#120 Il Belpaese dell'emergenza continua
1) Ken Loach è MAGNIFICO 3) lo strepitoso viaggio di Paolo Rumiz ripercorre la faglia dei terremoti 3) quel che avevo visto all'Aquila tre anni dopo il sisma 4) un riassunto quasi troppo ben fatto
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Prologo
Ho visto The Old Oak di Ken Loach. È un film magnifico in cui, se sei un essere umano normale, fatichi dall’inizio alla fine a trattenere le lacrime. Non è neppure, a differenza di altri capolavori suoi (e dello sceneggiatore Paul Laverty che avevo intervistato qui) disperante. Dovrebbe diventare visione obbligatoria di tutta la classe dirigente del Pd, ma temo che non basterebbe. Il protagonista è un tipo che ha preso già la sua bella dose di schiaffi dalla vita e il poco che ancora ha se lo tiene stretto, anche a costo di mordersi la lingua rispetto a quel che vede e sente che non gli sta bene. Fino a un certo punto sceglie il quieto vivere. Tranne poi rendersi conto che vivere è più rischioso ma anche più entusiasmante. Mio padre era attivamente comunista in una piccola banca di stretta osservanza democristiana e, a occhio, non fu una scelta corroborante la carriera. Anche le molotov dei fascisti, quelli veri, contro la sede dove faceva la riunioni se le sarebbe potute risparmiare se la sera avesse guardato, come me, tanta tv sul divano. Cercherò di ricordarmelo più spesso. E di mordermi meno la lingua rispetto alle atrocità cui assistiamo impietriti ogni giorno. Prima che mi si stacchi definitivamente.
VIAGGIO NELLO STIVALE CHE TREMA
Paolo Rumiz ha scritto Una voce dal profondo (Feltrinelli), un bellissimo libro sull’Italia riletta dal rapporto con il suo sottosuolo. L’incipit dell’intervista sul Venerdì:
L'Italia non sta su una faglia, è una faglia. Ma gli italiani preferiscono non saperlo. Perché, come scrive Paolo Rumiz in Una voce dal Profondo (Feltrinelli) «parlare di eruzioni o di Terra che trema porta scalogna, imbarazza i politici, rovina il gioco ai palazzinari, fa inorridire le aziende turistiche, ti mette contro gli operatori dell’effimero». Di tutte queste ragioni di opportunismo il grande inviato triestino non si cura. Con voluttà speleologica si cala dentro grotte mefitiche, guada ponti allagati, si inerpica come uno stambecco per gli Appennini, «la nostra vera, misconosciuta colonna vertebrale che ci dà un’identità molto più delle Alpi» in cerca dell’anima degli italiani. In un libro sapienziale, tanto intenso quanto inclassificabile, in un dialogo costante tra storia, mito e una spiritualità laica, molto rumiziana, che a quanto pare si può attingere solo camminando, calcando la terra passo dopo passo. Secondo la lezione di Werner Herzog che, ai giovani che volevano fare cinema, diceva che viaggiare a piedi per 3000 chilometri avrebbe insegnato loro più di 2-3 anni di scuola.
Perché è importante un viaggio lungo la faglia dei terremoti?
«Perché questo sbrego che taglia l’Italia è un elemento importante per capire i suoi abitanti e l’ho usato come filo conduttore per rileggere le nostre diversità. Perché i triestini sono carsici, i napoletani magmatici, i siciliani sfuggono la luce: le risposte hanno a che fare con il loro rapporto col sottosuolo».Il libro è anche una dichiarazione d’amore al Sud, Napoli in testa...
«Tanti dei fili che tiravo si annodavano lì. È la più grande città al mondo che sta sopra un vulcano e mi piace la loro visione magmatica. Venendo da un universo molto compartimentato mi affascina il loro dove tutto comunica con tutto, il sopra e il sotto, la religione e la superstizione, in quella che Walter Benjamin aveva definito “porosità”».
COM’ERA TRISTE L’AQUILA, SOLTANTO TRE ANNI DOPO
Nel 2012, per il terzo anniversario del terremoto, il Venerdì mi aveva mandato all’Aquila. Questo è quel che avevo visto:
Non si capisce ancora se il destino dell'Aquila sarà di volare basso per un decennio. O di avviarsi, assai più alla svelta, tra le specie di città in via di estinzione. Poi ovviamente c'è il lodo Berlusconi: più tetti per tutti, dalle tende alle case nel minore intertempo a memoria d'uomo, il miracolo abruzzese confezionato nel "cantiere più grande del mondo". Il bello, si fa per dire, è che nessuna delle ipotesi esclude l'altra. Così, se le casette antisismiche verranno consegnate nei tempi, c'è il rischio che i festoni dell'autunno 2009 si trasformino in striscioni nel 2019 quando ci si renderà conto che l'attributo "temporanee" riferito ad abitazioni ha per Protezione civile e popolazione accezioni diversissime. Sempre che, per allora, ci siano rimasti abbastanza giovani per scendere in piazza, considerati i rischi di diserzione da un'università diroccata. E assumendo che ci sia di nuovo una piazza in cui protestare e non la spianata del mall che adesso ne fa le veci. Insomma, immaginando che la città - cosa ben diversa dalla somma algebrica dei suoi edifici - abbia resistito all'esodo che molti ora tentano di esorcizzare.
