#110 Migranti, emergenza perenne
A chi conviene non risolvere la questione degli sbarchi?; quelli che muoiono sotto la tutela dello Stato; ma c'è anche l'accoglienza virtuosa modello Trieste; Airbnb perde colpi?
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LA “MIGRAMORFOSI” INCOMPIUTA
Nonostante la voce grossa e le promesse elettorali, erano anni che sulle nostre coste non sbarcavano così tanti emigrati. Un libro in uscita, scritto dal direttore del fieri Ferruccio Pastore, uno si occupa del tema da una vita, prova a spiegare perché la transizione a una società multietnica è largamente incompiuta. Un estratto:
Eppure, lei scrive, all'inizio gli italiani erano ben disposti e accoglievano anche più degli altri Paesi. Poi cos'è successo?
«Ora sembra difficile crederci ma, nel primo decennio del secolo, l’Italia è stata tra i Paesi con il saldo migratorio più alto al mondo. Ancora nel 2001 la Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati aveva previsto 3,5 milioni di residenti stranieri per il 2017. Che, lo stesso anno, hanno superato i 5 milioni, l’8,3 per cento del totale. Ciò rispondeva a necessità economiche, geopolitiche, demografiche ma poi ci siamo impantanati in diatribe ideologiche ed è diventato impossibile parlarne seriamente. Tipo rimarcare che, sebbene siano accusati di prendere dallo Stato di più di quel che danno, è vero il contrario. E in assenza di inversione del calo della natalità e con la scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro ne avremo sempre più bisogno».A chi conviene perpetuare le emergenze invece di risolvere la questione?
«A destra l'immigrazione è una carta da giocare per aumentare il consenso a breve. Ma già nell'ultimo anno sia il discorso che la prassi del governo Meloni sono dovuti cambiare. Siamo passati dal "blocco navale" al Piano Mattei, ovvero il tentativo di sostanziare la vaga formula dell'"aiutiamoli a casa loro". E non è l'unico testacoda: c'è stato un inatteso cambio di passo sugli ingressi legali, tornando alla programmazione triennale e indicando la cifra, significativa, di mezzo milione di persone. Gli esperti segnalano che nel 2050 il rapporto tra persone in età lavorativa e non passerà dall'attuale tre a due a uno a uno. Ciascuno dovrà produrre per sé e per un pensionato. Se volessimo mantenere il rapporto ai livelli odierni di immigrati dovremmo farne entrare 450 all'anno, il triplo della quota Meloni, ma ciò porterebbe il loro numero a 17 milioni, poco meno di un terzo dell'intera popolazione!».
IN MORTE DI MOUSSA BALDE
Talvolta, anche quando riescono ad arrivare sani e salvi, gli immigrati muoiono nei luoghi dove dovrebbero stare sotto la nostra custodia. Tipo i Cpr. Tipo a Torino. Come in questo drammatico caso, di cui ripropongo l’attacco:
Torino. Mamadou Moussa Baldé viene selvaggiamente aggredito da tre italiani a Ventimiglia il 9 maggio. Non ha i documenti in regola e l’indomani lo trasferiscono nel Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Torino. Ne uscirà tredici giorni dopo senza vita per essersi impiccato con un lenzuolo nella cella di isolamento dove l’avevano trasferito per proteggere gli altri “trattenuti” da una psoriasi scambiata per scabbia. Arrivato in Italia nell’ottobre del 2016 era nato in Guinea, ventitré anni prima. Questa le versione stringatissima dei fatti. In un video su Sanremo News di un paio di anni fa si vede un bel ragazzo snello che dice che la pasta gli piace molto, la pizza no, è un calciatore e tifoso della Roma, musulmano, e il suo progetto è «studiare per trovare un buon lavoro e vivere bene». Dice anche di essere scappato dal suo Paese per problemi politici e che è contento di stare da noi perché ha finalmente avuto un «assaggio di come la vita può essere bella». Purtroppo le portate successive si riveleranno non all’altezza di quelle speranze. La sua è la storia di una metamorfosi rapidissima e incomprensibile: da vittima a colpevole a morto, in una struttura dello Stato, il tutto nell’arco di due settimane.
Il racconto del fratello
Il caso nasce da un video tremendo in cui tre uomini si avventano, colpendolo alla testa con un portacenere a colonna e un altro oggetto cilindrico, su Moussa che continuano a prendere a calci una volta a terra. Sono 42 secondi di violenza in purezza. I tre, identificati in meno di un giorno e ora indagati a piede libero per lesioni aggravate, sono Ignazio Amato, 28 anni, di Palmi, Francesco Cipri, 39 anni, e Giuseppe Martinello, 44 anni, entrambi originari della provincia di Agrigento. Uno di loro ha dichiarato che il pestaggio era nato dal tentativo di furto di un cellulare. Moussa al suo avvocato Gianluca Vitale ha negato, dicendo che stava chiedendo l’elemosina davanti a un supermercato, e l’assalto sarebbe stato del tutto immotivato. Inutile dire che, ai fini della reazione barbarica, cambia poco, ma cerchiamo di capire che tipo era Moussa.
