#102 Viaggio al termine del (mio) colesterolo
Vicenda particolare dal valore universale, tra cure sperimentali e vecchi miti da sfatare; quella volta che addentai il futuro (e non mi piacque); iscrivetevi alla newsletter del Venerdì!
ARTICOLI. LIBRI. VIDEO. PODCAST. LIVE. BIO.
GRANDE SCUOLA MEDICA PISANA
Per tantissimi anni ho fatto finta di niente, poi ho fatto un ecodoppler alle carotidi e ho cominciato a curarmi per il colesterolo. La gran fortuna è aver incontrato Francesco Sbrana, specialista della Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, campione di una generazione di medici pisani bravissimi. Da allora pensavo di socializzare la mia esperienza e alla fine l’ho fatto. Cercando di sfatare un po’ di miti. Un estratto:
Da cui la prima risposta: «Alle arterie non importa niente che il colesterolo sia familiare o da eccesso di salsicce» spiega Sbrana «la differenza è che se l’eccesso viene dal cibo intervieni su quello mentre se è familiare cambiare abitudini non basterà. Da qui l’importanza della diagnosi».
IL MITO DEI RIMEDI NATURALI
Perché, senza uno specialista, puoi farti l’idea che il riso rosso fermentato sia solo un innocuo integratore. «E invece la monacolina che contiene» spiega Sirtori «è uguale alla lovastatina. È una statina sotto altro nome e bisogna stare attenti da chi lo si compra perché può contenere citrinina, tossica sui reni». Si vende senza ricetta solo perché quello in commercio deve contenere una quantità bassa di principio attivo (massimo 3 milligrammi per compressa). I farmacisti lo amano perché, essendo un nutraceutico, già in partenza costa assai di più e poi consente margini decisamente maggiori, sganciati dalle contrattazioni con l’agenzia del farmaco (Aifa). I pazienti invece perché «siamo un Paese terrorizzato dalle medicine, statine in particolare, il primo mercato europeo per integratori» conferma Arrigo Cicero, associato a Bologna e presidente della Società italiana nutraceutica. Così può capitare «che ai nutraceutici si rivolga il paziente sbagliato». Ovvero quello con Ldl sopra 150 che con gli integratori non potrà mai arrivare sotto 136 (linee guida Iss) né tantomeno 116 (Società europea di cardiologia). Al netto di questo caveat Cicero è ovviamente entusiasta delle alternative, che vanno ben oltre il riso rosso: «Estratti di bergamotto più carciofo che possono ridurre l’Ldl dell’8-10 per cento o, aggiungendo la berberina, anche del 15-18, un risultato pari all’ezetimibe o all’acido bempedoico». E l’obiezione che siano farmaci mascherati, solo molto più cari? Lui li darebbe «a pioggia, perché è provato che più basso è l’Ldl più si è protetti» però conviene che, in media, una terapia annuale va sui 250 euro all’anno, ovvero due volte e mezzo quella a base di statine (mentre l’acido bempedoico sta sui 400 e l’inclisiran, le due iniezioni per i casi gravi, sopra i 5.000). Certi suoi pazienti, pur di non capitolare alle statine («Per ideologia»), cumulano addirittura un paio di trattamenti. Circostanza che lo spirito guida Sbrana trova stupefacente mentre racconta il caso di quella moglie che, suggestionata dagli spot, «oltre alle statine aveva fatto prendere al marito anche il riso rosso avendo come effetto principale di moltiplicare le mialgie». Misteri della fede.
LA SOGLIA DEI 200
Il livello di guardia di 200 mg/dl è quello che conoscono tutti. Venne fissato nel 1984 in uno storico convegno di cardiologi a Bethesda, nel Maryland, e da allora è rimasto inalterato. Ma più che questa soglia assoluta sembra decisamente più eloquente quella relativa all’Ldl. Che, il più delle volte, non viene neppure esplicitato negli esami. Per calcolarlo da soli c’è la formula di Friedewald [colesterolo totale - (Hdl + trigliceridi/5)] oppure un sacco di siti che lo tiran fuori in un attimo. Quel che conta è anche il rapporto tra totale e Hdl che deve stare sotto a 4,5.
