#117 La biblioteca più bella del mondo
1) Si trova a Barcellona e si merita il titolo 2) Super-bibliotecari newyorchesi 3) Khale, archivista del web 3) Wales, mister Wikipedia 4) due guide per l'ia
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Epilogo
Se un bambino che vive in una famiglia con poche risorse incontra una biblioteca, la sua vita può prendere tutta un’altra piega.
GABO SAREBBE FIERO DI QUESTO POSTO
Ero a Barcellona per un’altra storia quando questa biblioteca è stata premiata. Non potevo esimermi dall’andare a vederla. L’inizio del pezzo che trovate nel Venerdì in edicola:
BARCELLONA. Ci sono poltroncine di midollino, poltrone avvolgenti rosa e verde acido, sedie a dondolo, puf ecrù per terra su cui sedersi o anche appoggiarsi da sdraiati, un paio di sedute ovali di giunco appese al soffitto e anche un'amaca. Tutto si può dire meno che la biblioteca Gabriel García Márquez pretenda di insegnarvi come stare composti quando si legge. Una magnifica libertà che sicuramente non ha nuociuto nel farle conquistare il titolo di "migliore biblioteca pubblica del mondo", assegnato il 21 agosto a Rotterdam dall'International Federation of Library Associations and Institutions (Ifla). «La biblioteca è una meraviglia architettonica e funzionale che assomiglia a un castello di libri aperti e che serve da luogo d'incontro per i 240 mila residenti del quartiere» si legge nella motivazione. Si dà il caso che il vostro cronista fosse in città il giorno dell'annuncio ed è andato a verificare: tutto vero, e anche di più. La GGM è un posto così bello e accogliente che uno non solo vorrebbe starci dall'apertura alla chiusura (generalmente 9.30-20.30) ma se fosse possibile prenderci la residenza. Una tentazione che non dev'essere sfuggita a SUMA Arquitectura che l'ha progettata dal momento che, al piano interrato c'è anche uno spazio cucina con frigo e microonde per il cibo degli utenti che non ne vogliono sapere di abbandonare una scrivania faticosamente conquistata. Tanto più dopo la vittoria, l'unico rischio che questo posto straordinario corre è di finire sopraffatto dal suo stesso successo. Ma questa è l'ora dei festeggiamenti, non delle preoccupazioni.
Il giorno dopo la premiazione il circo mediatico spagnolo è presente. Terminata la conferenza stampa Ferran Burguillos, il responsabile delle 40 biblioteche pubbliche cittadine (Roma ne ha 45, ma con una popolazione doppia e una superficie di 12 volte superiore), barba sale e pepe, orecchino, fisico attoriale, elenca i punti forti: «È il primo edificio pubblico tutto costruito in legno, per ridurre l'impronta della CO2 e sin dall'inizio dei lavori nel 2015 abbiamo puntato sull'impatto culturale e formativo – oltre ai libri, presentazioni, concerti, uno studio radiofonico – per il quartiere». Parla di Sant Martì, a un quarto d'ora di metro dal Passeig De Gracia, forse uno degli ultimi quartieri centrali a non essere stato ancora gentrificato come dimostra il bar gestito da cinesi, rara opzione aperta per un bocadillo a pranzo. L'altra parola chiave è "flessibilità": «A partire dalla planimetria qui ogni persona può trovare il suo spazio ideale per leggere o studiare». La visita guidata la conduce l'appassionato Sergi Rodríguez, bibliotecario che ha studiato italiano a Modena e che, con una scioltezza inimmaginabile alle nostre più compassate latitudini, con la targa in mano ha posato in bermuda davanti agli obiettivi dei fotografi. Partiamo dal piano meno uno dove, oltre la cucina pronta ma in attesa di inaugurazione, c'è una gran sala insonorizzata per le presentazioni e i concerti oltre allo studio di registrazione di Radìo Maconda, aperto a scuole e cittadinanza.
