#12 L’Amazon in sé e l’Amazon in noi
Ultime da Spilamberto; Burslem rimasta senza negozi; una consegna, minuto per minuto; lo sceneggiatore di Ken Loach; dibattito sul nuovo potere; la guerra fredda dei cavi; struggente Nomadland
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Prologo
Aguzzate la vista. Concentratevi sulla porta, in basso a destra. Dritto sta un pacchetto di cartone con l’inconfondibile sorriso stilizzato. Che c’è di strano? Niente, se non che è la casa del più stentoreo critico dell’arrivo di un nuovo centro di smistamento Amazon a Spilamberto, sonnecchioso paese a due passi da Modena. Mentre aspetto di avere il numero per parlargli arriva un altro corriere, consegna un altro pacco. Neppure il miglior sceneggiatore avrebbe saputo fare meglio di quel che mi ha apparecchiato la realtà. Faccio notare la contraddizione, ma non me ne scandalizzo perché è anche la mia: ho scritto innumerevoli articoli e libri critici nei confronti degli effetti del colosso del commercio elettronico ma una quantità spaventosa dei miei acquisti passa di lì. Non posso scagliare la prima pietra perché finirei lapidato. Si applica anche qui la vecchia intuizione di Giorgio Gaber («Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me»). Ciò non significa che non si debba pretendere che Amazon paghi tutte le tasse, tratti meglio i suoi lavoratori e, più in generale, al di là delle chiacchiere, dia un contributo alla società commisurato alle sue formidabili fortune.
SPERIAMO NON SIA UN PACCO
L’unico limite del Venerdì, «paradiso in terra del giornalismo» (autocitazione da questo intervento), è che talvolta i pezzi ci mettono un po’ per uscire. È andata così questa volta. Sono stato a Spilamberto agli inizi di febbraio e l’articolo è uscito oggi. Nel frattempo c’è stato uno sciopero nazionale Amazon e ho fatto giusto in tempo a ri-sentire il sindaco per capire se in qualche modo ciò cambiava la sua posizione rispetto agli eventi. La risposta è stata che non la cambiava e, come mi aveva detto, erano comunque molto peggio i lavori nelle finte cooperative. Affermazione che, quando ormai il pezzo era chiuso in tipografia, ha causato una baruffa locale col segretario provinciale del Pd. Una cosa che non cambia in niente il senso del pezzo che, detto molto semplicemente, era esattamente questo: cosa succede in un piccolo paese quando arriva il gigante del commercio elettronico? La versione breve della risposta è che la maggior parte dei cittadini, pensando al lavoro, è favorevole. Poi c’è però la versione lunga. Un estratto:
In sintesi: Amazon aprirà un centro di smistamento, quelli dove arrivano i pacchi da ripartire tra i delivery point che consegneranno ai clienti, a venti minuti da Maranello. I favorevoli si sono concentrati sulle 200 assunzioni (in tre anni) a tempo indeterminato, 1550 euro lordi, e sul loro potenziale indotto. I contrari, invece, sui 2032 veicoli stimati in più (al giorno) che faranno la spola magazzino-casello e sul loro indotto di polveri sottili. Hanno vinto i primi. Con in testa Umberto Costantini, sindaco di questa cittadina da 12 mila abitanti, abbatuffolata nella nebbia padana, la cui industria principale è quella della carne, mucche e suini non si butta via niente, tra il gigante alimentare Cremonini e centinaia di realtà minori. «Dove magari certe cooperative ti pagano come facchino, magari metà al nero, e invece passi le giornate in una cella frigo» ricorda questo trentatreenne entusiasta, renziano della prim’ora ma rimasto nel Pd, che sa di cosa parla perché prima di conquistare il municipio lavorava nell’azienda paterna che fa automazione per i macelli.
Abbiamo preso la temperatura. Torneremo a vedere se e come cambia la percezione in autunno-inverno, una volta che il magazzino sarà aperto.
A BURSLEM SONO FINITI I NEGOZI
Tre anni fa ero stato in Inghilterra per raccontare una storia analoga. Avevo letto che Burslem, una delle capitali della Brexit, era diventata famosa anche per un altro record: un terzo dei negozi cittadini aveva chiuso. C’entrava parecchio la crisi del 2008 e poi anche il commercio elettronico (il 18 per cento degli inglesi allora comprava online, tre volte più degli italiani), con Amazon che aveva aperto un centro di smistamento a 15 minuti. Ecco una testimonianza:
Trangugio una fetta di cheesecake in compagnia di Alan Dutton, consigliere comunale da sette anni e figura di riferimento per la comunità. È appena tornato da un paese vicino per l’impegnativa prova di un vestito su misura («Il problema è farci entrare questa» dice accarezzando una pancia che non deve aver disdegnato qualche birra) per il matrimonio del figlio. «Inutile lamentarsi: Amazon è colpevole ma anch’io, quando ho dovuto comprare un frigorifero che al negozio costava 900 sterline l’ho preso online a 600» esordisce sincero.