Per l'economia della città il tempo della crisi era scoccato assai prima delle 3 e 32 del 6 aprile. L'industria elettronica, con l'eccezione dell'Alenia Spazio, era già sparita. Resta la farmaceutica Aventis e l'università, con i suoi 23 mila studenti, un terzo della popolazione. E ovviamente un po' di commercio, morto sotto le macerie del centro storico e rinato in editio minor nei due centri commerciali cittadini. «Il mio fatturato qui all'Aquilone è raddoppiato da aprile» dice Nino Cavallo, che aveva tre gioiellerie sotto i portici e ora va avanti con la dependance periferica. Qui la gente viene, più che a comprare, a vivere. Come nel New Jersey. «Per me il massimo dello svago è un gelato al centro commerciale» confessa Cristina, 33 anni con una bambina di 15 mesi, sotto i 35 gradi che quasi squagliano la sua tenda azzurra nel campo di Piazza d'Armi. Non è la sola. Quel che resta della movida aquilana va in scena qui, epicentro il bar eccezionalmente aperto sino a mezzanotte e mezzo durante la settimana e le due nel weekend. Cavallo, che ha regalato un ciondolo d'oro con brillante a Carla Bruni, non è tipo da scoraggiarsi, eppure avverte: «O convinciamo entro la fine dell'estate i 30 mila sfollati al mare che la città può ripartire altrimenti non torneranno, cercheranno fortuna altrove».
È una paura che non risparmia neppure il sindaco pd Massimo Cialente, stimato pneumologo che ormai sostituisce le sigaretta al pranzo: «Certo che sono molto preoccupato dal loro eventuale non ritorno. La città è soprattutto i suoi cittadini». Che al bar del centro direzionale gli riservano pacche di solidarietà e richieste d'aiuto. Dice che non vuol fare polemiche con Bertolaso («dovrebbe coinvolgerci di più») e si limita a una eloquente contabilità: «Anche calcolando le 3400 casette del governo che ospiteranno 13 mila persone ne mancheranno ancora all'appello circa 7000. Dove le prendiamo?». Si spera che entro l'estate molti rientreranno nei loro appartamenti agibili, ma i conti ancora non tornano. «Requisiremo le case sfitte o invendute. Chiederò un patto generazionale perché più single convivano, i figli ospitino i genitori o viceversa». Da qui ad allora bisogna stare bene attenti che il tessuto sociale non si strappi, avverte il sociologo Maurizio Fiasco: «L'irregimentamento mai così lungo nelle tendopoli, un futuro nei ghetti-dormitorio rischia di riproporre quel che è successo a Napoli col sisma. Prima la camorra era un problema solo in certi quartieri, dopo ha preso cittadinanza in tutti. È questa devianza generazlizzata che va scongiurata, anche per via urbanistica».
Gli unici che, nella notte senza fondo della catastrofe, riescono a vedere delle stelle sono ingegneri ed architetti locali. «Meglio parlare di riconversione che di ricostruzione» dicono Marco Morante e Maura Scarcella, due degli animatori del Collettivo99 che ha federato una settantina di «giovani tecnici aquilani». I loro santi patroni sono Jeremy Rifkin e la sua economia all'idrogeno e Richard Florida che vede nella classe creativa il sale delle metropoli. Per questo l'approccio governativo li terrorizza: «Per poter vantare velocità da record queste casette, messe in zone sbagliate e senza valutazioni di impatto ambientale, creeranno una specie di periferia dormitorio con danni irreversibili. Si era creduto di aver scongiurato il rischio della new town e invece, nei fatti, questi insediamenti di 100 ettari sono già grandi il doppio. Settecento milioni di euro spesi male».
