#132 Affitti brevi, la lotta sarà lunga...
1) Anche l'Italia si sveglia e prova a mettere qualche regola 2) Airbnb ha raggiunto il peak? 3) Che resta in una monocoltura turistica quando i turisti se ne vanno? 4) Un simpatico latifondista
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Prologo
Qualche anno fa ho scritto un libro (qui c’è anche un estratto) su quanto Airbnb fosse andata fuori controllo nel nostro Paese. Che aveva questo strano primato: terzo mercato al mondo per la piattaforma di affitti brevi e praticamente uno dei pochi in oltre cento dove non esisteva ancora praticamente alcun limite alla sua attività. Purtroppo il libro è uscito nel bel mezzo del lockdown, quando il problema dell’eccesso di turismo non era particolarmente sentito, diciamo, e quindi nessuno se n’è accorto. Le notizie dell’ultimo anno, però, dimostrano quanto l’allarme fosse fondato e come, finalmente, i primi timidi tentativi di regolamentazione siano stati fatti.
NARDELLA VA ALLA GUERRA CON AIRBNB
Tra le città che han preso sul serio il problema, ancorché in discreto ritardo e con qualche dubbio sulla sincerità dell’operazione, c’è Firenze. Sono andato a vedere. Un estratto:
Prima di provare a rispondere torniamo sul tavolinetto di Scudieri, lo storico bar davanti al Duomo, con Stefano Bartoli, il musicista accerchiato. «Che problema c’è a vivere tra quasi tutti condomini turisti? Beh, potrei raccontare di Meng e Wang, due studenti cinesi di violino e di canto lirico, che iniziano a suonare dalle nove di mattina e vanno avanti fino a sera, evidentemente settati su altri fusi» ride. «O del condizionatore sotto la mia finestra che sferraglia come un furgoncino e, quando l’ho detto all’amministratore, mi ha messo in contatto con la padrona di casa che però vive a Grosseto, ha altro a cui pensare». Ora, con ipersensibilità tipica della provincia, per cui una carta per terra a Firenze fa più scandalo di un cassonetto esploso a Roma, nessuno di questi incidenti sembra precursore dell’Apocalisse. Però il sentimento che li tiene insieme è lo stesso e Bartoli lo riassume così: «Se c’è un problema a chi scampanello? Perché tra vicini veri sai a chi rivolgerti, mentre con gente che sparisce dopo una settimana dovresti ricominciare ogni volta a spiegare che il portone si chiude, i trolley non devono sbattere contro il muro, e così via». Non è un’impressione solo sua se il sindacato degli inquilini Sunia assieme agli attivisti di Progetto Firenze hanno calcolato, in un progetto d’ascolto dal titolo “Questo condominio non è un albergo”, che nei palazzi del centro i servizi comuni tra cui ascensore e svuotatura dei pozzi neri sarebbero addirittura triplicati. Stefano non nega l’enorme fortuna di essere in affitto a 800 euro, in una casa che ne varrebbe 2.000, in quanto amico della proprietaria, ma fa notare come anche il Conad nei paraggi abbia prezzi più alti e il Pam un’offerta a misura di turisti.
SECONDA SOLO A MILANO
Resta che la domanda di Airbnb, in città, non è mai stata così forte. AirDNA, che ne monitora il mercato, la include tra le dieci città europee con richieste più in crescita (+38 per cento in un anno), seconda solo a Milano. E a giugno, quando Nardella ha annunciato lo stop alle licenze, c’è stata una corsa furibonda a registrarsi. Come valuta la decisione Grazia Galli, col marito Massimiliano Lensi, mamma e papà di Progetto Firenze? «Quello del sindaco è stato un passettino nella giusta direzione. Se la sua delibera passerà indenne dai ricorsi al Tar di Codacons, Confedilizia e dei property manager, ossia i gestori immobiliari, e non sarà impallinata all’approvazione finale in giunta dai fuoriusciti di Italia Viva, sarà un precedente importante per altri comuni nella lotta all’overtourism». Oltre allo stop alle licenze Nardella ha previsto anche l’azzeramento dell’Imu sulle seconde case, per tre anni, a chi le toglierà dalle piattaforme per affittarle ai residenti. Più il cambio di destinazione d’uso per affittare a breve: «Perché io che ho un solo bagno in casa dovrei pagare lo spurgo come se ne avessi cinque, tipo i b&b? Per sanare quest’ingiustizia vanno applicati diversi parametri perequativi, che cambiano la ripartizione in millesimi delle spese condominiali. Nella delibera c’è anche questo ma la sua sorte si deciderà a maggio, poco prima delle amministrative» dice Lensi. E delle europee, dove Nardella correrà.