«Queen Street è diventata una no-street e io farò di tutto per farla diventare una via culturale, con tanti bei cafe, come li avete voi. Useremo leggi che ci consentono, se un locale resta chiuso più di un anno e versa in cattive condizioni, di portare i proprietari in tribunale perché lo rimettano in sesto, fino all’eventuale esproprio. Offriamo noi sei mesi di affitto. Abbiamo sospeso le tasse commerciali. Insomma, ci stiamo dando da fare». Tutto vero. Eppure con l’addio di NatWest se n’è andata anche l’ultima banca e in città sono rimasti pochi bancomat che riconosci da lontano per le file di prelevanti. «Mia madre ci andava 2-3 volte a settimana e c’erano sempre clienti, però non abbastanza per giustificare affitto e stipendi» commenta Cartlidge mentre estrae dalla tasca il colpevole: «D’altronde sono anni che io non ci metto più piede perché faccio tutto col cellulare».
UNA CONSEGNA, MINUTO PER MINUTO
Nell’ottobre del 2017 mi ero messo in testa di documentare il percorso di un pacco, dall’origine al consumatore. Ero andato allora all’unico centro Amazon a Castel San Giovanni, nel piacentino, da lì avevo fatto l’ordine sul cellulare e avevo seguito il percorso fino a casa mia a Roma. La tosta Elena Cottini, con cui avevo negoziato l’impresa, mi aveva detto che non era mai stato fatto e mi è piaciuto crederci. Un estratto:
Di Mxp5 (i magazzini vengono battezzati con la sigla del più vicino aeroporto, in questo caso Malpensa 5), si è scritto che i ritmi sono così intensi che la gente è scoraggiata dall’andare in bagno e che ansia e stress abbondano. Da circa sei mesi però, eccezione alla regola di un’azienda che globalmente li detesta, i sindacati sono entrati in fabbrica. Denunciano «operai strizzati come limoni» ma ammettono anche progressi. Cottini mi invita a parlare con chi voglio, nei vari settori in cui i dipendenti si alternano. A Fioreta, ventisettenne albanese, «piace tutto, indifferentemente». Idem Andres, ventiquattro anni originario dell’Ecuador (qui il 38 per cento della forza lavoro è composta da immigrati). Punto su un autoctono, più anziano, per un po’ di varietà. Niente, anche il quarantasettenne Roberto, ex imbianchino di queste parti, non chiede di meglio: «La paga è più sicura. Spero di restarci fino alla pensione». Parla di 1.450 euro lordi, salario da magazziniere semplice, che possono crescere seguendo i livelli del contratto nazionale di Confcommercio. A cui si aggiungono un po’ di benefit all’americana tipo palestra e acquafitness, congedo parentale anche per il padre e un’assicurazione sanitaria per spese dentistiche e oculistiche. È evidente che le dichiarazioni di amore aziendale scontano il fatto di essere rese a portata di orecchio di funzionari aziendali. Però, lungi dall’essere una pacchia, nei gironi infernali della precarietà italica ho visto davvero di molto peggio.
In breve: il magazziniere è un lavoro duro che non vorrei fare ma, nel gran catalogo dei lavori duri, preferirei farlo ad Amazon che nella vasta nebulosa della logistica che non ha nemmeno un’immagine da compromettere.
LO SCENEGGIATORE DI KEN LOACH: “LA REALTÀ È MOLTO PEGGIORE”
Per far familiarizzare l’opinione pubblica con le condizioni di lavoro dei corrieri che portano i pacchi di Amazon ha fatto di più un film – lo dico con nessuna soddisfazione – che mille articoli. Parlo del magnifico Sorry We Missed You di Ken Loach. Accusato di essere troppo estremo, una specie di tempesta perfetta di sfighe, il suo sceneggiatore storico Paul Laverty mi aveva risposto (qui l’intervista) che no, che con quello che era venuto fuori da tutte le testimonianze potevano fare un film dieci volte più cupo. Un estratto:
Differenze tra oggi e il capitalismo tradizionale?
«Oggi ognuno lavora da sé ma è come se fosse una fabbrica invisibile composta da centinaia di furgoni. Che distruggono il tessuto sociale e inquinano a più non posso. Tutto per rendere l’uomo più ricco del mondo ancora più ricco. William Blake metteva in guardia dalle “manette forgiate dalla mente”. Se riesci a convincere un lavoratore che in realtà è un imprenditore, trasferisci su di lui tutti i rischi. È un trucco geniale che, pur nell’era di Wikipedia, non è facile scorgere subito».
Torniamo alle critiche di aver esagerato con le cose che vanno storte.
