#109 Vacanze da (genitori) single
Un weekend da Gengle; l'industria della consulenza di coppia in America; terapeuti italiani crescono;
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UNA SEPARAZIONE È PER SEMPRE?
Ho passato un fine settimana insieme a un’associazione di genitori single. E ho imparato che, nel 2023, un po’ di stigma nel separarsi resta. L’incipit del pezzo in edicola:
Castellina in Chianti (Siena). Alla fine, stringi stringi, un titolo potrebbe essere: una separazione è per sempre. Nell’estate del 2023, quando i progressi sulla fusione dell’atomo sembrano anticipare un futuro di energia sconfinata, non siamo ancora riusciti a metabolizzare la fissione della coppia. Sono entrato al raduno nazionale dei Gengle, gruppo di genitori-single, convinto che la qualifica non scandalizzasse più nessuno. Ne sono uscito due giorni dopo ricreduto: non è affatto the new normal. Forse in Svezia, dove i single sono maggioranza. Ma non nell’Italia che, nonostante l’esempio emancipatore di Michela Murgia, a quanto pare resta una repubblica fondata sulla famiglia tradizionale.
Un’amica che ha fatto una figlia da sola, e non è neanche l’unica che frequento – per dire che il mio punto di vista può non essere rappresentativo della media nazionale – mi ha avvertito dell’evento. Trentacinque partecipanti, di cui venti genitori e quindici figli, che hanno risposto all’appello di Giuditta Pasotto, l’appassionata fondatrice di questa comunità, a ritrovarsi due giorni in un bell’agriturismo con piscina nel cuore del Chianti. Dove, a una tariffa democraticissima (125 euro, a mezza pensione) nell’estate dei rincari assassini, le sedici mamme e quattro papà potevano finalmente tirare il fiato lasciando giocare i ragazzi con loro coetanei. Il programma, parzialmente rivoluzionato da un clima ostile, oltre a nuotate ad libitum prevedeva giochi di società, animazioni e un dj serale. Segue cronaca.
PRESENTARSI IN CERCHIO
Il casale in pietra, che domina un paesaggio di olivi e vigneti, è magnifico. Verso le cinque i partecipanti dal centro-nord Italia si appiccicano sul petto il nome e si radunano in cerchio intorno a Giuditta. L’idea di Gengle risale a quasi dieci anni fa quando, con tre figli e senza più un compagno, si rende conto dell’immane difficoltà, logistica oltre che emotiva, di gestire i ragazzi. Lavorando nella comunicazione le viene naturale creare il neologismo che darà il titolo al blog che riscuote subito un discreto successo. Con la speranza, spiega, di diventare un punto di riferimento per «le circa 200 mila persone che ogni anno si separano» e creare «un ambiente protetto per noi e i nostri figli». Sebbene sia una donna piena di risorse, parla del trauma della separazione, degli sguardi sospettosi degli altri, degli stereotipi («l’uomo sfigato, la donna milf») che circolano. Mi sembra che calchi la mano sullo stigma, ma i partecipanti annuiscono. È il loro turno di presentarsi rapidamente e il colpo d’occhio è quello di un raduno di Alcolisti anonimi. Avverte Giuditta: «C’è anche chi ci prova, ma non è questo il senso dei nostri incontri». Per quello, eventualmente, meglio Meeters (l’unico uomo solo, in t-shirt col disegno di uno che parla al cellulare sul cesso, puntualizza che deriva dall’inglese meet, incontrarsi) un social per single che da pochi mesi ha acquisito Gengle e organizza viaggi e altre attività. Qui i più sono alla prima esperienza. Uno ha fatto un Capodanno dove, con quindici euro per la cassa comune, hanno affittato un locale divertendosi assai. L’iscrizione è gratuita e ogni membro (son più di centomila) può proporre cose, dall’aperitivo alla gita.