I BIBLIOTECARI NEWYORCHESI SONO GOOGLE UMANI
Questo era un pezzo che avevo iniziato e non ha mai visto la luce. Peccato:
NEW YORK. Ci sono cose che non si riescono a trovare. Per tutto il resto chiedete ai bibliotecari di New York. Che siate di Carugate o di Molfetta per loro fa lo stesso: a patto che rivolgiate i vostri interrogativi in inglese, non vi discrimineranno. Ventiquattr'ore al giorno, 365 giorni l'anno, dall'Afghanistan allo Zaire, risposte per tutti. Il primo vero servizio pubblico globale. Domande tipo che? «È efficace l'educazione sessuale basata solo sull'astinenza negli Usa?». «Per quanto tempo, durante il corso di una partita di football, la palla è in movimento?». «È vero che nell'antica Roma gli animali erano trascinati per terra prima di essere sacrificati». Salute, sport e storia. Ma anche letteratura, turismo, vita vissuta. Una squadriglia di sapienti, il pronto intervento dell'erudizione, capace di tirar fuori in pochi minuti l'ago smarrito nel proverbiale pagliaio della conoscenza.
In principio, 1968, fu il «telref», telephone reference. Si chiamava un numero telefonico, in orario d'ufficio, e rispondeva un bibliotecario. Da quest'estate il rinnovato Ask a Librarian è diventato anche via chat ed email, no stop e internazionale. Dalle 9 alle 6 rispondono i newyorchesi, poi il testimone lo prendono bibliotecari in altre zone orarie, negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Per non lasciare nessuna curiosità disattesa. Harriet Shalat ne ha conosciuto tutta l'evoluzione e oggi guida l'unità: «La quota di telefonate è in diminuzione ormai da 10 anni. Ricevevamo una media di 60 chiamate all'ora. Poi è arrivato Google e sono scese a 20. Salvo poi ricrescere negli ultimi tempi». Al tempo della dittatura dei risponditori automatici la gente rivaluta l'interazion con un essere umano. Nel 2007 sono state oltre 42 mila contro 11 mila email e 7300 chat. Le telefonate dovrebbero concludersi entro 5 minuti ma se sentono che insistendo possono arrivare alla soluzione i bibliotecari sforano volentieri, con l'utente in linea. Le chat, in cui l'esperto può anche suggerire pagine web all'utente, dovrebbero concludersi in media in un quarto d'ora.
L’ARCHIVISTA DEL WEB
Della serie “quelli che fanno i soldi con la tecnologia e poi restituiscono sul serio”. L’attacco:
SAN FRANCISCO. L'aspettativa di vita di una pagina web è di cento giorni. Poco più di una stagione e poi rischi di non trovarla più, giura chi compila queste statistiche. Chi l'ha creata può averla cancellata o, più semplicemente, averle cambiato posto. Il risultato non cambia: Error 404, page not found che è come il sito che avrebbe dovuto ospitarla si scusa per il disagio. Si diceva una volta: internet è per sempre, una volta che c'hai scritto qualcosa ci resta. Soprattutto certe figuracce epiche. In realtà dipende. Perché la memoria della rete, per dirla in romanesco, po' esse piuma e po' esse fero. Graziarti con l'oblio o inchiodarti al ricordo perenne. Brewster Kahle, l'uomo con la prima camicia impossibile di questa storia (con mandala stilizzati verde bottiglia, verde salvia, nero e blu navy) che si è tolto le scarpe e siede comodamente davanti a me, è quello che da oltre vent'anni fa di tutto perché sia sempre fero. Per una convinzione civica per cui chi dimentica la storia è condannato a ripeterla. All'inizio il suo Internet Archive voleva archiviare solo il web, poi l'ambizione è cresciuta in maniera vertiginosa e oggi, candidamente, la missione è «fornire accesso universale a tutta la conoscenza».