«Ci dissero lo stesso proprio con Io, Daniel Blake e anche lì non mettemmo tutto quel che avevamo scoperto perché il pubblico non ci avrebbe creduto. Qui ho incontrato autisti che continuavano a guidare con un piede rotto. Oppure c’è il famoso caso di Don Lane, un corriere in là con gli anni, morto di diabete dopo aver saltato un certo numero di controlli perché aveva il terrore di chiedere un giorno di permesso. Ho incontrato un tipo la cui moglie stava morendo di cancro. Chiese al capo di fare un po’ meno turni per starle dietro e guardare i piccoli, ma questo gliene diede di più. Non perché fosse bastardo, ma perché il sistema funziona così. Mi creda, il personaggio del film rappresenta un caso intermedio, decisamente moderato».
NUOVO POTERE, VECCHIO POTERE
Giovanna Melandri, presidente del Maxxi, mi ha invitato a discutere con Jeremy Heimans, coautore di New Power (Einaudi), un libro che racconta come sono cambiate le nuove forme di organizzazione di istituzioni e aziende con l’avvento della rete. Per essere un libro sul nuovo usa metafore piuttosto vecchiotte, tipo quella frustissima sulle potenzialità democratizzatrici del web. Non ero d’accordo quasi su niente, a partire dalla sua passione per Airbnb.
IL CAVO CINESE E LA GUERRA FREDDA DEI DATI
Su Galapagos racconto di un nuovo cavo di fibra ottica che parte della Cina e arriva a Marsiglia con una capienza tale che potrà trasmettere 90 mila ore di Netflix al secondo. Si chiama Peace ma ha già scatenato una guerra per il predominio del trasporto dei dati.
DA LEGGERE: THE WAREHOUSE
In The Warehouse di Rob Hart (DeA Planeta) Cloud diventa l'unico negozio rimasto in un'America solo leggermente futuribile e perciò più subdolamente spaventosa. Il magazzino cui il titolo si riferisce è, con tutta evidenza, modellato su quello di Amazon. Dove vita e lavoro, all'interno delle MotherCloud, inquietanti usci-e-botteghe tecnologici che inverano il sogno benthamiano del panopticon, perdono definitivamente ogni confine. Grazie ai BandCloud, orologi che funzionano sia come passepartout per muoversi nel dormitorio-fabbrica che come braccialetti elettronici che inchiodano i dipendenti alle loro pressanti responsabilità. Il libro è consigliabile non tanto per la scrittura ma per la sua capacità di inchiodare lo spirito del tempo. Qui l’intervista e di seguito alcune frasi:
Compatisco l’uomo che vuole un cappotto talmente a buon mercato da far morire di fame colui o colei che produce la stoffa o la trasforma in indumento. Benjamin Harrison, presidente degli Stati Uniti d’America, 1891
La retribuzione è corrisposta in crediti. Un credito equivale all’incirca a un dollaro americano
Peccato che con i muratori sindacalizzati uno finisse per pagare il quadruplo rispetto ai prezzi di mercato, ottenendo una manodopera scadente. Chi ha il lavoro garantito non si impegna.
Oggi in Cloud è il Giorno dei Tagli. Succede appena quattro volte l’anno, eppure ogni volta scatena l’indignazione generale. La chiamano una pratica barbara.
(Hamburger dalla merda) «Ne estraiamo la proteina» disse l’uomo biascicando, come se biascicare potesse salvarlo. «I batteri producono proteina, noi la preleviamo e la trattiamo con ammoniaca per sterilizzarla. Poi viene ricostituita con grano, soia e barbabietole per la colorazione. Lo giuro, sono proteina a basso contenuto di grassi. Totalmente puliti».
DA VEDERE: NOMADLAND
In Nomadland di Chloé Zhao la straordinaria Frances McDormand interpreta una donna che, dopo la morte del marito e la chiusura dell’ultima grande azienda della sua città, inizia un pellegrinaggio in roulotte in cerca di lavoretti. Non è affatto l’unica a vivere su quattro ruote, nei parcheggi o in altri assembramenti di fortuna. La cosa incredibile ma vera è che, nella sua personale via crucis professionale, la stazione Amazon è una delle meno detestabili.
DA SENTIRE: LOST IN A SUPERMARKET
Altri tempi:
«I'm all lost in the supermarket
I can no longer shop happily
I came in here for that special offer
A guaranteed personality…»
Epilogo
Speravo di poter chiudere con i risultati di un’importante votazione a Bessemer, Alabama. Dove ha sede quel centro di smistamento Amazon che forse – un grosso forse – sarà il primo negli Stati uniti in cui potranno entrare i sindacati. Il voto si è concluso, nonostante l’ostruzionismo di esperti di relazioni antisindacali reclutati per 10 mila dollari al giorno dall’azienda, lunedì e a oggi non si conosce ancora il risultato. Tra i dettagli agghiaccianti delle condizioni di lavoro americane, che ancora alcuni giornalisti italiani confondono con quelle italiane (ci sono mille buoni motivi per criticare Amazon, è controproducente scegliere gli unici sbagliati), c’era quello, raccontato anche nel film di Ken Loach, di lavoratori costretti a far pipì nelle bottigliette per non perdere tempo. L’azienda, risentita, ha negato l’addebito. Vice ha pubblicato l’immagine qui sotto.