#103 Case a 1 euro e case a 1 milione
Storia di una brasiliana che se n'è comprate 3 a 3 euro; a Milano dove andranno a vivere i poveri?; lavorare a distanza, tra soutworking e Zoom Town; la rivincita del contante
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VIVERE A MUSSOMELI…
Dal Venerdì in edicola. L’attacco:
Mussomeli (Caltanissetta). “Contro il caro affitti venite a Mussomeli. Con un anno di pigione a Milano qui ci comprate una casa per tutta la vita”. Sorprende che l’astuta amministrazione locale non abbia già concepito un claim del genere, ma se non l’hanno ancora fatto lo faranno presto. Perché nella capitale italiana delle case a 1 euro sinora non hanno sbagliato un colpo. Per la gioia delle sue 150 imprese edilizie – solo Palermo, sull’isola, ne ha di più – dal 2017 qui hanno venduto circa 300 case, tendenzialmente in rovina, a stranieri di diciotto nazionalità. Tra cui molti americani come Rubia Andrade Daniels, che ne ha comprate ben tre e, a forza di interviste, dal Washington Post in giù, è diventata una specie di influencer per la causa nonché spirito guida di questa storia.
Dall’aeroporto di Punta Raisi a qui, avviso ai potenziali acquirenti, sono due ore e mezza di strade non particolarmente piacevoli. All’ora di pranzo il borgo da 11 mila anime, case abbarbicate su una collinetta, stradine strette, il pregevole Castello Manfredonico, è vuoto. Nella sua stanza al municipio, che al posto dei vetri ha fogli di nylon volanti alle finestre per effetto di radicali lavori di ristrutturazione, c’è il sindaco Giuseppe Catania. Eletto nel 2015, ora anche al parlamento siciliano nelle file di Fratelli d’Italia, ha al suo attivo almeno due miracoli: quello di cui scriviamo adesso e un altro di cui il Venerdì si era già occupato, ovvero aver importato (per la prima volta in Italia) medici argentini per riaprire quattro dei sei reparti chiusi dell’ospedale cittadino. A giudicare dal numero di cantieri aperti che snocciola Catania sembra una forza della natura nell’intercettare soldi europei: 90 milioni di euro con cui sta rifacendo strade, scuole, il teatro fino agli ormai imprescindibili campi di padel. Talento che deve aver affinato nella vita precedente da consulente per il finanziamento delle imprese ad Agrigento.
Quanto alle case da 1 euro, però, l’idea non è sua. Nel 2008 viene a Vittorio Sgarbi, per ripopolare Salemi di cui è appena diventato sindaco. Tanto fumo sui giornali, poco arrosto. Però l’intuizione è ottima. Nel 2013 Toti Nigrelli, allora giovanissimo consigliere comunale e ora vicesindaco, ci punta sul serio. Fa pubblicità sui social e si assicura che, quando uno cerca “case da 1 euro” su Google, Mussomeli esca per prima. Ora “a 1 euro” è un po’ un modo di dire. «Tra notaio e altre scartoffie chi compra ne sborsa minimo 3500. Ed entro tre anni è tenuto a iniziare i lavori». Che, essendo generalmente abitazioni messe male, «costano in media sui 50 mila» ammette Nigrelli. Il giochino, oltre a significare più Imu e Tari per le casse del comune, e Irpef più paffuti per tanti suoi cittadini, ha moltiplicato la ricettività turistica (da 2 b&b a una decina) e fatto lievitare le presenze turistiche da 300 a 4500 all’anno. «In totale» gongola Catania «il progetto ha portato oltre 20 milioni di euro in paese». E siccome l’appetito vien mangiando, adesso stanno posando la fibra ottica a 100 Mb e realizzando un gran coworking in un piano nello storico Palazzo Sgadari per candidare la città a destinazione di southworking, la tendenza (sin qui forse più mediatica che reale) inaugurata dal Covid di approfittare dello smart working per trasferirsi al sud, con più sole e meno spese.