PER CHI NON SI ARRENDE A LASCIARSI
Qualche anno fa avevamo fatto uno speciale sulla terapia di coppia. Versante America:
NEW YORK. Il matrimonio è morto, lunga vita ai terapeuti di coppia. L'articolo, sebbene non economicissimo, non risente della crisi. Anzi. L'ultimo rapporto del National Marriage Project parla di «uomocessione». Ovvero la recessione che colpisce soprattutto i maschi. I quali, perso il lavoro, stanno a casa come fossero agli arresti domiciliari. Non abituati, frustrati, infine aggressivi. Le liti con le mogli aumentano, ma i lasciamenti no. Perché se fai fatica in due ad arrivare alla quarta settimana, figurarsi da soli. Doppia casa, doppio tutto. Più le parcelle degli avvocati. Divorziare è un lusso. Anche gli aggiusta-famiglie lo sono, però meno. E quando la cinghia è stretta si tenta in ogni modo di riparare invece che buttare via. Da qui i nuovi record di iscritti alla American Association for Marriage and Family Therapy, in funzione dal '42: risultano 24 mila ma, assicurano, il numero reale è ancora più alto dal momento che l'80 per cento degli psicoterapeuti assiste anche le coppie. Nell'ordine dei milioni. A sanzionare il momento d'oro della specialità, un articolo del New Yorker e vari libri che raccontano quel che succede sul divanetto a due posti.
Gli americani stravedono per il matrimonio. Anche Frank Sinatra, improbabile testimonial, cantava «love and marriage go together like a horse and carriage», un inno all'indiscibilità dell'amore dal vincolo nuziale. Si sposano più di tutti, più di tutti si divorziano. Una coppia su due, il doppio della media europea. Ma siccome sono un popolo eminentemente pratico, trattano le affezioni della coppia con lo stesso approccio scientifico che adotterebbero per qualsiasi altra patologia. Soprattutto partoriscono una serie di regole su come evitare che le cose vadano male, o come accorgersene quando il cavallo è fuggito dalla stalla (per riprendere la metafora di The Voice). Nel vastissimo armamentario degli strumenti diagnostici, ad esempio, hanno da poco rivisto il Marital Dyadic Adjustment Scale, la scala di aggiustamento maritale, che basandosi prima su un test con 32 variabili ridotte ora a 14 vi dice come state procedendo. Domande standard tipo: «Quanto spesso avete discusso o valutato l'ipotesi del divorzio?». «Quanto spesso abbandonate casa dopo una lite?». Oppure: «Vi pentite mai di esservi sposati (o di convivere)?». Se rispondete «sempre» prendete zero, «mai» invece dà cinque punti. Ci arrivavate anche da soli? Certo, ma almeno esiste un pallottoliere uguale per tutti, affinché gli specialisti possano rimpannucciare una graduatoria della gravità, come con la depressione o i terremoti. Oppure c'è l'approccio più qualitativo del dottor John Gottman, diventato una star internazionale ben oltre il circolo degli addetti ai lavori grazie a una generosa comparsata nel bestseller planetario Blink, di Malcom Gladwell. Lui è quello dei love lab, i laboratori dell'amore. Gli basta osservare per 15 minuti il linguaggio non verbale di una coppia per predire, con un'impressionante accuratezza (l'83 per cento, sebbene ci sia chi lo contesta), se staranno ancora insieme da lì a tre? anni. Gli indizi rivelatori sono le «microespressioni». Ne ha individuate alcune mortali - «i quattro cavalieri dell'apocalisse», con il talento allegorico che l'ha reso un beniamino dei giornalisti -, tra cui la peggiore è il «disprezzo». Quando lui/lei la/lo sente parlare e piega all'ingiù le labbra implorando che smetta di blaterare. Quella cosa lì. Se la vedete inutile fare progetti per le vacanze. Siete già morti ma ancora non lo sapete. Gottman però, come racconta anche Tara Parker-Pope in For Better: the Science of a Good Marriage, non si limita a constatare i decessi. Aiuta anche a prevenirli, incitando i suoi pazienti - che raduna in seminari della durata di un fine settimana a Seattle - a neutralizzare un momento cattivo con cinque momenti buoni. Solo mantenendo questa proporzione, dice, la coppia metabolizza le inevitabili incomprensioni. E prospera.