AIRBNB NON È PIÙ QUELLA DI UNA VOLTA?
Qualche mese fa avevo dedicato una Galapagos al tema della presunta crisi di Airbnb:
Intanto hanno inventato la parola: Airbnbust, lo scoppio di Airbnb. Più sgonfiamento, in realtà. E su Reddit c'è un sottocanale dove gli host statunitensi della piattaforma si incontrano per lagnarsi di come stanno andando gli affari con titoli tipo "Airbnb è entrata in una spirale della morte?". La risposta, a rischio di spoiler, è: no. Versante azienda le cose continuano ad andare benone, sia quanto a valore delle azioni (+50 per cento quest'anno) che quanto a numero di stanze offerte, che hanno superato i 7 milioni nel mondo. Ma è proprio in questa sovrabbondanza di offerta che sta il seme della crisi, versante host, ovvero quelli che provano a mettere a reddito la loro abitazione. La dinamica, che Bloomberg ricostruisce bene, è che molti americani durante il Covid avevano abbandonato le città. Alcuni, con l'occasione, avevano comprato seconde case. Che, una volta tornati nelle proprie abitazioni, hanno messo sulla piattaforma. L'aumento di offerta, in certe località è anche molto significativa (+85% San Antonio, +73% Phoenix e Dallas), ha finito per abbassare i prezzi. Così quando Mark e Joan Robertson, per fuggire dal freddo del Minnesota, hanno investito i loro risparmi in una seconda casa a Orlando, in Florida, convinti che il fatto di trovarsi a 10 minuti da Disney World la rendesse appetibilissima dai turisti di tutto il mondo, si son dovuti ricredere. Quest'estate è stata particolarmente moscia («Sembrava che saremmo stati sempre pieni, che avremmo fatto 5/10 mila dollari al mese mentre il massimo che abbiamo fatto sono stati 3500, certi mesi 1000», tenendo presente che il tenore di vita degli americani è decisamente più alto del nostro). Questo è solo un aneddoto, ma in generale i prezzi che gli host riescono a farsi pagare, forse per la prima volta da quando Airbnb esiste, sono scesi dell'1 per cento rispetto all'anno scorso. Poco per predire una fine. Sufficiente, forse, per l'inizio di una svolta.
CHE RESTA QUANDO I TURISTI SE NE VANNO?
Nel settembre del 2019 ero venuto a Firenze per capire che effetto aveva avuto la pandemia sull’economia cittadina. L’incipit:
Firenze. «Questi turisti m’hanno bell’e che divertito!». Maria Vannello si racconta come la penultima dei Mohicani in una Firenze assediata da truppe straniere in infradito. Dal tavolino del Caffè Bianchi, nel quartiere Santo Spirito appena Oltrarno, indica i nemici. «Vede come vanno!» dice puntando tre ragazzi in bici contromano in una stradina oggettivamente non larga. «Ma come sa che sono turisti?». «E si vede» taglia corto.
Ad adiuvandum interviene Beppe, marito da oltre mezzo secolo: «Su tredici inquilini nel nostro palazzo, di residenti ne sono rimasti due. I condizionatori economicissimi che ha messo chi affitta fanno un gran rumore e sputano aria calda nella corte interna. E poi, per far prima, gli ospiti lanciano le valige da una rampa all’altra. Oppure rientrano ubriachi di notte e una volta han provato ad aprire la nostra porta. Insomma, non si faceva più vita». Così alla fine si sono trasferiti poche strade più in là.
