#15 Domenica in Covid
Mara, virologa di complemento; c'è una logica negli ospiti dei talk show?; il proto-trash di Jerry Springer; perché non leggo più libri di carta; la lezione di Vonnegut; The Looming Tower
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Prologo
Il nuovo corso di Mario Draghi stava più o meno tutto in questa frase cristallina: «È desiderabile riaprire, la decisione se farlo o meno dipende dai dati». Inutile fare chiacchiere, esprimere opinioni o auspici: sarebbero stati i numeri a decidere. È per questo che, con numeri ancora piuttosto brutti, molti sono rimasti sorpresi quando il presidente del consiglio, «colpito dal disagio sociale», ha annunciato che dal 26 aprile l’Italia avrebbe largamente riaperto. Perché il disagio sociale si vedeva benissimo anche prima mentre la leggendaria razionalità dell’uomo, di colpo, è sembrata vacillare. Dando il via al solito derby tra virologi. Con Galli e Crisanti critici, per tagliare con l’accetta, e Bassetti e Vaia (specializzato in statistica sanitaria) favorevoli. La cosa che mi ha fatto più impressione, tuttavia, è vedere come questa vicenda è stata raccontata a Domenica In, il salotto televisivo post-prandiale degli italiani.
LA VIROLOGA VENIER E IL SUO MINISTRO OMBRA
Era tanto, confesso, che non mi capitava di tuffarmi negli abissi catodici del Paese reale. Mara Venier, padrona di casa, comincia con l’annuncio della morte per Covid di Carmela, la sua costumista storica. È un ricordo accorato che si conclude con l’appello su per quanto tempo ancora dovremmo contare i morti da coronavirus. Quindi mi aspettavo, a seguire, un invito alla cautela. Ingenuo. L’ospite in studio è Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani, molto attivo su Facebook con dichiarazioni di ottimismo su varianti e riaperture. Dice subito che non gli basta vedere il bicchiere mezzo pieno, vuole vederlo «tre quarti pieno» (è un approccio data driven?). Mara nazionale gli ricorda che c’è pieno di suoi colleghi che non sono d’accordo con le riaperture (cliccate sui link per sentire coi vostri orecchi) e lui da che parte sta? È ovviamente d’accordo con Draghi, pur stimando chi la pensa diversamente. Stima che dura più o meno tre minuti perché poi, quando prende l’abbrivio, dice che non sopporta più i «colleghi menagrami» (in letteratura scientifica quanto vale essere menagrami nella risposta al virus?) e Mara ride di una risata liberatoria perché l’ospite ha detto ciò che lei pensava ma non osava dire. È così presa che candida «il nostro professore» (nel suo cv non risulta che insegni) a «ministro della salute» (lui si schermisce). Poi dà la parola a Matteo Bassetti, virologo genovese, che, con il tono della confessioni gravi, («me ne assumo la responsabilità») dice stentoreo che gli italiani si sono «comportati molto bene» ed è giusto riaprire. Il momento più involontariamente comico è quando, dopo aver commentato col solito sussiego una dichiarazione del generale Figliuolo che assicurava sui ritmi militari di vaccinazioni, a Vaia tocca dare la brutta notizia: i vaccini non ci sono. Salvo però sperare – spem ultima dea, il classico motto che si trova sulle pareti delle aule di Medicina – che abbia ragione l’alpino e che prima o poi arrivino. Domanda: è servizio pubblico o cheerleading dell’azione di governo?
QUEL BEL PANEL DI GILETTI
Se un trattamento così poco problematizzato ferisce particolarmente nel servizio pubblico di cui siamo tutti, pro quota, azionisti, anche i canali privati regalano belle soddisfazioni. Mi è capitato infatti, in quella linea d’ombra che precede il passaggio su Netflix o qualche altra piattaforma streaming, di vedere qualche scambio della puntata del 29 marzo di Non è l’arena di Massimo Giletti, trasmissione di enorme successo de La 7 nonché primatista indiscussa nel campionato del populismo televisivo. Tra gli ospiti chiamati a discutere di Covid c’erano Maria Rita Gismondo, microbiologa del Sacco, che aveva avuto un breve momento di celebrità all’inizio della pandemia. La professoressa, che si è guadagnata una rubrica sul Fatto, aveva inanellato poi una serie di gaffe piuttosto ingombranti, ultima delle quali la partecipazione a una convegno dell’Afd, l’ultradestra tedesca su posizioni negazioniste, alla quale aveva detto che i dati italiani era falsi e i morti una frazione di quelli dichiarati. (Qualche giorno dopo l’ho vista ospite anche da DiMartedì a presentare il libro scritto nel frattempo per La nave di Teseo). Oltre a lei, collegato dalla Florida, c’era anche Luca Pani, ex direttore dell’Aifa al centro di un caso su supercompensi che avrebbe dovuto restituire (circa 700 mila euro) che poi ha portato alle sue dimissioni. Ora, mi chiedo, ma tra tutti gli specialisti che ci sono perché interpellare proprio questi due?