Lois Braverman, direttrice dell'Ackerman institute for the family e tutto meno che una donna schematica, riconosce i meriti del suo approccio: «Al di là del rapporto matematico, ciò che segnala è l'importanza di evitare escalation. Di spegnere il fuoco dell'incomprensione subito e in profondità. L'acqua di una carezza non basta. Bisogna moltiplicare le gratificazioni per curare la ferita». Perché le coppie in crisi soffrono di peculiari amnesie selettive per cui, raccontando le loro storie, ricordano benissimo i momenti brutti e nell'enumerazione perdono per strada circa la metà di quelli belli. A disinnescare gli ordigni sentimentali tra moglie e marito una volta ci pensava la famiglia allargata, ricorda Braverman, «ora la coppia è più isolata e lasciata sola a risolvere i problemi. Gli amici possono aiutare a far scendere la temperatura del dissenso. Però dal vivo, perché i contatti tecnologici non servono a far sbollentare gli animi». L'istituto newyorchese che dirige è stato uno dei primi e più autorevoli nel formalizzare questa disciplina. Negli anni ?? il leggendario Nathan Ackerman aveva scandalizzato i benpensanti dichiarando che «due nevrotici possono essere felicemente sposati». Ossia, non sono le qualità dei singoli ma l'incastro a decidere l'esito. La sua successora oggi constata che sulla coppia si sono concentrate troppe pressioni: «Il compagno deve essere il miglior amico, l'amante focoso, il partner egualitario, l'educatore dei figli: troppi ruoli in commedia per una persona sola». L'immagine più bella, variazione del medesimo concetto, è di Alfredo Canevaro, psicologo argentino trapiantato in Italia. Dice che «la coppia è diventata un grande attaccapanni su cui ognuno appende ogni proprio desiderio, sinché si spacca». Perché «il partner chiede all'altro anche ciò che gli è mancato dai genitori. Se ha avuto una madre anaffettiva cerca un amore romantico e però gli rinfaccia di non dargli abbastanza attenzioni, come se avesse ancora davanti il vecchio fantasma invece che la nuova realtà». «They fuck you up/your mum and dad», ti fottono per bene mamma e papà, scrive il poeta americano Philip Larkin, «Magari non lo fanno apposta, ma lo fanno. Ti riempiono di tutte le colpe che hanno e aggiungono qualche extra, giusto per te».
La citazione è presa da The Husband and wives club, in cui l'autrice Laurie Abraham racconta di un anno passato ad osservare cinque coppie in terapia di gruppo. Dieci weekend in cui perfetti sconosciuti rovesciano i cassetti della loro psiche davanti alla terapeuta e a tutti gli altri. In un caso la moglie non perdona al marito, con cui ha già due figli, di essersi fatto praticare una vasectomia senza averla interpellata. Nell'altro si scopre che lei, apparentemente titolare di una vita sessuale lussureggiante e quindi prontamente invidiata da tutte le altre del gruppo, non ne può più del marito irresoluto che ha lasciato il lavoro per seguirla e ora non conclude nulla. Si assiste anche a un outing a scoppio ritardato. Rachael proprio non capisce perché Michael voglia comprarsi una moto. Lui cede ma poi ci rimane molto più male di quanto sarebbe proporzionato alla rinuncia. Sul finire della terapia, quando i due esultano perché lei è rimasta incinta, lui finalmente, quasi facendolo scivolare come un dettaglio irrilevante, racconta che il problema di comprensione con Rachael è che lei non è un uomo. Come quelli con cui aveva dormito dopo la fine del suo primo rapporto, prima di incontrare lei. Insomma, anche il colpo di scena finale, in quello che ulrich beck chiama «l'ordinario caos dell'amore».
Nello studio nel New Jersey della dottoresssa Judith Coché passa anche una sessualoga, perché tanti dei problemi nascono da lì. Il sesso orale, praticarlo o riceverlo, come e perché, è uno degli argomenti più indagati. Una sera il gruppo viene fatto ispirare con la visione di Full Monthy e della Marcia dei pinguini. un'altra volta si chiede ai partecipanti di mimare - il «family sculpting», rappresentare i problemi anziché verbalizzarli, è un classico della terapia di coppia - una scena rappresentativa della relazione sentimentale dei genitori. Perché l'imprinting, sia per mimesi che per differenziazione, ha un ruolo fondamentale anche tra noi bipedi. Non necessariamente cerchiamo una compagna che assomigli alla mamma, ma la creiamo a sua immagine e somiglianza secondo un processo che la terapeuta britannica Melanie Klein chiamava di «identificazione proiettiva».