Battaglia persa, ma guerra ancora tutta da combattere dal momento che sono entrati in uno dei vari comitati nati contro la movida ma che poi hanno promosso Airbnb a bestia nera. Pour cause, dal momento che uno studio dell’università di Siena conferma che il capoluogo toscano ha il primato nazionale del rapporto, nel centro storico, tra case offerte online e totale delle abitazioni: una su quattro. Firenze e Venezia sono anche le uniche italiane ad aver firmato, con dieci città europee, una preoccupatissima lettera che chiede a Bruxelles di difenderle da una crescita metastatica della piattaforma. Perché tra appartamenti ereditati che diventano welfare privato, un vasto indotto di pulizie/accoglienza e residenti che bestemmiano o cambiano cap, il dibattito resta apertissimo se i maledetti turisti siano l’ennesimo avversario sbagliato di una sinistra da Ztl o la potenziale medicina (economica) che, in dosi da cavallo, diventa un veleno per le nostre città d’arte.
Come da Zeitgeist, il percepito gioca un gran ruolo. Maria e Beppe snocciolano indizi schiaccianti. «Sui campanelli di chi affitta non c’è mai scritto b&b e quindi non pagano le tasse» (non c’entra: Airbnb manda un bonifico ed è assai più difficile evadere quello del vecchio nero). «Tanti lasciano le chiavi a un pachistano che fa l’accoglienza» (si può, e la nazionalità non è un’aggravante). Ci sono ottimi motivi per criticare la piattaforma, a partire dalla sua preternaturale abilità nell’eludere le tasse (nel 2015 ha dichiarato in Francia 69 mila euro a fronte di ricavi per 5 milioni), ma non questi. E ancora: «I giapponesi lo fanno per dispetto di lasciare la doccia aperta e ci hanno allagato il soffitto» (Tutto è possibile, ma come fa a dirlo?). Gran finale: «E comunque il multiculturalismo non funziona, con la puzza di questi che cucinano il pesce marcio a ogni ora», che c’entra meno di niente col turismo ma tutto con la nostalgia («Una volta qui ci viveva il papà della Fallaci»), primum movens di tante storie cruciali dei tempi interessanti che viviamo.
I LATIFONDISTI DELLE PIATTAFORME
Prima ancora avevo provato a smontare, per tabulas, l’argomento di marketing più usato da Airbnb per vendersi come piattaforma che serve solo ai piccoli per arrotondare. Raccontando la storia di un egregio latifondista. L’attacco:
Montegufoni (Firenze). L’host 95903847 entra nel suo castello a bordo di una Jeep verde militare. Il magnifico palazzo del ‘600, a mezz’ora da Firenze, nei secoli è passato di mano dai banchieri Acciaioli ai nobili inglesi Sitwell, quindi a suo padre Sergio Posarelli, imprenditore edile di Montelupo Fiorentino che durante il boom si era arricchito costruendo mezza Scandicci. E infine a lui, il cinquantaduenne Guido, occhi azzurri e capelli rossicci a spazzola, università in America e tour operator dagli anni 80, diventato oggi, stando alla lista dei dieci nemici pubblici di Federalberghi (che li individua con il numero assegnato dalla piattaforma), il primo latifondista di Airbnb in Italia. Con 507 annunci a suo nome, che corrispondono a un migliaio di case, di cui una quarantina di proprietà. Mentre le restanti le gestisce per conto di altri, avendo cura di farle fruttare il più possibile.
Fotografie professionali da mettere sul sito, descrizioni dettagliatissime, risposte rapide («Una volta eri efficiente se rispondevi entro un giorno, oggi entro un’ora») sono tutte seccature di cui non si dovranno occupare. Ci pensano lui e la sua decina di dipendenti, dietro una commissione del 25 per cento, di cui il 5 va all’azienda americana (oltre al 12 che già esige dall’ospite). La tranquillità ha un prezzo. Conoscere il mestiere pure. Così quest’uomo, per il semplice fatto di esistere, in un colpo solo distrugge due luoghi comuni sull’economia digitale. Uno antico: internet farà fuori tutti gli intermediari (qui li ha addirittura duplicati: la piattaforma e lui). Uno, più recente, per cui «Airbnb è una piattaforma da persona a persona e un’àncora di salvezza per gente che ha bisogno di un reddito supplementare» (come sostengono comunicati pubblicitari ufficiali).