JERRY SPRINGER, ALLE ORIGINI DEL TRASH
Non c’entra niente ma mi è tornato in mente un pezzo che avevo scritto nel maggio del ‘98 su Diario diretto da Enrico Deaglio, quando ancora vivevo a Brooklyn. Di quel magnifico settimanale non è rimasto un’archivio online quindi copio e incollo l’articolino preistorico:
Se l'abisso dell'orrido non fosse senza fondo, il punto più basso sarebbe stato raggiunto nella puntata che conteneva "Amore contro tutte le avversità". C'era una donna senza gambe e senza braccia, con una canottierina indosso. A ogni pausa agitava i mozziconi degli arti superiori mancanti a mo' di applauso ma, nello stesso tempo, urlava ferocemente contro l'ex marito che le stava seduto di fronte. Dalle poche parole sopravvissute al continuo "beep-beep" censorio della regia, si capiva che gli rimproverava di averle rubato a lungo soldi per comprarsi del crack. "Ma che cazzo dici - ribatteva il gentiluomo - , guadagno 12 dollari e 75 l'ora, ho una Master Card mia e, comunque, sei una gran troia". Benvenuti nell'incredibile mondo di Jerry Springer, il conduttore del talk-show più seguito d'America!
Trasgressione, fattore sorpresa e tonnellate di volgarità sono gli ingredienti della trasmissione cui circa 12 milioni di telespettatori al giorno non sanno rinunciare. "È quanto di più vicino alla pornografia che si sia mai visto su una televisione via etere"
denuncia il senatore Joseph Lieberman che ne reclama la soppressione. Robert Iger, presidente di Abc, si è lamentato pubblicamente che roba del genere squalifica gravemente tutta la categoria. Ma intanto decine di tv locali (a New York si vede su WB11 alle 11 di mattina) si contendono i diritti di ritrasmissione del programma che è capace, da solo, di rovesciare le sorti di un'emittente in difficoltà. Alle critiche il cinquantaquattrenne conduttore, abito Armani d'ordinanza, occhiali rifiniti in tartaruga e boccoli biondi
come una specie di Robert Redford dei poveri, risponde imperturbabile: "Ipocriti: noi portiamo in scena la gente vera. Il risultato è crudo e volgare? Hey, è lo specchio della nostra società, riflette l'anima dell'America".
La cosmogonia che sfila sotto i riflettori degli studi di Chicago è all'insegna della promiscuità-choc. C'è il marito elegante che - si scopre in diretta - ha tradito la moglie affettuosa e carina con un'amante laida e obesa. Ma è solo l'antipasto: dopo pochi secondi
il presentatore annuncia la vera passione dell'uomo, che sbuca fuori da una tenda tra i boati del pubblico: è un giovanotto appariscente, con pantaloni lucidi e attillati (La moglie grida: "Avrei dovuto capire che eri finocchio quando ti comprasti quel teledrin rosa!").
Ci sono sposine che hanno avuto storie con il postino, con l'idraulico e magari con le sorelle dell'uno e dell'altro. Ci sono ospiti che raccontano allegri dei loro accoppiamenti zoofili e via dicendo. C'è sempre qualcuno che si arrabbia per le rivelazioni e, immediatamente, salta al collo di chi confessa e volano schiaffi, pugni, calci e improperi tonanti. Jerry Springer, dalle retrovie, invita alla calma. Gli agenti di sicurezza si buttano nel parapiglia
cercando di dividere i contendenti. Sedie rovesciate, vestiti strappati, beep-beep-beep...