Magniloquenza a parte, in pratica cosa significa? A ieri, ma sono numeri che crescono di giorno in giorno, parliamo di 330 miliardi di pagine web salvate, oltre 20 milioni tra libri e testi vari, 4,5 milioni di audio (compresi 180 mila concerti dal vivo), 4 milioni di video (inclusi 1,6 milioni di programmi televisivi, 3 milioni di immagini, 300 mila programmi software. Tutta roba a cui si può aver accesso, gratuitamente, da ogni parte del mondo, registrandosi all'indirizzo archive.org. C'è n'è più che abbastanza per andarne fieri. In confronto la mitica biblioteca del congresso di Washington, con i suoi 150 mila titoli in prestito digitale, fa la figura di una micragnosa emeroteca di quartiere. Ma intanto capiamo chi è questo privato che, tendenzialmente di tasca sua, ha messo su un servizio pubblico planetario. Newyorchese cinquantottenne, dopo la laurea in informatica al M.I.T., si inventa prima il Wais, un protocollo per pubblicare online e poi Alexa (da Alessandria d'Egitto, in ossequio alla preesistente ossessione bibliofila), un software che in automatico valutava se un sito era attendibile, famoso e quanto. Vende Wais ad America OnLine per 15 milioni di dollari e Alexa ad Amazon, che poi mutuerà il nome per battezzare la sua intelligenza artificiale, per 250. L'uno-due lo emancipa definitivamente dal bisogno che è ancora trentenne e a quel punto decide di sdebitarsi con la società. Come? Lavorando a correggere una distrazione di Tim Berners-Lee, il fisico del Cern che ha dato i natali al web, architettura straordinariamente elegante ma che non prevedeva di tener traccia delle varie versioni delle pagine pubblicate. Il nuovo cancellava il vecchio e tanti saluti. «Wikipedia, ad esempio, non si comporta così» dice nel suo ufficio a pretenziosità zero, così lontano dall'estetica finto-casuale ma ormai standard della vicina Silicon Valley, «e puoi sempre risalire alle versioni precedenti, per vedere tutti i cambiamenti che sono stati fatti e non perderti niente». Sembrerebbe una vicenda tecnica, da smanettoni incalliti, ma le conseguenze hanno ricadute che tutti possiamo apprezzare. Sappiamo che un separatista ucraino di nome Strelkov ha reclamato su VKontacte, un social media russo, la paternità dell'abbattimento di un aereo poco dopo lo schianto del Boeing 777 della Malaysian Airline e la morte di tutti i suoi 290 passeggeri. Lo sappiamo solo perché, nonostante che Strelkov avesse rapidamente cancellato l'annuncio, questo era stato salvato dalla Wayback Machine, l'applicazione più celebre dell'Archivio, quella che a intervalli regolari setaccia a strascico la rete e fa copie di un miliardo di pagine alla settimana.
MISTER WIKIPEDIA
Parecchi anni fa ho intervistato il benemerito fondatore di Wikipedia. L’incipit:
New York. Wikipedia resta un mistero. Un mistero avvolto in un enigma, parafrasando la voce su Winston Churchill. Un fatto inspiegabile, come da rimando alla definizione di «pseudoscienza». Qualcosa a cui si crede quia absurdum, come dovrebbe essere scritto (volontari, fatevi avanti!) nell’abbozzo sul «mistero della fede». Centinaia di articoli. Spiegazioni su spiegazioni. Ascendenze teoriche alte, dall’«intelligenza collettiva» alla «logica a sciame». Neologismi su misura, tipo crowdsourcing. Ma l’arcano di come un’enciclopedia alla quale contribuiscono gratis e indifferentemente il bambino a stento alfabetizzato e lo specialista postdottorato possa esistere, crescere e diventare in pochi anni il principale strumento di consultazione del mondo resta. Neppure l’interpretazione autentica del suo co-fondatore, Jimmy «Jimbo» Wales, riesce a scalfirlo. «Non mi importa che l’autore sia un ragazzino del liceo o un prof di Harvard» dice, tra le boiserie senza tempo del Bowery Hotel di New York, dove il camino è acceso come fossimo nell’inverno scozzese quando fuori fanno venticinque gradi e le newyorchesi hanno reagito all’antipasto estivo togliendosi tutto il toglibile, «basta che ciò che scrivono sia giusto».
