#113 Altre 12 cose da non perdere (o da evitare)/3
Serie, film, libri, musei e riviste: una lista di consigli
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1. WOODY IN ASSENZA DI GRAVITÀ
Ci sono i traslocatori, vil razza dannata, «burberi bovini sindacalizzati, molto professionali nello scheggiare, spezzare o mutilare qualunque suppellettile di valore superiore ai sei dollari». Ci sono gli agenti immobiliari, generalmente indigesti a ogni latitudine, qui due arpie che si distinguono per avere una «la pinna dorsale più grande, affilandosi la terza fila di denti con una lima del Brico». C'è la giovane e sinuosa giornalista che deve intervistare una giga-star di Hollywood, premio Zsa-zsa gabor per la stabilità sentimentale, e ha «mandato giù due Valium per placare le farfalle Monarca e le falene che usavano il mio stomaco per le loro evoluzioni». C'è la cosmogonia alleniana al completo in Zero Gravity (La nave di Teseo). Woody l'ha suonata ancora, forse anche una volta di troppo, ma non si vorrebbe mai smettere di ascoltarlo.
Ottimo.
2. ALCARRAS, TRA L’AMBIENTE E LA VITA
Là dove c'erano i peschi ora sorgeranno i pannelli solari. Ma Quimet e la sua famiglia non ci stanno. Il patriarca dei Solé aveva ottenuto dal proprietario Pinyol il diritto di coltivarle come premio per avergli salvato la vita in tempo di guerra, ma ora il figlio del latifondista se ne frega. "Vi assumo per la manutenzione dei pannelli" propone, "guadagnerete meglio". Ma loro hanno un'identità, non gli basta un lavoro. Intanto la grande distribuzione abbassa i prezzi delle pesche. E tutti gli altri proprietari terrieri vendono all'industria fotovoltaica, più redditizia. L'assedio si stringe e la famiglia scricchiola. Una sorella accetta l'offerta di riconversione. Neppure i cugini possono giocare più insieme. Spicca, per volto e statura morale, il vecchio Rogelio. Alcarràs è il titolo (e il paese dove si svolge la storia) del film di Carla Simón, solo un po' troppo lungo. Loach in Catalogna, Orso d'oro a Berlino
Ottimo.
3. VOLTI DI KIEV
Cittadini di Kiev. Ecco i fidanzati Maksym e Liubov che dopo le prime bombe si sono trasferiti in una stazione di metropolitana. O Natalia, che fa la volontaria in una cucina da campo. O Roman, che gestiva una palestra di arti marziali e si è arruolato il giorno in cui i tank russi hanno varcato il confine. Sono alcuni dei volti, e delle storie, che il fotografo ucraino Alexander Chekmenev ha raccontato sul New York Times Magazine e, dal vivo, racconterà sabato sera sul palco del festival di fotografia Cortona on the Move. Dove sarà anche esposta la sua mostra Passport realizzata nel 1994 quando, all'indomani della dissoluzione dell'Urss, accettò di andare a scattare fototessere nelle case degli ucraini che dovevano cambiare i loro vecchi passaporti. Due prospettive intime, ed uniche, sul popolo di cui tutti parlano.
Ottimo.
4. ANCHE GOSLING CANNA I FILM
Cosa si può chiedere di meglio, in queste arroventate serate domestiche a concentrazione zero, di un bel killerone che prova a sfuggire a un esercito di sicari che lo insegue per mezzo mondo? In The Gray Man Sierra Six (Ryan Gosling) è un agente della Cia che per una volta fa di testa sua. Un superiore vendicativo non apprezza e ordina di riacciuffarlo a tutti i costi. Seguono sparatorie, battaglie in un aereo che si squarcia in volo, di tutto. Tipo The Bourne Ultimatum, ma con scazzottate verosimili come in Lo chiamavano Trinità. Un torturatore così caricaturale non s'era mai visto. Peccato anche per il reclutatore buono, il grande Billy Bob-Thornton, che riesce a far dimenticare l'epica di Goliath. Su Rotten Tomatoes la critica lo massacra, il pubblico no. Consigliatissimo nella classifica di Netflix dove, a quanto pare, ha fatto segnare nuovi record.
