#128 La scelta di Oriani
Il giornalista che ha denunciato la copertura mediatica del massacro in corso a Gaza io ho la fortuna di conoscerlo bene
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Venerdì scorso Raffaele Oriani ha mandato all’intera redazione di Repubblica questa email:
Care colleghe e cari colleghi,
ci tengo a farvi sapere che a malincuore interrompo la mia collaborazione con il Venerdì. Collaboro con il newsmagazine di Repubblica ormai da dodici anni, ed è sempre un grande onore vedere i propri articoli pubblicati su questo splendido settimanale. Eppure chiudo qua, perché la strage in corso a Gaza è accompagnata dall'incredibile reticenza di gran parte della stampa europea, compresa Repubblica (oggi due famiglie massacrate in ultima riga a pagina 15). Sono 90 giorni che non capisco. Muoiono e vengono mutilate migliaia di persone, travolte da una piena di violenza che ci vuole pigrizia a chiamare guerra. Penso che raramente si sia vista una cosa del genere, così, sotto gli occhi di tutti. E penso che tutto questo non abbia nulla a che fare né con Israele, né con la Palestina, né con la geopolitica, ma solo con i limiti della nostra tenuta etica. Magari fra decenni, ma in tanti si domanderanno dove eravamo, cosa facevamo, cosa pensavamo mentre decine di migliaia di persone finivano sotto le macerie. Quanto accaduto il 7 ottobre è la vergogna di Hamas, quanto avviene dall'8 ottobre è la vergogna di noi tutti. Questo massacro ha una scorta mediatica che lo rende possibile. Questa scorta siamo noi. Non avendo alcuna possibilità di cambiare le cose, con colpevole ritardo mi chiamo fuori.
Buon anno a tutti, Raffaele Oriani
Come ormai succede quasi sempre, la mail interna è diventata esterna, qualcuno l’ha fatta girare e ha girato molto. Tra i tanti che l’hanno condivisa c’è Francesca Albanese, la relatrice speciale Onu sui territori palestinesi occupati. Non ci sarebbe quindi alcun bisogno di queste poche righe, che non aggiungeranno niente alla larga diffusione che la sua lettera ha avuto, tranne fornire un piccolo contesto personale.
Ho la fortuna di essere amico di Raffaele Oriani da quasi trent’anni, da quando lavoravamo entrambi al glorioso mensile Reset, ed è uno dei giornalisti migliori e delle persone più integre che conosca. Non è sui social, non cerca alcun tipo di ribalta, nonostante abbia scritto moltissimo, in rete ci sono giusto un paio di sue foto: è solo un essere umano di primissima qualità che aderisce a una definizione molto radicale della parola “coscienza”. Per questo credo che si debba fare molta attenzione a quel che ci dice e a come ce lo dice. La sua amarezza, che per molti versi è anche la mia, denuncia una specie di assuefazione al dolore del mondo che del giornalismo rischia di diventare malattia terminale. Non si tratta di schierarsi tra israeliani e palestinesi, ma di ritenere ammissibile o meno un massacro che, in tre mesi, ha provocato 22 mila vittime, ovvero 244 al giorno, di cui sette su dieci donne e bambini.
Se, in maniera sacrosanta, parliamo di strage per una singola famiglia ucraina dilaniata delle bombe di Putin o di un’altra israeliana trucidata da Hamas, raccontando chi erano i componenti, quali fossero le loro aspirazioni, facendo empatizzare il lettore con le loro vite spezzate, dovremmo farlo sempre – a partire dai titoli, che spesso sono l’elemento principale su cui le persone si fanno un’idea di quel che succede nel mondo – anche quando quella carneficina avviene, moltiplicata, serializzata, ogni giorno nella Striscia. E invece capita che quelle morti tendiamo a renderle astratte ascrivendole a danni collaterali di più ampie manovre geopolitiche quando non, come segnala Raffaele, ne releghiamo la notizia nelle ultime righe di una cronaca, come fosse un dettaglio.
A differenza di lui penso che abbia ancora senso non chiamarsi fuori e fare argine, una frase alla volta, un aggettivo alla volta, contro questa e altre drammatiche rimozioni. Però, senza la sua scelta, non saremmo neppure qui a parlarne. Il grande reporter Ryszard Kapuscinsky aveva intitolato un suo libro sul giornalismo "Il cinico non è adatto a questo mestiere". Quale migliore occasione per ripeterci come un mantra – tutti, a partire dal sottoscritto – la sua, la loro lezione?