Lui non fa eccezione. Al mistero è consustanziale. Ex trader di futures alla borsa di Chicago, dopo aver fatto un po’ di soldi salta sull’onda internettiana alla fine degli anni ‘90. La cavalca con Bomis, un portale porno soft (minimizza, «qualche foto erotica») per poi tornare alle radici familiari (sua madre e sua nonna gestivano una scuola privata liberamente ispirata al metodo Montessori) e puntare sulla conoscenza online. «Da piccolo, in Alabama, ero fissato con il World Book» racconta «e mi ricordo di quando lo aggiornavo con le pagine adesive che arrivavano ogni anno. Buffo che poi sia finito qui». Nel 2000 lancia Nupedia e con i soldi che ricava dal motore di ricerca di donne nude paga lo stipendio al laureato in filosofia Larry Sanger, che deve coordinare il progetto e far valutare le voci secondo il criterio scientifico della peer-review. Dopo un anno lo sforzo elefantiaco partorisce il topolino di 21 articoli. Sanger propone di adottare un software aperto e rapido (wiki, in hawaiano), in cui ognuno possa creare senza difficoltà né controlli preventivi qualsiasi voce. È il 15 gennaio 2001 e alla fine dell’anno Wikipedia ne conta oltre 21 mila. Nel frattempo i due soci si perdono, si racconta che Wales l’abbia cancellato dalla sua biografia online per poi ripristinarlo una volta scoperto. Rogers Cadenhead, un giornalista canadese, giura che avrebbe ritoccato ben 18 volte la propria biografia (la politesse wikipediana prevede che il biografato non ci metta mano). «Non ricordo, posso aver modificato qualcosa ma niente di sostanziale» liquida.
DUE GUIDE ALL’IA
L’ultima Galapagos:
Ogni giorno, sull'intelligenza artificiale, si scrive tutto e il contrario di tutto. Già il tema è complesso. La cacofonia mediatica fa il resto. Non è una sensazione solo mia, tanto che due diverse newsletter sono nate con lo scopo di semplificare la vita al povero lettore, potenzialmente interessato. Parlo di Ai Tool Report e The Deep View, entrambe con sede a New York. La prima, fondata e gestita da Martin Crowley e Arturo Ferreira, vanta circa 400 mila abbonati. Offre un paio di pezzi su tendenze che ritiene particolarmente rilevanti. Tipo il fatto che Ms e OpenAI sono e restano avanti a Google. Più il lancio di Ryse, un promettente apparecchio per tirare su le tapparelle che paragonano a Ring di Amazon o Nest di Google, rispettivamente campanello e termostato (poi diventato pannello di controllo domotico) intelligenti. Poi selezionano cinque app che starebbero sfruttando bene le potenzialità dell'ia. Propongono un prompt utile e un comando per Midjourney e simili. Segue breve rassegna stampa di articoli altrui. The Deep View di abbonati ne dichiara 130 mila. La struttura è analoga, ma con un'offerta più nutrita. Dalla recensione di un'app per migliorare i video con l'ia al video di una tipa, già Meta e Harvard, che vi insegna come affinare i vostri talenti manageriali con l'ia. Un pezzo su come Youtube sta usando l'ia per aggiungere contenuti visuali alla musica che ospita. Un giochino per distinguere immagini reali e false (di solito la maggioranza ci riesce, ma di poco). Segue rassegna stampa. E suggerimenti di app e siti, tra cui OneClickHuman che a quanto pare è un asso nell'umanizzare i testi prodotti dall'ia generativa, rendendoli più leggibili, meglio strutturati e purgandoli di eventuali errori di grammatica. Non so come stiano in piedi, dal momento che sono gratuiti (con sponsorizzazioni), ma pro quota contribuiscono a ridurre l'entropia nel fantastico mondo dell'ia.