…VIVERE A MILANO
Qualche mese fa ero andato a Milano per scrivere del caro affitti e dell’impazzimento dei prezzi delle case in vendita. L’incipit:
Milano. «Per favore, rispettate il vicinato: tenete bassa la voce e le notifiche di Grindr» intima il cartello all’entrata di NoloSo, un bar-ristorante con le saracinesche arcobaleno su via Varanini. La certificazione gay-friendly è la prova ontologica dell’esistenza della gentrificazione. Tra gli indizi aggiungete poi Fòla, la pasticceria lì accanto che non a caso ha il sito prima in inglese che in italiano (Butter cake con more fresche e crumble di pistacchio, 40 euro). O Blue Nami, l’inevitabile giapponese su piazza Morbegno, e tutta un’altra serie di smottamenti urbanistici che hanno trasformato un quartiere tra il grigio smog e il rosso sangue (tra accoltellamenti tra maghrebini e sparatorie sudamericane di un decennio fa in via Padova) in NoLo, acronimo newyorcheseggiante che sta per North of Loreto e abbraccia un poligono di isolati a nord del luogo dove Mussolini fu appeso a testa in giù.
Pare che sia stata la mitopoiesi di qualche agenzia immobiliare a rinfrescare linguisticamente il quartiere comodo ma non desiderabile, come sempre quelli vicini alle stazioni. Un’invenzione presto asseverata da Google Maps, quindi dalla toponomastica commerciale. Qui c’è la sede di Fineco, la banca più cool d’Italia, e abitano numerosi esponenti del ceto medio riflessivo, che pranzano alla trattoria Mirta, segnalata dalla guida Michelin, i cui figli hanno spezzato il monocolore degli stranieri sui banchi della scuola del Parco Trotter. Ma perché parlarne ora? Perché NoLo è l’ultima tessera di un mosaico più ampio, quello che, nella classifica di Scenari Immobiliari, laurea Milano come terza città più cara d’Europa (dopo Amsterdam e Lisbona; Londra ormai è Brexit) per un bilocale in affitto (1850 euro). E si aggiudica anche 8 quartieri su 10 tra i più cari dove acquistare, per immobiliare.it, con oltre 9.300 euro al metro quadro tra Duomo, Brera, Castello e il Quadrilatero della Moda. Come e perché siamo arrivati a una tale follia? E c’è ancora qualcosa da fare per evitare che la metropoli diventi un club per lombardi sardanapali e altri straricchi?
La Grande Rincorsa, immobiliarmente parlando, parte con Gabriele Albertini. Roma è nata bella, non ha bisogno di impegnarsi. Milano sì e il sindaco dà l’ok a un paio di ambiziosissime riqualificazioni, dense di grattacieli, che diventeranno CityLife e Porta Nuova. «Pensate per i ceti superiori, con costruzioni ad altissima redditività realizzate con gli oneri di urbanizzazione (i soldi chiesti dal comune agli sviluppatori, ndr) tra i più bassi d’Europa» spiega Alessandro Coppola, urbanista al Politecnico, che mi racconta di una sua anziana amica cui al Ticinese hanno appena chiesto un aggiornamento del canone da 800 a 2000 euro. «Finché erano gli immigrati a lamentarsi degli affitti crescenti non fregava a nessuno», constata, «mentre ora che lo fanno gli italiani mi intervistano tre volte a settimana». Soluzioni? «Barcellona, Parigi, Berlino: tutti stanno provando a intervenire sugli affitti. Milano, difficoltà legali a parte, non ne parla neppure».
È IL MOMENTO DELLE ZOOM TOWN?
A proposito di Mussomeli che si candida a diventare magnete per il southworking, una vecchia Galapagos.