Ritorna, inaggirabile, il fardello dell'eredità familiare. Ma è l'assetto moderno del matrimonio come mezzo di auto-espressione e di appagamento di sé di cui parla More Perfect Unions: the American Search for Marital Bliss di Rebecca L. Davis che, con le sue aspettative moltiplicate, ha moltiplicato anche i fallimenti. E il ricorso agli strizzacervelli della coppia. La dottoressa Braverman, il legno che strepita nel camino del uo ufficio dell'upper west side di manhattan, è d'accordissimo: «Più aspettative, più alto il rischio di deluderle. Aggiungete la mediatizzazione del fenomeno, la foltissima pubblicistica a riguardo. e l'ossessione, tutta americana, della migliorabilità costante di ogni cosa». La soluzione, per lei, sta altrove. Cita Helen Fisher, l'antropologa-biologa che ha studiato più di tutti la chimica del cervello innamorato: l'inonandamento inziiale delle endorfine si prosciuga nei primi due-tre anni. Dopo, per continuare a navigare con meno acqua, bisogna inventarsi qualcosa. Ovvero «svilupare un amore maturo che, invece di crcare di cambiare l'altro (tipicamente nelle sue parti immodificabili) riesca ad accettare le sue differenze rispetto a noi». È difficile, ma non impossibile assicura, e un terapeuta può aiutare. D'altronde la presenza dell'amore come costituente del matrimonio è così nuova che cinesi, ad esempio, solo negli anni 20 si sono inventati un termine che lo registrasse. Funziona
LA TERAPIA DI COPPIA IN ITALIA
E questo era il versante italiano:
Funziona un po' come il doppio misto e costa in media due volte l'affitto di un campo da calcetto. Si fatica assai, ma non si suda. E, in linea di massima, o si vince tutti e due o non vince nessuno. Benvenuti nel misconosciuto mondo della terapia di coppia che, pur non essendo uno sport, può sprigionare forti dosi di antagonismo. L'amore è una barca che resiste a traversate sempre più brevi. In Italia, stando agli ultimi rilevamenti Istat, si spacca una coppia su quattro. Nel '95, per dire, erano meno della metà. Unico aspetto positivo l'aumento di quelle consensuali (83,6%) sul totale delle separazioni. Il tentativo di trovare un accordo, sebbene qui la contabilità diventi fumosissima, spiega anche la crescita del ricorso ad aiuti esterni. Prima, per evitare che la coppia scoppi o almeno per pilotarne l'esplosione, come in certe coreografiche demolizioni di palazzi. Dopo, per scongiurare che "Casablanca", emotivamente parlando, si trasformi nella "Guerra dei Roses". Le macerie sono inevitabili. Di quelle economiche si occupano gli avvocati. Quelle psicologiche, sempre più, le maneggiano questi terapeuti specializzati. Per ciò vale la pena cominciare a capire, al di là di eventuali cine-infarinature woodyalleniane, chi sono e cosa fanno.
I numeri del fenomeno
Da noi, sul loro conto, tutto si può dire meno che siano sovraesposti. A spulciare gli archivi elettronici dei principali giornali salta fuori, nel 2010, un solo articolo. Gli italiani ci vanno, ma non ne parlano. «Coppia rimanda a letto, a panni sporchi da lavare in famiglia» spiega Maurizio Andolfi, fondatore e presidente dell'Accademia di psicoterapia della famiglia, «sebbene amiamo descriverci come aperti siamo assai più chiusi, su queste cose, degli anglosassoni. Sulla privacy dell'intimità si oscilla tra gli estremi di "Amici" della De Filippi al burqa culturale, ben più diffuso». Eppure al suo centro ogni giorno arrivano 2-3 richieste di aiuto, donne («all'80 per cento sono loro a prendere l'iniziativa») che chiamano per sapere come funziona, quanto costa, e fissare un appuntamento. Numeri su base nazionale non ce ne sono. «In America questo censimento è più facile perché lì le terapie le rimborsano le assicurazioni e quindi tengono traccia» spiega Gianmarco Manfrida, presidente della Società italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale, «mentre da noi si può procedere solo su base induttiva, analizzando l'andamento dei principali centri». Dunque il suo, con sede a Prato, ha visto lievitare le richieste del 30-40 per cento negli ultimi due anni. Andolfi calcola un'impennata «dal 10 al 70 per cento del totale» in tre decenni. Luigi Cancrini, terapeuta tra i più noti nella capitale, conferma il rialzo e fissa la sua quota intorno a metà delle sedute complessive. E da Milano Valeria Ugazio confessa di non poter più star dietro alla quantità di richieste: «È di certo il segmento che aumenta di più: se le accettassi tutte sarebbero il 70-80 per cento di quel che faccio».
