#135 Vita da poveri (a Milano)
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Prologo
Tutti sono contro la povertà, in astratto, ma in concreto pochissimi fanno qualcosa per debellarla, questa epidemia figlia di politiche sistematicamente sbagliate. Soprattutto pochissimi sanno, in pratica, che cosa significa essere costretti a contare ogni singolo euro, centellinare anche la più piccola spesa. Per questo al Venerdì abbiamo deciso di inaugurare una serie in quattro puntate su altrettante vite di poveri, da Milano a Palermo, da Napoli a Roma. Non facciamo mai serie: a mia memoria questa è una prima. E non abbiamo deciso di farla sulle vite dei ricchi, che di solito accendono le fantasie delle riviste, ma su quelle di chi ha poco o niente. Perché in un sistema più giusto i ricchi pagherebbero più tasse e i poveri lo sarebbero meno. Una verità tanto scontata quanto elusiva per la stragrande maggioranza della classe politica.
GIUSEPPE, IL RAGAZZO FORTUNATO
Questo è l’incipit del pezzo in edicola e online:
MILANO. Alla fine venne l'ora di cena. «Una cena semplice, va bene?» dice Giuseppe, quasi scusandosi, prima di affrontare l'ora di viaggio, metro più bus, che ci porterà da dove lavora a dove vive, nel bel mezzo del niente di San Giuliano Milanese. Nella villetta unifamiliare dell'ottantasettenne signor Renato, suocero di sua sorella, che quando lui è rimasto per strada gli ha offerto ospitalità. La cucina è rimasta fedele a un'estetica anni 70. Il menu prevede minestra di ceci. Ingredienti per tre persone: un barattolo di ceci, mezza cipolla e una carota, salvia presa dall'orto, un pomodoro pelato, ditaloni rigati. E tanta acqua, un litro o forse due, che trasforma irrimediabilmente la minestra in brodo. Proprio buono, però. Segue frittata di patate e cipolle. Vino da otto gradi in bottiglioni da litro e mezzo. Un'insalatina. Un piccolo tartufo di cioccolato che qualcuno gli ha regalato a Natale e viene disseppellito per l'ospite. Per finire un caffè che, in assenza di Sambuca, corregge con una acqua cedrata Tassoni che ha comprato in sconto, quattro euro due bottiglie, e centellina. Per questo pasto, le cui materie prime complessive si aggireranno sui tre-quattro euro, Giuseppe ha ringraziato Dio come aveva già fatto per il panino a pranzo, aggiungendo una stupefacente clausola che ripeterà spesso: «E io sono fortunato, perché tanti non hanno le spalle coperte come me». Intendendo dire una sorella che gli ha rimediato una sistemazione. Un fratello che gli ha fatto un prestito per tamponare l'ennesima emergenza. Una mamma che lo spesa di tutto quando d'estate porta i quattro figli in Puglia, dove è nato. I soldi gli fanno difetto, non la gratitudine.
L'incidente che ha fatto deragliare quest'uomo dai binari di una vita economicamente magra ma dignitosa è stata la ruvida separazione dalla moglie, cinque anni fa. Ma prima di arrivarci, breve riassunto biografico. Giuseppe nasce cinquantott'anni fa nella campagna di Ostuni da padre operaio dell'Enel col pallino del mattone che costruirà tre casette al mare, prima di una serie di investimenti rovinosi, e madre casalinga. Studia da perito elettrotecnico e trova un posto alla Telecom, a Milano, dal '91 al 2001. Mette addirittura da parte 15 milioni di lire ma quel tran tran gli va stretto. Parte per l'Ecuador e, da volontario di Africa Oggi, partecipa a progetti di aiuto per i campesinos. Conosce anche Marta che gli dà il primo figlio e diventa sua moglie. Nel 2004 rientrano in Italia. Tramite il giro della cooperazione una signora lo segnala alla Casa della carità di Don Colmegna che lo prende come guardiano. Nascono altre due figlie (in totale oggi la prole ha 20, 18, 17 e 11 anni. Nell'ordine un aspirante grafico pubblicitario, uno che sta per finire il liceo informatico, una che a scuola va così così e l'ultima alle medie) mentre la coppia già scricchiola. «Faccio quel che voglio» dice lei, almeno nel racconto di lui, quando in un incidente evitabile le sfascia l'auto. Rancori. Liti. In un paio di occasioni arrivano i carabinieri. Nel 2018 si lasciano ed è estromesso dai sessantasette metri quadrati a Pioltello che lui ha comprato con cinquantottomila euro prestati dai genitori e sessantamila a mutuo, «a un tasso del 16,25 per cento». Di colpo lo stipendio da 1300 euro si rinsecchisce. Togli i 150 euro di alimenti per ogni figlio, togli i 130 al mese per pagare gli infissi della ex-casa familiare e, da poco che erano, diventano quasi niente. «Mi restano 570 euro per campare a Milano, che è praticamente impossibile» dice nella maniera più fattuale che si possa immaginare. (Prosegue sul Venerdì)
UN DOG WALKER DI NEW YORK PRENDE PIÙ DI UN NOSTRO INGEGNERE
L’ultima Galapagos:
«Cani e padroni di cani» cantavano Elio e le Storie Tese. Ma a Central Park, nel candore della prima neve di stagione della settimana scorsa, c'era anche una terza categoria, fortemente in ascesa: i dog walker, quelli che li portano a spasso in nome e per conto di chi ha i soldi ma non il tempo di farlo. Tanti soldi, a giudicare da una stima del New York Times che, di recente, ha quantificato in «sopra i 100 mila dollari» la cifra che quelli bravi si porterebbero tranquillamente a casa ogni anno. Tra loro la trentacinquenne Bethany Lane, che dieci anni fa nel West Village ha aperto il negozio Whistle&Wag, e da allora è riuscita a ripagarsi il debito universitario (con la laurea voleva occuparsi di sanità pubblica), comprarsi una casa per le vacanze nel New Jersey e non passa giorno senza che una dozzina di nuovi potenziali clienti non la chiamino. A giudicare dai principali siti di offerte di lavoro un principiante può chiedere sui 14 dollari per portare a spasso per mezz'ora un cane ma quelli con più anzianità di servizio possono chiederne anche tre volte tanto e la stessa Lane ha tariffe sui 35 dollari l'ora. Ed è così richiesta che, non appena le ho scritto per incontrarla e capire di più sul suo lavoro, mi ha risposto che era molto onorata e senz'altro ci saremmo visti ma poi è sparita salvo riemergere quando ormai era troppo tardi spiegando che erano stati «giorni molto intensi». Tra i mestieri del futuro, per chi ci sa fare con i "migliori amici dell'uomo", includerei anche questo. È una facile profezia: meno figli, più cuccioli. Qualche anno fa era diventato una celebrità Cesar Millan, prontamente ribattezzato "l'uomo che sussurrava ai cani" nella serie televisiva omonima. Era messicano. Perché non un italiano per un possibile sequel?
Epilogo
A Gaza siamo a 30 mila morti. Centododici uccisi ieri mentre erano in fila per la farina, dopo giorni passati a mangiare mangime per animali.