Al quartier generale della Protezione civile, quella Direzione Comando e Controllo che sembra il titolo di un videogioco di successo, non la vedono affatto così. Il responsabile del progetto C.a.s.e. (questa passione degli acronimi, Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili, fa molto americano), è Vincenzo Spaziante, un uomo potente e di poche parole: «Le nostre case saranno temporanee se i lavori nel centro storico procederanno spediti, altrimenti dureranno di più. Ma non è colpa nostra, dipende da quanto rapido sarà il comune». Il suo orgoglio per le soluzioni tecnologiche adottate, queli isolatori sismici mutuati dal Giappone sui quali sorgeranno gli edifici, non è condiviso da tutti. Per l'ingegner Sandro Berlinghieri, che fa parte di uno storico studio professionale, ad esempio sono un'assurdità: «Sono pensati per palazzi di almeno 10 piani mentre qui, con 3 piani soltanto, potrebbero potenziare invece che ridurre le oscillazioni». Come mettere gli ammortizzatori di un suv su una cinquecento, per intenderci. Ma le critiche più sistematiche riguardano la muscolare sbrigatività della valutazione dei danni e la persistente mancanza di un progetto per il dopo.
Una comparazione storica aiuta. Ivan Cicconi, uno dei principali esperti di contratti pubblici in Italia, ha seguito la ricostruzione in Friuli: «Ci prendemmo 7 mesi per valutare i danni e iniziare una pianificazione; qui 10 giorni, è folle». Come l'aver pensato prima alla new town in una «fase demografica regressiva e avere poi realizzato nuovi quartieri. Con un decreto che deroga a tutte le regole e che, con trattative private e un ricorso smisurato ai subappalti farà lievitare i costi in maniera abnorme. È verosimile credere che i 700 milioni a preventivo diventerano, a consuntivo, 900 o 1000, per insediamenti di cui poi non si saprà che fare».
Il piano b più ripetuto è trasformarli, quando il centro storico riassorbirà i suoi abitanti, in alloggi studenteschi. Paola Inverardi, preside della facoltà di scienze, non ci crede affatto: «L'unica possibilità che abbiamo di continuare ad attrarre ragazzi è il rilancio. Puntare sull'internazionalizzazione, corsi in inglese, un rapporto stretto e personalizzato con gli allievi. Più laboratori e campus, ma vicini alle aule, non da tutt'altra parte». Proposte raccolte in un sito, ideasforlaquila.org, e discusse in un tavolo Ocse. Ma considerate poco o punto, sin qui, dagli interlocutori locali e nazionali. «La tragedia ci costringe a immaginare un futuro inimmaginabile» spiega questa appassionata cinquantenne «finché sei dentro un contesto la tua fantasia ne è molto vincolata, ma quando il contesto viene giù con le mura della tua casa, allora puoi sognare. E sognare il meglio».
UN RIASSUNTO FATTO SPAVENTOSAMENTE BENE
L’ultima Galapagos (iscrivetevi alla newsletter del Venerdì!):
"In una zona del Texas vicino all'incrocio tra le autostrade I-35 e I-20, le aziende Kodiak Robotics, Aurora Innovation e Gatik stanno testando camion senza conducente. Le aziende hanno scelto il Texas perché lo stato ha approvato una legge che consente la sperimentazione di camion autonomi. In California, invece, gli organi di regolamentazione statali non hanno ancora stabilito le regole per le prove iniziali e il legislatore ha approvato una legge che richiede un conducente nei camion grandi. I camion autonomi utilizzano una combinazione di telecamere, radar e lidar per scansionare l'ambiente circostante. I sistemi devono essere impeccabili, non solo migliori dei veicoli con umani al volante, perché le compagnie di assicurazione saranno riluttanti a offrire copertura fino a quando non saranno convinte di non dover affrontare risarcimenti rovinosi. Le aziende affermano che i camion autonomi contribuiranno ad alleviare la cronica carenza di camionisti, soprattutto per i percorsi lunghi che tengono i conducenti lontani dalla famiglia per lunghi periodi. E senza esseri umani al volante, regole come i limiti alle ore di guida e il divieto di droghe e alcol non saranno più applicabili. Le forze dell'ordine statunitensi hanno segnalato oltre mezzo milione di collisioni che hanno coinvolto camion grandi nel 2021, causando la morte di quasi 5.800 persone e ferendone 155.000. "Abbiamo l'opportunità di ridurre questi incidenti", afferma Nat Beuse, chief safety officer di Aurora ed ex funzionario federale per la sicurezza dei trasporti. Finora, i camion stanno andando relativamente bene. I dati del governo federale mostrano che ci sono stati meno di 20 incidenti in Texas, tutti causati da conducenti di altri veicoli. In un caso, un automobilista si è addormentato, ha attraversato due corsie e ha tamponato un camion Kodiak, ammaccando il cofano dell'auto. In un altro caso, un'auto ha sbandato contro un camion Aurora a 65 miglia all'ora, ma entrambi i veicoli sono riusciti ad allontanarsi dalla scena". Questo riassunto di articolo di Bloomberg l'ha fatto Bard, l'intelligenza artificiale di Google. Gli avevo chiesto 1000 caratteri e ne ha scritti il doppio. Per il resto mi sembra inappuntabile. Sono ancora meglio io, ma fa molta impressione.