#146 C'è anche un'Europa che piace
1) L’Eurovision come scuola quadri per i burocrati di Bruxelles 2) Rumiz europeista in servizio permanente effettivo 3) un metodo strepitoso per trovare i libri nella vostra libreria
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LA VERSIONE POP DI BRUXELLES
Dal momento che ero a Malmö per un altro servizio e avevamo in canna una copertina sull’Europa mi sono infilato all’Eurovision. Qui l’incipit del servizio di copertina del Ve erdì in edicola:
MALMÖ (Svezia). Così tanti euroentusiasti in un posto solo sembrava impossibile trovarne. E invece, ordinatamente allineati in un infinito serpentone grigliato dal sole intorno a una Malmö Arena altamente militarizzata per timore di proteste contro Israele, non hanno che parole di miele per il Vecchio continente. Che, nel giorno della prima semifinale, schiera i primi quindici candidati per la sessantottesima edizione dell'Eurovision, la coloratissima competizione canora a metà strada tra il festival di Sanremo (per la musica) e il carnevale di Viareggio (per l'abbigliamento, sia dei protagonisti che del pubblico). Evento visto in tv da 160 milioni di spettatori l'anno scorso, con punte dell'80 per cento di share tra Oslo e Copenaghen fino al non disprezzabile 34 per cento da noi che essenzialmente l'abbiamo scoperto col successo dei Måneskin e la loro bassista peraltro mezza danese. E il cui biglietto, prenotato un anno in anticipo da migliaia di persone, va sui 200 euro per le due semifinali. In una filogenesi che tiene insieme Giochi senza frontiere con la Champions League, passando per l'Erasmus, è l'Europa pop che piace. Non la frigida matrigna dell'austerity tedesca, ma la gioiosa mamma scandinava che, quando c'è da lavorare lavora ma poi non ha problemi a bisbocciare coi figli. Se Bruxelles intendesse sul serio capire come farsi amare dovrebbe fare un salto da queste parti. Nell'attesa, ci siamo venuti noi.
C'è così tanta gente che al ristorante della catena Vapiano, davanti all'arena, mi propongono di dividere un tavolo con un'altra persona. Karin, manager in affitto specializzata in aziende in crisi, è una svedese che da oltre vent'anni vive a Londra ed è al suo terzo Eurovision. L'Europa per lei? «Mi fecero la stessa domanda a un seminario, il giorno della Brexit. Miei colleghi risposero sangria, spiagge greche, il Milan e mi arrabbiai: "Altro che vacanze, è una cosa serissima, è la mia vita". Poi le cose sono andate come sono andate, ho dovuto fare un passaporto britannico e ora è tutto più complicato. Senza la possibilità di spostarsi così facilmente da un paese all'altro, senza l'Unione europea, chissà cosa farei ora». Quanto alla percezione di distanza e alterigia che l'Unione talvolta riscuote alle nostre latitudini, fatica a sintonizzarsi: «A me piace che abbia il ruolo di adulto nella stanza, soprattutto di fronte a problemi come l'invasione russa dell'Ucraina o il riscaldamento climatico. Ricordo una barzelletta per cui negli anni 60, 70 e 80 si discuteva solo di guerra fredda. Fin quando si è cominciato a dibattere delle dimensioni della banane. Ecco, io lo considero un grosso passo avanti».
RUMIZ, IL GRANDE EUROPEISTA
Per la stessa copertina ho intervistato Paolo Rumiz a partire dal suo ultimo libro Verranno di notte (Feltrinelli). Un estratto:
Il libro gronda entusiasmo nei confronti dell'idea di Europa e di disillusione verso il suo svolgimento. Quand'è la prima volta che ti sei sentito europeo?
«Da sempre direi. Essendo nato a Trieste, più che in uno spazio lungo una linea di confine, o impazzivo di claustrofobia o trasformavo il confine in opportunità di incontro. Ho scelto la seconda via. La mia curiosità verso ciò che stava dall'altra parte è stato il primo motore del mio istinto da viaggiatore».
I tuoi primi viaggi?