Lo smart working ha un buon ufficio stampa. Non si contano gli articoli sulle orde di professionisti già con le valigie in mano per trasferirsi in ameni borghi o in mari cristallini dal momento che le catene alle scrivanie erano ormai rotte. Zoom Town, le avevano anche battezzate. Si scopre, ma va, che era una notizia fortemente esagerata. Il grosso di chi lascia le grandi città lo fa per città più piccole ma vicine, a una fermata di treno o poche di bus. Il 18% di chi ha salutato San Francisco, ad esempio, è finito nella contea di Alameda County, dall'altra parte della baia. Uno studio di CityLab ha calcolato che l'84% di quelli che sono andati via da una delle 50 principali città americane da marzo 2020 a febbraio 2021 sono rimaste nella stessa area metropolitana. Che, al netto dei pochi fortunati che possono trasferirsi in montagna d'inverno e al mare d'estate, mi sembra infinitamente più realistico. Altri ricercatori americani, stavolta dell'università di Chicago, hanno anche calcolato che quando la pandemia finirà circa il 20% delle giornate lavorative si svolgeranno da casa contro il 5% di prima (avevamo scritto su Milano). È un grosso cambiamento ma non una rivoluzione. Comuni particolarmente previdenti si interrogano su come diventare attrattivi per potenziali nuovi residenti. Robert Luongo, il city planner di Weymouth, 58 mila abitanti a un tiro di schioppo da Boston, dice a Wired: "I negozi torneranno? La gente è stanca di ordinare online tornerà a uscire? La verità è che non abbiamo idea di quel che succederà". Risposta onesta. Intanto in Italia, dove notoriamente mancano i dati, l'osservatorio Facile.it registra una tendenza: nel primo semestre 2021 il 77% degli italiani ha chiesto mutui per case in comuni sotto i 250.000 abitanti, sottolineando che si tratta di +7% rispetto al 2017. Che non è la fine del mondo. E soprattutto non sappiamo dove vivevano prima. Zoom Town è un termine efficace ma è presto per dire se si può tradurre.
SOLDI, LA RIVINCITA DELL'ANALOGICO
L’ultima Galapagos, invece, che trovate nella splendida newsletter del Venerdì (abbonatevi!).
Qualche tempo fa mi ero vantato della scomparsa del mio portafogli, sostituito da Apple Pay. L'altro giorno la mia hybris tecnologica mi ha punito. Succede infatti che, per tutta una serie di ragioni, abbia dovuto passare da una credenziale del mio telefono (AppleId) a un'altra. E questo abbia, di colpo e senza avvisaglie, disinstallato tutte le mie carte di credito registrate sul telefono. Così, quando sono andato a pagare un paio di caffè alla cassa, nel wallet non c'era più niente con cui pagare. Poco male, ho pensato: pagherò con l'orologio che adesso ha quelle stesse carte registrate. Ma anche da lì erano scomparse. Allora ho chiesto qualche minuto al cassiere e ho provato a rimettere l'AppleId originario. Peccato che, per essere sicuro che fossi proprio io, il sistema mandava un messaggio a un altro apparecchio (in questo caso il computer) che non avevo sottomano. Così ha dovuto pagare il mio amico. Piccolo apologo che invera la tesi di Error 404, un libro di Esther Paniagua, che nel sottotitolo ci chiede: Siete pronti per un mondo senza internet? La mia risposta, ovviamente, è no. La vicenda mostra anche due forze una contro l'altra armata: il bisogno di sicurezza (i sempre più ubiqui sistemi di autenticazione a due fattori) contro quello di praticità (perché, così spesso, mi tocca riloggarmi su Facebook anche se ho barrato la casella "riconosci questo browser"?). Modesta proposta: che costerebbe, quando stai per fare un'operazione con così tante seccante implicazioni, avvertire con una schermatina che metta in guardia subito? Alla fine ho restituito i soldi (giusto per puntiglio) al mio amico con Paypal: quel che la tecnologia toglie, la tecnologia restituisce. Conviene comunque avere 10 euro in tasca.