#154 La spiaggia è politica
A Capalbio Fdi è diventato il primo partito: quanto può aver sbagliato la sinistra per un risultato del genere? A Forte dei Marmi, invece, la destra è sempre andata forte. Due reportage
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CHE RESTA, DI SINISTRA, A CAPALBIO?
Il melonismo si è portata via anche la “piccola Atene”? O era una deriva cominciata prima? Siamo andati a vedere, nel servizio di copertina dell’ultimo Venerdì. L’incipit:
CAPALBIO (Grosseto). L’Ultima spiaggia ormai è un “misto mare grande”, dal nome di un popolare piatto unico del lido di Chiarone. Ci trovi ancora pezzi di intellighenzia di sinistra, ieri il sobrio Giorgio Napolitano oggi il figlio Giulio, amministrativista assai fashion. Ma c’è ormai così tanta gente che non può essere solo progressista. Ostano i prezzi (ombrellone e due lettini 60 euro; il misto mare 25, però ben spesi) e la contabilità elettorale, dal momento che in paese Fratelli d’Italia è quasi al 40 per cento. Sì, certo, quelli che hanno consolidato il mito della località come “piccola Atene” liberal non sono mai stati i figli degli assegnatari degli appezzamenti confiscati negli anni ‘50 alla nobiltà latifondista dal gagliardo Amintore Fanfani. Piuttosto Umberto Eco, Alberto Asor Rosa, Furio Colombo, Corrado Augias, giusto per dirne alcuni. Altre letture, altre manicure. Qualcuno è morto. Altri escono meno. Solo l’ottantatrenne Petruccioli, già presidente della Rai e deputato Pci, resiste sotto un’ubertosa tenda nell’arenile di cui ha contribuito a creare il mito regalandogli il claim «se non è l’ultima, che spiaggia è?». Però, a rischio di bruciare il finale, il suo ragionamento fa: «Son contento per Capalbio se la leggenda dei radical chic le ha giovato, ma non è vero niente. È stata un’operazione, riuscita, per sputtanare la sinistra». Uhm. A occhio la sinistra c’ha messo del suo. La maggior parte degli intervistati concorda sul fatto che non sia più vero oggi. Ma la prima cosa che dicono i ricchi – quando non cafoni conclamati – è negare di esserlo. Sta di fatto che quest’incantevole posto, da espressione geografica, è diventata categoria dello spirito. Con Giorgia Meloni che, nel gran finale elettorale, la additò: «Il circolo del golf di Capalbio è preoccupato». Peccato che tale circolo non esista. Esiste il concetto, l’idea platonica. Questa cronaca di un fine settimana a prevalenza di lino e Birkenstock è il tentativo di capire, in pratica, cosa ne resta.
Il nemico? La Bolkestein
È un interrogativo che lascia tiepido Adalberto Sabbatini, uno dei quattro amici che nel 1987 fondarono l’Ultima spiaggia. Un sessantanovenne in splendida forma con cui avevo avuto un primo approccio catastrofico. «Capalbio non è cambiata, siete voi di Repubblica a essere cambiati» aveva detto, segando sul nascere la possibilità di un’intervista. Credevo ci rinfacciasse, che so, di essere troppo moderati. Ingenuo. Invece saremmo troppo radicali sulla Bolkestein, direttiva che ci impone di mettere all’asta le concessioni (a canoni ridicoli) delle spiagge. «Le ideologie sono morte. L’importante è salvare il posto di lavoro. Noi paghiamo quel che ci chiede lo Stato. Voi non lo capite» dice. Circumnavigato lo scoglio su cui si infrange ogni scambio, risulta addirittura simpatico: «Noi non chiediamo la tessera