«Ho cominciato a viaggiare sul serio con la nascita dei miei figli. Soprattutto in Grecia e in Francia. La nostra antichità e l'apertura verso l'Atlantico. E poi tanto per mestiere, che ho cercato di piegare al mio istinto nomadico. Molto proprio grazie a Repubblica, a cui resto grato».
Ce l'hai con i viaggi in aereo ma non è anche vero che i low cost abbiano rimpicciolito l'Europa, rendendola abbordabile?
«Nelle mete fisse dove la gente si affolla, senz'altro. Ma per conoscere un posto devi prendere i suoi mezzi pubblici, mangiare il suo cibo, fraternizzare. La pancia dell'Europa è oggi più impenetrabile e sconosciuta di un secolo fa. A questa moltiplicazione di rotte aeree non corrisponde affatto una maggior comprensione tra i popoli. L'ex cortina di ferro si è spostata più a est, con noi a fare da guardiani. Si parla continuamente di "una bomba a Kharkiv" o del "presidente Lukashenko", ma si parla di loro, non con loro. Servirebbero corsi accelerati per comprendere la Polonia, la Bielorussia e così via».
Scrivi che nel 2008, durante un viaggio con la fotografa Monika Bulaj, avvertivi già i segni dell'attuale conflitto in Ucraina: esempi?
«I confini sempre più militarizzati a oriente della Finlandia. I dispetti che baltici e polacchi (li abbiamo fatti entrare senza dir loro "le minoranze si rispettano") facevano ai russi che venivano da noi. Stessa cosa che infliggiamo oggi ai dissidenti, tra cui tanti ricercatori, che riparano in Europa. A loro, che se ne sono andati, rinfacciamo Putin. Che già all'epoca si stava rinchiudendo in una retorica antioccidentale. Anche oggi, quando dico a un russo che la mia biblioteca di loro classici è triplicata, quello si meraviglia e si commuove».
Scrivi anche che stiamo scivolando lungo un piano inclinato, come nel 1914: in che senso?
«Per una deriva aggressiva nella terminologia. Dire pace è diventato una bestemmia, forse presto diventerà reato. Oppure l'uso contundente di termini come "genocidio" a cui si risponde con "antisemita", usati in modo indiscriminato».
INDICIZZARE LA PROPRIA LIBRERIA
L’ultima Galapagos:
Tutte le librerie ordinate sono uguali. Ogni libreria disordinata è disordinata a modo suo. C'è chi ha iniziato col criterio cromatico, chi per casa editrice, pochicontrol freakper ordine alfabetico. È comunque, sempre, unwork in progress. Anche chi inizia bene a un certo punto svacca. Basta un trasloco, ma anche un periodo incasinato della vita per far venir meno la concentrazione tassonomica. Ecco, per tutti noi esseri umani di disciplina media, c'è ora forse una soluzione. Mi arriva da Recomendo, la newsletter di consigli di quel vecchio tecnologo che è Kevin Kelly, che in realtà la rilancia da tale Gtapex che l'ha postata su Reddit. Per archiviare rapidamente la propria libreria domestica basta fare foto alle coste dei libri sugli scaffali. Pochi secondi averle scattate il riconoscimento di testo (Ocr) interno alla funzione fotografica dell'iPhone (ma dovrebbe funzionare anche su Android) estrarrà in automatico i titoli dalle immagini. E a quel punto vi basterà cercare con parola chiave dentro il rullino Foto per trovare, in un attimo, in quale sezione della libreria si trova il libro che state cercando. Piuttosto astuto, no?
Epilogo
La strage a Gaza continua. Il Tribunale penale internazionale ha scandalizzato una parte di mondo emettendo mandati di arresto per Netanyahu e il suo ministro della difesa, oltre che per i capi di Hamas, sostenendo che così si mettevano sullo stesso piano un governo democraticamente eletto e un’organizzazione terroristica. Tahar Ben Jalloun su Repubblica (https://www.repubblica.it/commenti/2024/05/23/news/ogni_vita_ha_lo_stesso_valoreben_jelloun-423093994/amp/) spiega bene perché non è così e perché l’antisemitismo non c’entra niente.