ACCOGLIENZA, MODELLO TRIESTE
Qualche anano fa, sull’onda di Mafia capitale che aveva trovato il modo di lucrare anche sull’accoglienza ai migranti, mi avevano mandato a Trieste per capire come funzionava quel modello virtuoso. L’incipit:
Trieste. L’economia domestica dei rifugiati è un’arte. Con gli stessi soldi c’è chi riesce a ospitarli, come nel capoluogo friulano, in un tre stelle in pieno centro o in un bed and breakfast vista mare che in estate i turisti si contendono. Oppure, come nel caso romano di un posto noto come hotel Rebibbia, in un palazzaccio lontano da tutto tranne che dal carcere omonimo, dove in pieno inverno l’acqua calda e il riscaldamento «non funzionano» e in cui tutte le prese elettriche tranne una sono state disabilitate per tenere al minimo i consumi di quegli esosi di rifugiati che ogni tanto vorrebbero caricare il cellulare. Generalmente chi sta peggio costa anche di più. Il differenziale deve avere a che fare con l’ormai celebre massima di Salvatore Buzzi, capo di cooperative sociali rosse in affari con i neri nell’orrido plot di Mafia Capitale: «Con gli immigrati si fanno molti più soldi che con la droga». Che sia un’iperbole (il prezzo della cocaina, dal produttore al consumatore, lievita di oltre dieci volte) o una valutazione ragionieristica che sfuggiva al grande pubblico, vale la pena di capire come la solidarietà possa diventare un business. E su quali voci è possibile rubare. A danno degli stranieri assistiti e dei contribuenti autoctoni.
La cifra totem è 35 euro. I soldi che, stando alla disinformazione incendiaria che circola nelle periferie arrabbiate, andrebbero ogni giorno in tasca agli immigrati. In verità si tratta dello stanziamento che il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) ha previsto. «Il 99 per cento di questa somma» spiega Laura Famulari, nella sua stanza di assessore al sociale del comune di Trieste, «resta nell’economia locale». Sul tavolo ha una relazione aggiornata che dettaglia la destinazione media del denaro pubblico: 13,50 euro per l’alloggio (dai 4 negli appartamenti ai 19 negli alberghi, l’ultima spiaggia), 8,50 per il vitto, 9,50 per il personale, 1 per la pulizia e infine 2,50, la vera diaria per piccole spese. L’idea di lucrare sui disperati appare esotica: «Noi scongiuravamo che non ci mandassero troppe persone da Mare Nostrum perché ne avevamo già troppe». Mentre Luca Odevaine, altro imputato in Mafia Capitale, chiede di spedirne a Roma dieci volte di più, da 250 a 2500. Generoso, con gli amici.
AIRBNB NON È PIÙ QUELLA DI UNA VOLTA?
A proposito un altro tipo di accoglienza, l’ultima Galapagos:
Intanto hanno inventato la parola: Airbnbust, lo scoppio di Airbnb. Più sgonfiamento, in realtà. E su Reddit c'è un sottocanale dove gli host statunitensi della piattaforma si incontrano per lagnarsi di come stanno andando gli affari con titoli tipo "Airbnb è entrata in una spirale della morte?". La risposta, a rischio di spoiler, è: no. Versante azienda le cose continuano ad andare benone, sia quanto a valore delle azioni (+50 per cento quest'anno) che quanto a numero di stanze offerte, che hanno superato i 7 milioni nel mondo. Ma è proprio in questa sovrabbondanza di offerta che sta il seme della crisi, versante host, ovvero quelli che provano a mettere a reddito la loro abitazione. La dinamica, che Bloomberg ricostruisce bene, è che molti americani durante il Covid avevano abbandonato le città. Alcuni, con l'occasione, avevano comprato seconde case. Che, una volta tornati nelle proprie abitazioni, hanno messo sulla piattaforma. L'aumento di offerta, in certe località è anche molto significativa (+85% San Antonio, +73% Phoenix e Dallas), ha finito per abbassare i prezzi. Così quando Mark e Joan Robertson, per fuggire dal freddo del Minnesota, hanno investito i loro risparmi in una seconda casa a Orlando, in Florida, convinti che il fatto di trovarsi a 10 minuti da Disney World la rendesse appetibilissima dai turisti di tutto il mondo, si son dovuti ricredere. Quest'estate è stata particolarmente moscia («Sembrava che saremmo stati sempre pieni, che avremmo fatto 5/10 mila dollari al mese mentre il massimo che abbiamo fatto sono stati 3500, certi mesi 1000», tenendo presente che il tenore di vita degli americani è decisamente più alto del nostro). Questo è solo un aneddoto, ma in generale i prezzi che gli host riescono a farsi pagare, forse per la prima volta da quando Airbnb esiste, sono scesi dell'1 per cento rispetto all'anno scorso. Poco per predire una fine. Sufficiente, forse, per l'inizio di una svolta.