Sulla retorica del turismo dal volto umano, della stanzetta da condividere con estranei che poi magari diventano amici, del mi casa es tu casa al tempo dell’algoritmo Airbnb ha costruito il suo mito fondativo. A partire dai due neolaureati brillanti e spiantati che nel 2010 comprarono tre materassini gonfiabili per trasformare il proprio salotto in un mezzo di produzione. Ventiquattro miliardi di dollari di capitalizzazione di Borsa dopo, lo storytelling non è cambiato. Così, per avvalorare la dimensione familiare, il censimento dell’azienda si concentra sugli host. Degli 83.300 che nel 2015 in Italia hanno spalancato le loro porte a estranei l’87 per cento aveva tra uno e due annunci, mentre solo il 4 per cento più di quattro. Affittacamere amatoriali, come volevasi dimostrare. Se non fosse che, a partire dagli stessi dati ma concentrandosi invece sul numero di annunci, l’associazione degli albergatori ricava un quadro diverso. «Perché i quasi 5000 host da 3-4 annunci l’uno (a complicare il confronto le fasce non sono perfettamente sovrapponibili)» spiega Maria Stella Minuti della Incipit Consulting che li ha analizzati «sono sì il 4 per cento degli host ma pesano per quasi il 20 per cento degli annunci». Variando l’unità di misura, varia il risultato, ora molto democratico (come da propaganda aziendale), ora assai diseguale (Federalberghi denuncia la concorrenza sleale di chi fa il loro mestiere con regole assai più lasche).
QUEL GRAN BUSINESS DELLO STREAMING PIRATA
L’ultima Galapagos:
Bill Omar Carrasquillo una serie sulla sua vita se la meriterebbe tutta. Se non fosse che troverebbe il modo di piratare anche quella. Questo youtuber trentasettenne nato a Filadelfia e attualmente destinatario di una condanna a 5 anni e mezzo di carcere è, era, il tenutario di GearsTV, uno dei più proficui siti illeciti di streaming. Quelli, per intenderci, che mettono a disposizione enormi biblioteche di film e serie gratis, lucrando sulla pubblicità, o più spesso dietro un pagamento che è una frazione della cifra che si pagherebbe per un abbonamento a qualche piattaforma legittima. Per la cui gestione criminale Carrasquillo, meglio noto col nome d'arte Omi in a Hellcat, è stato condannato a risarcire anche 30 milioni di dollari alle major, compresa la confisca di parecchi beni, tra cui una Lamborghini e 6 milioni di dollari in contanti.
Già, perché se non è ancora chiarissimo, tra aumenti dei costi di sottoscrizione e restrizioni sul numero di persone che possono condividere le credenziali, quale sarà il futuro economico di Netflix e delle sue sorelle, di certo il presente di quello delle loro alternative truffaldine è molto florido. “Siti come myflixer.to e projectfreetv.space hanno profitti nei dintorni del 90 per cento", stima la Motion Picture Association, ovvero l'associazione delle case di produzione cinematografica statunitensi. E il loro fatturato complessivo, tra pubblicità e abbonamenti, si aggirerebbe sui 2 miliardi di dollari. Con danni a cascata per l'economia americana stimati in 30 miliardi di dollari di mancati profitti e 250 mila posti di lavoro in meno, ha calcolato la US Chamber of Commerce che diventerebbero 71 miliardi su scala globale. L'ironia della sorte è che, proprio come successe all'inizio con Spotify rispetto a Napster, le piattaforme legali avevano ridotto l'appeal delle alternative fuorilegge. Però, col tempo, i continui aumenti dei canoni hanno fatto riconsiderare tanti utenti che sono passati di nuovo "dal lato oscuro della Forza", per dirlo con la lingua di una saga altamente piratata. La Alliance for Creativity and Entertainment, una task force con circa 100 detective che danno la caccia a chi apre siti non kosher in cinque anni ha decimato i servizi di streaming illegale in Nord America da 1400 a 126. A occhio indagano anche in Italia. "Stateve accorti".
Epilogo
Siamo quasi a 27 mila morti a Gaza. Se volete farvi un regalo leggetevi questo pezzo dalla London Review of Books.