Come funziona
Se sui numeri assoluti dei pazienti è buio pesto, neppure il censimento di chi li cura è cristallino. Negli Stati Uniti, riporta un recente articolo del New Yorker, sarebbero 24 mila. «Ma comprende i counselor» puntualizza Cancrini, «figure intermedie, con una formazione più pratica che accademica». Da noi invece, dopo la laurea in psicologia o medicina, bisogna fare una scuola di cinque anni per diventare psicoterapeuta. «Abbiamo uno dei curriculum più severi d'Europa» rivendica, con orgoglio, Ugazio. E circa 360 centri riconosciuti dal ministero dell'istruzione, che accettano ognuno 20 specializzandi all'anno. La materia è delicata, la preparazione lunga. Anche il setting, la modalità in cui si svolgono le sedute, può variare. Al Centro Studi di Cancrini, ad esempio, dopo un paio di sedute congiunte la coppia si divide e ognuno affronta, alla stessa ora ma in stanze separate, un singolo terapeuta. Generalmente il maschio con una femmina e viceversa. Poi i terapeuti si raccontano com'è andata, mettono a confronto le diverse ricostruzioni dei medesimi problemi, fanno venire fuori i nodi su cui il meccanismo di coppia si inceppa. All'Accademia e al centro milanese lo schema è invece quello di un solo terapeuta davanti alla coppia però con altri uno o due che osservano il tutto da dietro a uno specchio unidirezionale e riprendono la sessione per poi discuterne. È come se si tentasse, in un modo o in un altro, di ristabilire una specie di simmetria tra pazienti e terapeuti. Un po' ha a che fare con il transfert, quell'intesa emotivamente privilegiata che di solito si instaura - individualmente - con l'analista. Un po' con il fatto che, come può succedere con andrologi e ginecologi, si tende a credere che un interlocutore del nostro sesso ci capirà meglio. Infine, banalmente, perché si ritiene che le dinamiche interne a una coppia le comprenda meglio una coppia, ancorché professionale. Un affollamento medicale con intuibili ripercussioni finanziarie. Se già la terapia non è economica, quella di coppia tende a esserlo ancora meno. «Si va dai 50 ai 250 euro a seduta» stima Manfrida. Dai 45 minuti alle 2 ore e mezza. Con intervalli da 15 giorni o un mese. Per dieci, venti, trenta incontri. Dalla tariffa fissa uguale per tutti agli sconti per i redditi bassi. «Ciò che mi preme smentire» dice il presidente della Sippr, «è l'idea letteraria che sia un rimedio per ricchi, radical chic che in assenza di malattie reali medicalizzano la psiche. Anzi, è proprio nelle separazioni di persone con scarsi mezzi economici che la crisi emotiva ha sùbito dolorose ricadute pratiche: convivere in un appartamento piccolo, magari con l'aggravante della disoccupazione che tiene un coniuge in casa. Problemi concretissimi per i quali una consulenza può risultare un ottimo investimento».
Perché ci vanno
Ma per quali motivi così tante unioni in via di frantumazione si rivolgono a questi specialisti con la speranza che rimettano insieme i pezzi solo con la forza alchemica del SuperAttack delle parole? «Le coppie si rompono per l'intervento di terzi» sostiene Andolfi, ricomprendendo in questa categoria «un eventuale amante, ma molto meno che in passato, e invece soprattutto il lavoro, i figli, la suocera, intesa come sineddoche delle invasioni di campo della famiglia d'origine». L'aveva intuito anche Massimo Troisi che l'1-2-3 vivere insieme-sposarsi-fare un figlio più che prova ontologica di felicità poteva testimoniare un'escalation di sfiducia rispetto alla tenuta della coppia. «Pochi dubbi che un bambino sia la cosa più bella che due persone che si amano possano fare. Che unisca a prescindere, invece, è una leggenda» prosegue Andolfi, «perché l'amore a due diventa a tre e spesso il coniuge, generalmente il marito, non regge a questo cambiamento di geometria e priorità». Ma se è vero che sono parte del problema, si può provare a trasformarli in parte della soluzione. E così, non senza resistenze, lui tende a fare partecipare anche loro - e le famiglie d'origine - ad alcune sedute. Cancrini raggruppa le cause a seconda delle fasi, i «cicli vitali» del rapporto: «Le coppie in formazione tendono a portare problemi legati alla sessualità; quelle più strutturate il riposizionamento rispetto al figlio; quelle stagionate infine la "sindrome del nido vuoto", ovvero come re-inventarsi una vita nucleare a lungo messa in secondo piano». Ma se, in una società fieramente usa-e-getta, così tante persone insistono nel voler aggiustare una vecchia unione anziché lanciarsi nell'avventura di una nuova è la riprova di una tendenza di fondo: il ripiegamento sul privato. «Ho molti pazienti imprenditori, professionisti affermati che ancora pochi anni fa erano convinti che l'importante fosse realizzarsi nella dimensione pubblica. Oggi non più. Mentre per i giovani questa consapevolezza è presente sin da subito».