a nessuno. Il nostro scopo è rendere felice chi viene qui, così ritorna». Rispetto ai 60 ombrelloni originari, di fronte alla struttura di legno bianco dove si mangia, oggi si può anche affittare ombrellone e lettino lì accanto, a metà del prezzo. «Io vengo qui dalle 6 per pulire la spiaggia. Sono il figlio di un assegnatario di un podere dell’Ente Maremma dove mio fratello ancora coltiva la terra. Non mi monto la testa». Come nasce la monocoltura politica della loro clientela giura di non saperlo: «Io ho votato Margherita, ho avuto un breve incantamento renziano (da una vecchia intervista al Tirreno spunta anche Forza Italia, ndr). La gente veniva qui perché si trovava bene. Poi, con gli anni, ho fatto amicizia con Giulio Napolitano o Francesco Rutelli, ma sono rapporti personali». Quanto all’élitismo, «qui se uno vuole entra dal nostro parcheggio ma, se gira verso la spiaggia libera e si porta un panino da casa, non spende neanche un centesimo. E ci va benissimo così. Magari una volta gli viene voglia di mangiare meglio e assaggia i piatti di mia moglie Anna…».Nudge alla maremmana
L’argomento della spiaggia democratica, accanto a quella vip – se nel novero vale l’avvistata Alba Parietti e un paio di giornaliste tv – regge. Su quattordici chilometri di costa solo uno è occupato dagli stabilimenti. Praticamente il contrario di Versilia e altre coste su cui si polemizza meno. Me lo conferma, davanti a un bel piatto di tortelli a Capalbio alta, il sindaco Gianfranco Chelini. Che rivendica anche un altro pilastro di civiltà: «Durante il Covid avevamo piantato in spiaggia dei picchetti in legno per il giusto distanziamento. E li abbiamo mantenuti lungo un chilometro e mezzo così gli ospiti sono incentivati a rispettarli comunque, lasciando aria al vicino». È un nudge, la spinta dolce per incentivare buone abitudini civiche, alla maremmana. Bolla invece come «macchiettistica e anacronistica» la caratterizzazione del suo Comune come sinonimo di fighettismo di sinistra. Avrebbe smesso di essere vera da una dozzina di anni. Man mano che i prezzi degli immobili lievitavano. Soprattutto in zona Pescia Fiorentina, la «Beverly Hills di Capalbio» secondo il conio attribuito all’immobiliarista Carlo Puri Negri, la cui Terra di Sacra possiede le leggendarie case con accesso privato alla spiaggia (una si vede anche in Come un gatto in tangenziale, sullo scontro di civiltà tra mare per ricchi e mare per poveri) il cui affitto annuale va dai 40 ai 180 mila euro. E dove le ville si vendono “a corpo”, non al metro quadro, e l’unità di misura sono ovviamente i milioni di euro. Chelini, ex funzionario di banca, è un civico pragmatico eletto nel 2021 che si dichiara con fierezza democristiano («Voto Pd e ogni volta mi chiedo perché») e ha il culto di Fanfani, descritto come un Simon Bolivar locale per «la più grande ridistribuzione di ricchezza che si ricordi», compiuta togliendo ai principi Caetani, Corsini e compagnia, per dare ai braccianti abruzzesi e marchigiani. «Qui FdI è il primo partito. A maggior ragione la Meloni dovrebbe avere maggior rispetto quando parla di noi» dice. Prima di rivendicare il recupero di un cinema, una biblioteca, tre parchi urbani e soprattutto un anfiteatro disegnato dall’olandese Maurice Nio, quello del museo Pecci di Prato, che sarà pronto a fine 2025 e che Tomaso Montanari ha già definito «ecomostro». {prosegue sul Venerdì}
