#158 "Hanno vinto i ricchi". Per ora.
Il prologo del libro che prova a mettere in fila le molte cause di una catastrofe, economica e sociale, tutta italiana
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Prologo
GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE! Dopo una settimana, dopo essere stato al quinto posto della classifica generale Ibs e settimo su quella Amazon, il libro è stato già ristampato: daje!
UN ESTRATTO
E qui, per chi non l’ha ancora comprato (o regalato: forza, se spingete un altro po’ supero Vannacci), il prologo del libro:
Due anni fa, in questa medesima collana, è uscito un libro che denunciava l'oscena concentrazione di ricchezza, e quindi di potere, di una piccola confraternita di imprenditori tecnologici che, per semplicità, chiameremo i nuovi padroni del mondo. In quelle pagine descrivevo il preoccupante funzionamento, anche psichico, di persone come Elon Musk, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg e altri, collettivamente definiti gigacapitalisti.
Da allora ho portato il libro in giro per l'Italia, il più delle volte in forma di monologo su un palco, con l'aiuto di una ventina di immagini alle mie spalle a scandire il racconto. La slide più profetica era la terza in cui segnalavo i rischi nella decisione di Musk – giusta nel merito, ma non nel metodo – della fornitura di satelliti Starlink all'Ucraina invasa dai russi. Allarme rilanciato, quasi un anno dopo, anche dai media americani per il preoccupante strapotere raggiunto dall'erratico imprenditore.
L'Ocse e quel grafico ignorato
Ai nostri fini, però, conta di più la penultima slide di quel recital. Quella in cui, dopo aver constatato che la disuguaglianza nelle nostre città non produce ancora situazioni atroci come quelle cui si assiste nel centro di San Francisco, faccio notare un triste primato italico. Tutto incapsulato in un grafico che, a partire da dati Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, traccia l'andamento dei salari medi dal 1990 al 2020 in ventidue nazioni europee. In testa la Lituania, con un +276 per cento, seguita dalle altre repubbliche baltiche (certo, partivano basse). Alta arriva l'Irlanda, con un +85 per cento. Germania +33 e Francia +31. La Grecia – vi ricordate i tempi del "gran malato europeo"? con la mostruosa crisi subita, con tanto di intervento della Troika –, la Grecia dicevamo, faceva registrare un +30. Sola soletta, all'ultima riga, unica con un segno meno davanti, arriviamo noi. Che abbiamo visto restringersi i salari del 2,9 per cento. In trent'anni siamo andati indietro di tre punti. E il fatto che nel 2021 dopo siamo usciti dal territorio negativo, confermando tuttavia l'ultima posizione, per poi tornare sotto l'anno dopo ancora non cambia in niente la sostanza delle cose.
Com'è stato possibile, mi chiedevo e mi chiedo? Com'è che la classe politica, tutta indistintamente ma soprattutto la sinistra che degli interessi della classe lavoratrice è stata storicamente portatrice, non si è stampata quel grafico a grandezza murales e non ha convocato gruppi di studio, giorno e notte, per sviscerarlo e provare a capire quali e quante cose dovevano essere andate storte per arrivare a quello sconcertante risultato? E, infine, com'è possibile che di fronte a questa solitaria marcia indietro rispetto alle "magnifiche sorti e progressive" su cui ci eravamo illusi di poter fare affidamento, quelli che l'hanno subita, la classe lavoratrice, sia operaia che del ceto medio impoverito, non abbiano chiesto rumorosamente conto?
Tante domande e la risposta di Buffett
Ecco, da quelle domande – oltre che dalla celebre affermazione di Warren Buffett sulla lotta di classe, che esiste ma l'hanno vinta gli ultraricchi come lui – poste con costernazione ma senza esito alla fine del gigacapitalisti-show, nasce il libriccino che avete tra le mani. Visto che nessuno, nel frattempo, ha preso sul serio la fotografia del nostro disastro. Non l'ha tematizzata. Non ha provato a intervenire e anzi, come peculiare contributo, l'attuale maggioranza parlamentare c'ha tenuto ad affossare la ragionevolissima proposta di introdurre un salario minimo che, come il reddito di cittadinanza, senz'altro non era la soluzione alle cause strutturali della nostra debolezza ma con altrettanta certezza avrebbe aiutato. In questo silenzio assordante ho deciso di occuparmene io.
Proverò a capire quali sono le cause principali di questa tragica caduta. Chi ne è maggiormente responsabile. Perché quelli che si son fatti più male non si ribellano. E cosa bisognerebbe fare per invertire la rotta. Vasto programma, ma indispensabile per non ritrovarci, di questo passo, tra trent'anni in uno sprofondo ancora peggiore. Quindi, coraggio.
GAMIFICARE STANCA
L’ultima Galapagos:
Che cos'è la gamification? "L’uso dei principi per la progettazione dei videogiochi per scopi non ludici". Serve, ad esempio, per convincere un autista stanco di Uber a non staccare mostrandogli sulla app, come se fosse il livello successivo di un videogame, che se va avanti può vincere un bonus. Anche se è annebbiato e farebbe bene a riposarsi. Oppure un magazziniere di Amazon a correre di più facendogli balenare davanti un drago fiammeggiante. Cose così. Che sembrano inoffensive ma non lo sono se Adrien Hon, autore di "La società della ricompensa" (Luiss University Press), arriva a definire il meccanismo come "il nuovo volto amico per lo sfruttamento di milioni di persone". E sa di cosa parla essendo l'autore pluripremiato di Zombies, Run!, un gioco per smartphone lanciato nel 2012 che "ha trasformato la corsa in un’avventura per più di dieci milioni di utenti". Quindi, ovviamente, c'è anche la gamification buona. Ma quella inutile, quando non cattiva, abbonda. Tipo i giochi per allenare il cervello che promettono ai pensionati che, se affronteranno minigiochi “scientifici”, "diventeranno più intelligenti ed eviteranno la demenza senile". Tacendo però del fatto che una camminata all’aria aperta sarebbe loro altrettanto d’aiuto. Detto questo il brillante autore cita una ricerca del 2020, basata su 35 studi, che conclude che "le app per smartphone e i dispositivi da polso gps fanno effettivamente svolgere più attività fisiche agli utenti adulti". Son brave a instillare il senso di colpa nel pigrone che è in noi. Su chi tende al perfezionismo, però, può fare danni. Sentenza finale: "La gamification fa in modo che tu non sia più il giocatore, ma quello di cui ci si prende gioco".