», lasciando oscenamente credere che quelli come lui che hanno duecento e rotti miliardi di dollari in banca e la famiglia americana media che ha 5300 dollari sul conto fossero, più o meno, sulla stessa barca.
I «Patriotic millionaires», il gruppo di ultra-ricchi di cui l'erede Disney fa parte, chiedono invece una cosa semplice: tassateci di più. Non perché sono autolesionisti ma perché sanno benissimo che, anche se li ascoltassero, continuerebbero a dormire tra quattro cuscini mentre, se fossero meglio distribuiti, i soldi ottenuti toglierebbero dal letto di Procuste milioni di americani impegnati in un incessante corpo a corpo di conti che ogni mese non quadrano. Ed è proprio a questo rimpicciolimento di aspettative e al drammatico allargamento del fossato tra i più ricchi e i più poveri, ai massimi in America ma peggiorato anche in Italia, col 5 per cento di più fortunati che detiene più ricchezza dell'80 per cento dei meno fortunati, che ha dedicato il documentario «The American Dream and other fairy tales». Che inizia quando alcuni addetti di Disneyland, il parco a tema originario ad Anheim, California, che da piccola lei considerava una specie di giardino privato, la invitano ad andare a trovarli per capire in quali condizioni siano ormai costretti a lavorare. Così prima compare una veterana che racconta con orgoglio i suoi 45 anni nell'azienda, con le spillette-fedeltà accumulate nei lustri. Poi Ralph Blair, sposato a sua volta con un'altra hostess del parco, arrivato a dormire due ore per notte a causa di turni massacranti dovuti a ripetuti tagli del personale. «Una volta, qualsiasi nostro dipendente poteva permettersi una vita dignitosa, con l'assicurazione sanitaria e tutto il resto» spiega Abigail «e sapeva che se lavorava duro nessuna carriera gli era preclusa. Ma ora non è più così». In verità quella promessa implicita comincia a sfaldarsi quarant'anni fa. «Più esattamente quando Reagan diventa presidente e, oltre a tagliare le tasse a chi non ne aveva bisogno, ingaggia una guerra vittoriosa contro i sindacati. Era il 1981 e tre anni dopo, alla guida di Disney, arriva Michael Eisner e, con lui, il primo sciopero nella storia dell'azienda. Di gente, badate bene, che non chiedeva di essere pagata di più ma solo di non avere il salario decurtato. D'altronde il neoliberalismo di Milton Friedman, entusiasticamente abbracciato da Reagan, prescriveva che i lavoratori da risorse erano diventati costi fissi. Meno ce n'era, o peggio li si trattava, meglio era per le quotazioni in borsa. Ed è stato l'inizio della fine». {continua}
Epilogo
Ma vi sembra normale che a parlare di patrimoniale siano rimasti giusto i milionari, mentre la sinistra ne tiene bene alla larga? Il mondo al contrario è questo, altro che quello di Vannacci.
Scusi, ma non è vero che la sinistra non parli di patrimoniale. A meno che per 'sinistra' intenda il PD, che ha sempre condotto e promosso politiche neoliberali e non meriterebbe di essere nominato neanche come centrosinistra. Di patrimoniale e altre misure per la giustizia sociale ne parlano Potere al Popolo, Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana e il Movimento 5 stelle che è entrato nel gruppo The Left del parlamento europeo e ha Pasquale Tridico come presidente della commissione fiscale rivendicando una tassa sui multimilionari e sulle multinazionali.