A FORTE DEI MARMI, TRA IL TWIGA E I SUOI FRATELLI
Altra spiaggia, altro mare. A Forte dei Marmi vanno forte Briatore e la Santanché e il loro Twiga. Dove, l’anno scorso, non mi hanno fatto neanche entrare. Poco male, perché di stabilimenti extra-lusso c’è pieno. Il pezzo iniziava così:
Forte dei Marmi (Lucca). Questo è un posto dove ai tavoli si usano più i cellulari che le forchette. È tutto uno scattare foto al padellone di ostriche che, a giudicare dall’abbondanza, potrebbero essere vendute al chilo. E poi tra vicini di tenda, in lino d’ordinanza. Per poi postare come se non ci fosse un domani. Il Grande Crudo Alpemare, consigliato per due, viene 150 euro. Il Crudo semplice (gambero rosso, mazzancolle, scampi) con cui hanno aperto il pranzo la silfide bionda e il suo fidanzato con cappellino da baseball solo 45. Anche loro scrivono o postano e le unghie perfettamente smaltate di lei coprono la parte bassa delle custodie identiche che, nella metà alta leggibile recita “Life is better with”. Per quanto li fissi, sperando che spostino le dita, il mistero resta (così come quello della loro nazionalità ex sovietica): “La vita è migliore con”?. I soldi, mi verrebbe da dire, considerato che l’ottimo ristorante del superlativo bagno di Andrea Bocelli è tra i più cari del Forte e, di conseguenza, d’Italia. Saranno così sfacciati da mettere così per iscritto la loro condizione finanziaria? La risposta arriverà al termine di questo articolo sulle vacanze da ultra-ricchi nella località che, dopo gli Agnelli e Moratti, è diventata la casa al mare degli oligarchi, quindi dei sultani, e oggi?
Spunti da una rassegna stampa recentissima. Una villa da 3 milioni e mezzo riconducibile al capo della Wagner Prigozhin è stata individuata in via Rosselli, cinque minuti a piedi da quella di Zelensky che l’anno scorso aveva fatto notizia per esser stata (forse) affittata a russi. Inaugurazioni: nuovo caffè Principe, rilevato da Prada; negozio Brunello Cucinelli; villa Dior. Una Lamborghini Urus spiaggiata al bagno Annetta dove una delle 40 feste ammesse in spiaggia ogni stagione è andata fuori controllo. La leggendaria Capannina di Franceschi chiusa per 15 giorni per ordine del questore in seguito a risse tra giovani avventori. C’è del marcio in Versilia? «Se è per quello» dice Paolo Corchia, presidente della locale Federalberghi «una rissa tra bimbetti c’è stata anche l’altra sera, con le catene per chiudere la biciclette. Bisogna vigilare ma sono fatti episodici…». Già durante il Covid gli italiani avevano compensato la mancanza dei turisti stranieri. E i facoltosi rampolli, contro la noia, giocano alla street gang. Tanto che in Capannina un cartello intima: no felpe e no cappelli. Anche al Twiga, che per dieci metri è già Marina di Pietrasanta, nell’estate di passione della socia Santanché (la ministra ha ceduto le quote, ma al fidanzato, e inchieste giornalistiche, oltre ad accuse di bancarotta e falso in bilancio, dimostrerebbero che continua a beneficiarne), nonostante che nel fine settimana un tavolo possa costare oltre mille euro, l’età media è bassa. Noi al Twiga, che rischia di diventare il Papeete 2023, non ci hanno fatto entrare. Ma non importa perché simil Twiga qui li trovi dappertutto.