Potemkin
5. TECNOLUDDISMO, ANCHE MENO
Sostiene Gavin Mueller di voler trasformare, col suo Tecnoluddismo (Nero, pag. 170, e. 20), i marxisti in luddisti e i luddisti in marxisti. Vasto programma. Argomenta bene, con ampio excursus, come «la tecnologia riduce l’autonomia dei lavoratori, la loro capacità di organizzarsi per combattere il proprio sfruttamento. Priva le persone della sensazione di poter controllare le proprie vite, di poter stabilire le regole del proprio mondo». In un dibattito in cui anche i più intransigenti tecnoscettici mettono subito in chiaro di «non essere mica luddisti» gli va riconosciuto un discreto coraggio. Per lui il sabotaggio è una specie di autodifesa o, con Hobsbawm, una forma spinta di contrattazione sindacale. La parte in cui non mi convince per niente è quella in cui inneggia al copyleft, a Napster e via liberando. Il suo libro ha un prezzo di copertina. Senza solo i ricchi di famiglia potrebbero continuare a scrivere.
Buono.
6. AMERICA, ISTRUZIONI PER L’USO
C'è quella che si dichiara foodie di mestiere, ma campa affittando casa. Quelli che, credendo di averlo fatto solo loro, hanno ribattezzato New York style dining il cenare fuori sui tavolini, causa Covid. C'è un sacco di gente che believes to be the shit, si crede 'sto cazzo, in What's Up America (People, p. 120, e.15). Sono gli americani, il popolo più sicuro di sé sulla faccia della Terra, raccontati molto bene da Anna Bressanin, veneziana che ha fatto fortuna alla Bbc e vive a Brooklyn ma non si arrende ancora completamente a questo «profiterole di fiducia o boria» che è la vita oltreoceano. Vissuta con l'incrollabile convinzione che tutto sia migliorabile, dal sesso (440 dollari a seduta con una maestra di tantra) alle droghe fino allo yoga come sport estremo. Fin quando non la convocano all'intervista per la green card, per diventare cittadina, e vacilla davanti alla domanda se sarà pronta a imbracciare le armi per difendere la nazione.
Ottimo.
7. NESSUNO RACCONTA LA FAMIGLIA COME KORE’EDA
C'è una giovane donna che abbandona un figlio in una specie di ruota degli esposti e poco dopo ci ripensa. Nell'istituto filantropico però c'è chi fa il doppio gioco e ha già preso il bambino per rivenderlo a chi non riesce ad avere figli. La donna lo scopre e, per motivi che scoprirete vedendo il bellissimo Le buone stelle. Broker di Hirokazu Kore'eda, si accoda al duo di gatto&volpe per piazzare il neonato al miglior offerente. Però, tra una tappa e l'altra del viaggio in furgone, i cinici si sciolgono, la mamma pentita si pente del pentimento e i carapace di tutti i personaggi perdono pezzi su pezzi. Il regista giapponese, campione mondiale di racconto delle dinamiche familiari, soprattutto di famiglie a geometria variabile, merita l'iconcina "capolavoro" per il suo opus (su tutti Father and son, Little sister, Un affare di famiglia) e quella "ottima" per quest'ultima pellicola.
Ottimo.
8. UBER DIVENTA SERIE
La scena clou è quella della festa aziendale. Dopo una notte di baccanali al cui confronto un rave sembra una seduta di meditazione, con bidoni che sfondano finestre e vanno a finire nella piscina e furgoni dove si balla la pole dance che si schiantano contro i pali della luce al fondatore di Uber Travis Kalanick presentano una lista di danni per 25 milioni di dollari che quello firma senza battere ciglio. «Bisogna farli un po' sfogare, vedrete dopo che balzo di produttività ci sarà» dice, più o meno. Ora la domanda è: com'è possibile che tante aziende tecnologiche siano gestite da uomini con l'età mentale di un liceale con turbe? Il pensiero, ovviamente, corre a Musk e alle sue ultime sceneggiate. Ma la lista è lunga. Super Pumped (su Paramount+) è la saga «super pompata» della startup che voleva cambiare la mobilità nel mondo e che, nel percorso, ha lasciato a terra il suo indifendibile papà.
Ottimo.