QUANDO PROVAI LA CARNE FINTA
Qualche anno fa andai ad assaggiare gli hamburger vegetali di Possible Burger. Un pezzo di quella cronaca:
Redwood City (California). Ho mangiato il futuro e mi ha lasciato uno strano retrogusto. Ma niente spoiler, ogni cosa a suo tempo. Parliamo di hamburger, il sinonimo universale di cibo americano. La fettina saporita che costa poco al consumatore e molto al pianeta, tra acqua e terra che servono per pascere le mucche e il metano che infine fatalmente emettono. «Una tecnologia preistorica» le definisce sdegnoso Pat Brown, sessantaduenne asciuttissimo con t-shirt nera, jeans e sneakers, mentre illustra a un manipolo internazionale di giornalisti la sua alternativa aggiornata. D’altronde, come fa notare un’altra scienziata di Impossible Food, «le mucche sono fatte di piante, le piante di cui si cibano» e lì loro stanno solo tentando di «eliminare una colossale inefficienza. Ovvero fare la carne dalle piante, senza passare dai bovini». Che detta così non fa una piega, al netto di un brividino Frankenstein a cui probabilmente dovremo fare il callo. L’intuizione dello Steve Jobs del cibo (anche gli occhiali sono molto simili) è che ogni alimento si può retroingegnerizzare, ovvero smontare, ridurre ai minimi termini e quindi rimontare una volta che si è capito come funziona. Oggi è la carne macinata, domani sarà una fettina di pollo, un filetto di pesce, una bistecca. D’altronde, insiste il fondatore con le metafore ingegneristiche che fanno tanto Silicon Valley, «il treno correva quanto il cavallo, prima di superarlo. Ora noi siamo alla pari con le mucche, con la differenza che miglioriamo ogni giorno». Nonostante la scritta sulla maglietta, o forse proprio per quella, nihil impossibile volenti.
Ma qual è la grande novità di questa svizzerina hi-tech che ha convinto Bill Gates, Google Ventures e Khosla Ventures, ovvero la crema del capitale di rischio, a investirci milioni e ad autorizzare impegnative analogie mediatiche («La Tesla del cibo»), al punto da calamitare per la dimostrazione odierna eccitate troupe fino dal Giappone e dalla Corea del sud? Perché la storia tristanzuola dell’hamburger vegetale non è nata oggi. L’inventore, a quanto pare, è il ristoratore londinese Gregory Sams, un quasi perfetto omofono del protagonista delle Metamorfosi di Kafka, che l’ha servito per la prima volta nel ‘71 nel suo locale. Poi, declinati in innumerevoli varietà, espugnando addirittura Burger King e McDonald’s, hanno conquistato piazzamenti anche nei menu di tante nostre trattorie. Però quelli, di tofu, di seitan, di lenticchie pressate, non provavano a sembrare altro da quel che erano. L’Impossible Burger ambisce invece a essere indistinguibile: quanto a consistenza, sapore, odore e sfrigolio mentre lo cuoci in padella e sangue che sprizza quando lo addenti. Un programma ambizioso.
LA NEWSLETTER MADRE
La cito spesso, perché è lì che escono tutte le Galapagos (e molte altre cose che mi riguardano), ma ora lo faccio meglio. Parlo di Finalmente è Venerdì! la magnifica newsletter del Venerdì curata da Michele Gravino che annuncia i contenuti del numero in uscita e aggiunge alcuni contenuti originali. È bella, è gratis, e non esiste una singola ragione al mondo per non essere ancora iscritti. Quindi vi invito calorosamente a farlo e farla girare. Sotto la spiegazione di Michele.
Cari amici, "Finalmente è Venerdì" è la newsletter del Venerdì di Repubblica, che ogni settimana offre ai lettori anticipazioni del giornale in edicola, rubriche, recensioni e contenuti esclusivi. Per riceverla GRATUITAMENTE nella vostra mailbox potete iscrivervi cliccando su questo link https://quotidiano.repubblica.it/edicola/profilo/newsletter.jsp?testata=repubblica&where=newsletter
Alla pagina che si apre bisogna scendere fino alla casella "Finalmente è Venerdì" e cliccare su "iscriviti". Se siete già loggati a un account di Repubblica o a un altro giornale del gruppo Gedi basta così, altrimenti bisogna loggarsi e poi tornare sulla pagina e iscriversi alla nostra e se volete anche ad altre newsletter. In caso non abbiate un account lo si può creare – anche questo GRATUITAMENTE – dando una mail e una password o anche solo accedendo tramite Google, Facebook o AppleID. È meno complicato di quanto sembra. A titolo di esempio il link all'ultimo numero, così potete farvi un'idea. Vi aspettiamo!
“COSÌ CHATGPT MI AIUTA”
E a proposito di Galapagos, un estratto dell’ultima (il resto sulla newsletter “madre”).
Detto questo, per mitigare un po' le legittime paure di sostituzione di lavoratori da parte dell'Ia, sta uscendo un certo numero di articoli su come diversi professionisti la stanno usando per semplificarsi la vita. Insider ne ha messi insieme quattro. La cacciatrice di teste specializzata nel settore sanitario che prima impiegava 15 ore alla settimana per setacciare aziende che potessero aver bisogno del tipo di lavoratori di cui si occupa e ora, grazie a ChatGPT, gliene bastano cinque. Il broker di case di lusso che la impiega per scrivere le prime bozze dei testi, ottimizzati per essere trovati dai motori di ricerca, per pubblicizzare le case che vende.