Adolescenti intemperanti a parte, al Forte si respira quella rilassatezza che solo i soldi sanno comprare. È il secondo comune più ricco della Toscana solo perché Bocelli ha ancora la residenza a Lajatico, nel pisano, e con un patrimonio sopra i 100 milioni di euro assicura da solo il sorpasso. Il terzo più caro, dopo Milano e Roma, per valori immobiliari. Lindo come la Svizzera, i cui solvibili cittadini l’hanno da poco scoperta. Una concentrazione di negozi da plutocrati che neanche a Hong Kong, in una coreografia unica di montagne a incorniciare il mare. Tant’è che, rendendosi conto di sedere sulla loro fortuna, dai 10.500 abitanti degli anni 80 si è arrivati ai 7.500 attuali, un -29 per cento che altrove avrebbe fatto parlare di esodo. Mentre qui è stata una muta della pelle: dai normodotati fortemarmini ai finanziariamente superdotati stranieri. «Altospendenti» li chiama, traducendo dall’inglese dei report che commissiona, il sindaco Bruno Murzi, cardiologo di fama e cugino del sindaco precedente, che guida una giunta essenzialmente di centrodestra anche se preferisce definirla «civica». Non gli è garbato nulla il rally in spiaggia e ha mandato i vigili a fare le multe. Però specifica: «Non sono quello che vuole mettere la gente a letto presto. Ma se muore la spiaggia muore anche il paese e ho il dovere di evitarlo». Dunque niente piattaforme di legno, niente musica dopo una cert’ora, niente cammelli come in una celebre festa al Maitò o altre scenografie troppo circensi come sembrano chiedere i marchi della moda, tipo Dolce&Gabbana l’anno scorso all’Alpemare. La parola d’ordine è: Ibiza mai. Quanto a che fine hanno fatto i russi, erano 30 mila prima del Covid e ora registrati sono meno di 10 mila ma, essendo più integrati, sembra una stima per difetto. «All’inizio della guerra» ricorda Murzi «venne da noi Oleg Tinkov, magnate che posside la Datcha, hotel boutique con spiaggia, per fare una donazione per la popolazione ucraina. E ben prima che arrivassero i profughi avevamo un nucleo ucraino piuttosto danaroso. Sono comunità che frequentano gli stessi bagni e locali».
“Qui è un continuo di Olghe”
A confermarlo è Piero Petrucci del ristorante La barca che da oltre mezzo secolo sfama chi può permetterselo: «Una sera c’era una che mi han detto essere la figlia di Prigozhin i cui bambini giocavano con piccoli ucraini di un tavolo vicino. Ormai svernano qui, tranquilli. I russi hanno comprato l’hotel Imperiale, il Belvedere, il Tirreno, il Royal. E la Datcha avrà 2 milioni di cantina di vini che io non mi sogno neppure. Ogni giorno per prenotare da noi è un continuo di Olga, Tatiana, Irene. Russe o ucraine indifferentemente». Se dovessero deciderlo qui il prossimo Nobel per la pace, con ogni probabilità andrebbe agli scampi crudi, in grado di mettere d’accordo gli altrimenti belligeranti cugini. Quelli che Petrucci regge meno sono gli arabi, con le loro «penne al pomodoro, Coca Cole e nidiate di bambini». O come quegli sgraziati adolescenti, solo maschi, dai portafogli oversize, che incrocio al rinnovato Caffè Principe un tempo raduno di commesse autoctone in vena di gossip o in cerca di marito.Che i moscoviti sian sempre orgogliosamente su piazza lo conferma anche Cristiano Pugnana, dell’agenzia immobiliare Royal Forte, sposato con Irina: «È che prima gli bastavano tre ore e mezza per arrivare e oggi invece anche dodici, via Istanbul o Bodrum, spesso con aerei privati che possono far lievitare il conto sui 40 mila euro». Forte, fortissima attrazione. D’altronde sono clienti che non battono ciglio a prendere in affitto una villa per 100 mila euro a bimestre, di cui il 5 per cento va all’intermediario. «Qui gli affitti brevi non vanno molto. E serve internet ad altissima velocità per consentire loro di lavorare come se fossero a casa». {prosegue sul Venerdì}
Epilogo
Tornando alle cose serie, a Gaza l’eccidio continua. Nei giorni scorsi, sotto un bombardamento israeliano è rimasta uccisa una donna con i suoi sei figli. Nei giorni prima un papà che era andato a registrare all’anagrafe i due figli appena nati è tornata a casa per trovarli morti, insieme alla moglie, per un raid dell’Idf.