Come finisce
La domanda decisiva, a questo punto, è se funziona. E soprattutto in presenza di quale esito si possa parlare di «successo». «Lo scopo primario è tenere insieme la coppia» dice Ugazio, «e lo raggiungiamo nella stragrande maggioranza dei casi, sino al 90 per cento, se i due hanno alle spalle dei bei periodi insieme, una stoffa solida alla quale aggrapparsi». Anche le statistiche di Andolfi sembrano sorprendentemente positive: «Se, superate le pre-sedute, entrambi accettano il progetto, in 8 casi su 10 ce la fanno». Percentuali altissime, che nessuna altra branca della cura della psiche sembra poter vantare. È vero che, se invece di dirsi subito addio, due accettano di rovesciare tutti i cassetti della loro intimità di fronte a un estraneo, una motivazione forte devono avercela. Che però ci sarà stata anche prima e non è bastata ad evitare la convocazione di fronte a quella giuria. Cancrini infatti sposa una definizione più ampia e laica di «efficacia»: «Dobbiamo aiutarli a decidere per il meglio. Si tratta di persone che, per questo dissidio, non funzionano più bene nella loro vita complessiva. Se gli ostacoli alla loro felicità insieme possono essere rimossi, facciamo di tutto per toglierli. Ma se la ragione del loro malessere è proprio la convivenza, meglio che ognuno vada per la sua strada». Il confine tra cura ed accanimento terapeutico, qui come non mai, può risultare sfocato. Il vantaggio di un terapeuta dovrebbe essere di vederlo più lucidamente rispetto a due poveri amanti che non vogliono arrendersi a diventare ex.
STREAMING, UBER E CLOUD: QUANDO IL NUOVO COSTA PIÙ DEL VECCHIO
L’ultima Galapagos:
Tra le tante promesse da marinaio della rivoluzione digitale (democratizzazione, fine degli intermediari e compagnia cantante) sembra rientrare il presunto risparmio che i nuovi servizi avrebbero consentito rispetto ai vecchi. Prendete lo streaming. Doveva essere più economico e anche meno confondente rispetto all'offerta della tv via cavo ma, soprattutto negli Stati uniti che spesso funziona come anteprima di quel che succederà da noi, non sembra più essere il caso. Al punto che di recente il Financial Times ha calcolato, considerando i vari rincari, che in autunno un bouquet delle principali piattaforme costerà sugli 87 dollari (rispetto ai 73 dell'anno scorso) contro gli 83 al mese di un abbonamento alla tv via cavo. Oltre al fatto che la promessa di non doversi più accollare le pubblicità diventerà sempre meno vera, man mano che gli utenti torneranno alla formula con gli spot per risparmiare un po' di soldi. Lo stesso vale per i servizi di mobilità on demand. Lanciati a prezzi decisamente più bassi dei taxi, che infatti non avevano gradito la concorrenza, Uber and friends hanno progressivamente alzato le tariffe di pari passo alla riduzione dei finanziamenti del venture capital (che consentiva le corse a prezzi fuori mercato). E oggi, ha raccontato Steven Levy su Wired, una corsa da 3 miglia può costare 51 dollari (sbigottendo lo stesso Ceo dell'azienda che pensava che si sarebbe aggirata invece sui 20 dollari). A sentire Insider neppure la promessa del cloud è stata mantenuta. Avere accesso a capacità di calcolo di computer remoti invece che doversi comprare e gestire i propri server ha ancora molti vantaggi di flessibilità, ma non necessariamente di costi. Una caratteristica della modernità, insegnava Marx, era che "Tutto ciò che è solido svanisce nell'aria". Nella post-modernità, a quanto pare, alla fine tutto quel che sembrava svanito ritorna solido.