9. NUOVI COWBOY DEL MONTANA
C'è il patriarca (Kevin Kostner) che marchia a fuoco il figlio che ha sbagliato come le mucche del suo enorme ranch Yellowstone (da cui il titolo, su NowTv). C'è la figlia alcolizzata che ha avuto un ruolo nella morte della madre. Il figlio aspirante procuratore che non riesce a emanciparsi. Un altro che muore anzitempo. E poi gli indiani della riserva che vorrebbero mettere le mani sul ranch e finalmente vendicarsi di tanti soprusi subiti da quel temibile padrino del Montana che John Dutton è diventato. C'è un piccolo problema? Una pistola lo risolverà. Un problema più grande? Serve il fucile. La violenza è l'unica lingua parlata. Anche troppa, però. Alla fine uno sogna la Svizzera.
Buono.
10. QUANDO L’ITALIA DIVENTA CARICATURA
La seconda stagione di The White Lotus fa venire in mente la citazione marxiana stra-abusata sulla prima volta della storia come tragedia e la seconda come farsa. Nella prima stagione infatti lo spunto del resort per ultraricchi come allegoria delle mostruose disuguaglianze economiche funzionava. Nella seconda sprofonda in caricatura, potenziata dall'ambientazione in una Sicilia dove le donne sono tutte zoccole per spennare i ricchi americani e gli uomini una tacca sotto Il merlo maschio del compianto Lando Buzzanca che a stento si tengono quando vedono passare una bella straniera (l'ipotesi benevola della citazione della celebre foto di Ruth Orkin non cambia le cose). Com'è che nessuno, del nuovo governo patriottico, si è lamentato della figura barbina che ci fanno fare? La regola tragedia/farsa sembra tristemente applicarsi anche al regista Ruben Östlund. Il precedente The square era una critica cruda, semplificando, sulle apparenze sociali. L'attuale Triangle of sadness si propone come satira sulle disuguaglianze ma, a forza di gente che vomita sul cesso come nella peggiore Animal house, passa l'appetito per andare avanti.
Potemkin
11. L’INNOVATORE BATTISTI MERITAVA UN DOC MENO STANDARD
È giustamente tempo di battisteidi, intese come celebrazioni per gli ottant'anni che l'immenso musicista avrebbe compiuto quest'anno, alle quali anche il Venerdì partecipa. Così Netflix ripropone "Io tu noi, Lucio", un corposo documentario di Giorgio Verdelli su vita e opere dell'artista. Lo spettatore simpatizzante ma non specialista apprende che: 1) la collaborazione con Mogol, sebbene l'interessato continui a dire «mai uno screzio», avvenne per soldi (Battisti non voleva fare a metà dei diritti); 2) che la famosa copertina di Il mio canto libero, con le «braccia tese» che ha cementato la leggenda del suo presunto "fascismo", è stata pensata da un grafico sessantottino. Splendidi, manco a dirlo, i video d'archivio. Per il resto interviste su interviste su interviste. Alcune significative (come ai Formula 3 che suonarono con lui), altre sinceramente sacrificabili come a Carlo Verdone, musicologo nazionale di complemento. Perché, maledizione, non possiamo avere anche noi un The Beatles: Get Back dove a parlare siano gli artisti e non le solite talking heads? O almeno un taglio meno standard, come quello di Pietro Marcello su Dalla.
Così così.
12. UN ALFABETO POLITICO
«Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto» dice Philip Roth in Operazione Shylock. Premessa perfetta per aprire quell'"oggetto editoriale non identificato" che è Dalla catastrofe alla speranza. Un alfabeto politico della vita offesa (Antonio Mandese Editore, pp. 160, 18 euro) di Alfonso Musci. Più taccuino di appunti di tante, ben digerite letture che libro in senso stretto dove «il lettore potrà muoversi a piacere e bracconare in qualunque direzione» come ammette lo stesso autore, normalista, studioso di Croce, un pezzo di vita dietro le quinte della politica attiva. Da Harvey a Pomeranz, dai francofortesi all'irresistibile avanzata cinese, dal terremoto di Lisbona «che guarì Voltaire dalla teodicea di Leibniz», fino al dilemma di Gramsci (le ignare persone prima del naufragio e i naufraghi sono le stesse persone?). Un florilegio di sollecitazioni intellettuali che non smettono di germogliare anche una volta messo giù il volumetto. Per spingere il lettore verso il traguardo asintotico, ma non per questo meno importante da inseguire, del Selbstdenken, il pensare autonomamente senza bisogno delle stampelle dell'autorità.
Tra buono e ottimo.