La videocassetta che seleziona il "meglio" della trasmissione è diventata un prodotto-cult di cui sono state vendute 500 mila copie: "Too Hot for Video". Molti ricordano, esterrefatti, il passato di Springer. Studente brillante, attivista dei diritti civili negli anni '60, assistente di Bob Kennedy, sindaco illuminato di Cincinnati a 33 anni (dopo un piccolo scandalo a sfondo sessuale che aveva rischiato di mettere a repentaglio la sua carriera politica), quindi
commentatore televisivo di gran successo. Nel '91 gli era stato offerto uno show tutto suo: trasmissione seria, aveva vinto vari premi per la qualità del giornalismo investigativo sino a quando, nel '94, il pubblico aveva preso a diminuire. La lampadina nella testa dei produttori si accese nella puntata su Melvin, bambino disturbato che si piantava dei chiodi nel naso: esplosione di pubblico che cominciò a ripetersi sempre quando di scena era
l'incredibile-ma-vero. Da allora la picchiata della decenza non si è fermata un attimo, l'impennata dell'audience neppure.
ADIEU VIEUX BOUQUIN
Nell’ultima Galapagos confesso che, tranne rare eccezioni, negli ultimi nove anni non ho più letto un libro di carta. Perché ne ho letti 154 su Kindle. Dove sta il vantaggio? Che estraggo le mie sottolineature (quello che conta per me), me le mando per posta elettronica e con un filtro vanno a finire nel mio archivio di letture. Il che rende molto più facile cercare per parole chiave e fare le recensioncine come quella qui sotto. Provare per credere.
DA LEGGERE: QUANDO SIETE FELICI, FATECI CASO
Come antidoto universale alla nostra pochezza, miseria e sciatteria Kurt Vonnegut è difficilmente superabile. Compreso in Quando siete felici, fateci caso (minimum fax), omaggio a suo zio Alex che, mentre stavano seduti all’ombra di un melo a bere una limonata, poteva interrompere la conversazione sul più bello per dire: «Cosa c’è di più bello di questo?».
Siamo animali fatti per danzare (…) Dobbiamo costantemente buttarci giù dagli strapiombi e farci crescere le ali mentre precipitiamo.
Socialismo non è una parola malvagia più di quanto non lo sia cristianesimo. Fra i dettami del socialismo non c’era Stalin e la sua polizia segreta e la chiusura delle chiese, così come fra i dettami del cristianesimo non c’era la Santa Inquisizione.
Sentite: tutta la grande letteratura parla di che fregatura sia la vita degli esseri umani.
Mark Twain, alla fine di una vita di profondo valore, per la quale non aveva mai ricevuto un premio Nobel, si chiese per quale scopo vivevamo tutti quanti. Tirò fuori cinque parole che lo soddisfacevano. Soddisfano anche me. E dovrebbero soddisfare voi: «La stima dei nostri vicini».
Quando un marito e una moglie litigano, può sembrare che sia per motivi di soldi, di sesso o di potere. Ma in realtà il motivo per cui si strillano contro a vicenda è la solitudine. Quello che stanno davvero dicendo è: «Da solo non mi basti».
DA VEDERE: THE LOOMING TOWER
Quella dell’11 settembre può sembrare una storia vecchia, troppe volte vista e sentita. Ma Lawrence Wright, premio Pulitzer del New Yorker non è un raccontatore ordinario (oltre che il protagonista del malinteso logistico più epico della mia carriera, avendo fissato un’intervista su questa e altre storie a New York quando lui intendeva vederci a Austin, in Texas, dove vive). Il suo punto di vista, e ancora tornano le miserie degli uomini, è su come – se la Cia avesse collaborato con l’Fbi condividendo intelligence cruciali – forse la strage sarebbe stata evitata. Con un passaggio finale che vale sempre la pena ricordare, quando la segretaria di stato Condoleezza Rice spiega al capo dell’antiterrorismo Richard Clarke che gli sta parlando di Bin Laden che il segretario alla difesa Rumsfeld non è assolutamente interessato a come sono andati i fatti ma vuole solo accollare l’attentato a Saddam Hussein e all’Iraq, Il resto della storia lo conosciamo. The Looming Tower (Prime).
DA SENTIRE: LA TERRA DEI CACHI
Per finire da dove abbiamo cominciato, la migliore autobiografia canora del Paese: La terra dei cachi di Elio e le storie tese.
Parcheggi abusivi
Applausi abusivi
Villette abusive
Abusi sessuali abusivi
Tanta voglia di ricominciare, abusiva
Epilogo
C’è una frase da Io e Annie di Woody Allen, tra i film più belli di sempre, che fa così, se ricordo bene: «Beverly Hill è un quartiere molto pulito: l'immondizia qui non la buttano via, la mettono negli show televisivi». Ma questo, ovviamente, vale solo per l’America.